24/3/2011 ● Cultura
Il presidente Giorgio Napolitano e la ritrovata unità nazionale
Ritengo si possa dire senza enfasi che il presidente della repubblica sia stato il protagonista assoluto, insieme alle persone che lo hanno acclamato, dell’evento rievocativo per i 150 anni dell’unità d’Italia. Come dimenticare la ‘lectio magistralis’ tenuta in Parlamento, con quei richiami garbati e decisi a fatti di storia patria, anche e soprattutto per gli assenti ma rivolta a tutti i cittadini ed in particolare “alle giovani generazioni”, che vivono la “drammatica carenza di prospettive di occupazione e di valorizzazione delle proprie potenzialità”. “Nella nostra storia e nella nostra visione – sottolinea il capo dello Stato – la parola unità si sposa con altre: pluralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà”. “… Né si può dimenticare l’orizzonte europeo della visione e dell’azione politica di Cavour, e la significativa presenza, nel bagaglio ideale risorgimentale, della generosa utopia degli Stati Uniti d’Europa”. Esplicito l’invito di Napolitano a “un esame di coscienza collettivo” sulla questione del Mezzogiorno, perché il divario tra nord e sud è una delle “incompiutezze dell’unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni”. Il presidente ha più volte ripetuto espressioni come “forte cemento nazionale” e “unitario”, senza nascondere che il cammino è reso difficile da “cieche partigianerie” e “perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità”. Il presidente dice di non sapere “quando e come” il forte cemento nazionale potrà di nuovo operare. “Confido che accada”, perché questa è “la condizione della salvezza comune”.
Come detto all’inizio, a Montecitorio ci sono state assenze di parlamentari, in particolare leghisti, con l’eccezione di un drappello guidato da Bossi. E anche se il presidente della repubblica tocca tasti non proprio digeribili per i ‘lumbard’ – un richiamo forte a un federalismo che renda più solide le basi dell’unità nazionale – Bossi fa buon viso…e dichiara: ”Napolitano ha fatto un buon discorso”. Tuttavia le aspettative dei militanti hanno spinto il movimento nel suo insieme a ostentare la diserzione. E gli amministratori locali (sindaci, presidenti di provincia e di regione) si sono mossi in vario modo. Il presidente del Piemonte Roberto Cota non ha partecipato all’alza bandiera a Torino, quello del Veneto Luca Zaia ha indossato la coccarda tricolore con un bel po’ di distinguo. A Milano il deputato Matteo Salvini ha dovuto sgomberare fra i fischi il suo banchetto in piazza della Scala. A questi episodi fanno da contraltare un sentimento e una aspettativa che sono schiettamente popolari, trasversali: l’italiano si compiace del tricolore, è felice delle parole di Napolitano. E ciò rafforza in noi la convinzione che la Lega e le sue istanze separatiste rappresentano una minoranza e proprio i loro atteggiamenti contribuiscono a cementare la volontà unitaria degli altri italiani: l’infinita maggioranza anche in Veneto. Va altresì smascherata l’ignoranza dei leghisti in merito all’inno “Va pensiero” di Giuseppe Verdi. Essi lo hanno assunto quale loro inno anti-unitario. Per Verdi invece, che aveva composto “Nabucco”, oltre che libera e repubblicana l’Italia doveva essere “una”, cioè unitaria. A tal riguardo scriveva al suo librettista Francesco Maria Piave: “Sì, sì, ancora pochi anni, forse pochi mesi, e l’Italia sarà libera, una e repubblicana”.
Dunque, terminiamo queste brevi riflessioni con l’appello del capo dello Stato: “Viva la repubblica! Viva l’Italia unita!”.