12/10/2010 ● Cultura
Il “metodo Boffo” e il “metodo Indro”: un giornalismo a colpi di dossier
Preliminarmente è bene distinguere fra giornalismo d’inchiesta e giornalismo
a base di dossier.
L’inchiesta scandaglia la realtà, annota le dichiarazioni delle persone, le loro
opinioni, anche se parte da una ipotesi iniziale. E chi la conduce è pronto a
prendere atto dei dati reali raccolti nel modo più oggettivo possibile.
L’impegno profuso comporta una ricerca personale delle fonti, capaci di svelare
aspetti del tutto inusitati del problema affrontato. E’ questo il giornalismo
d’inchiesta, per molti l’unico vero modo di essere giornalisti.
Al cronista che trascrive quello che gli arriva sulla scrivania, la deontologia
contrappone sempre il reporter considerandolo “cane da guardia della democrazia”
che controlla il potere e dà voce a chi non ce l’ha. Denunciando le storture
della politica (e non solo) perché siano corrette. Il reporter deve analizzare
documenti e intervistare testimoni. Come nel caso Watergate, quando due giovani
reporter del “Washington Post” misero insieme le dichiarazioni dei diversi
protagonisti per ricostruire il piano di corruzione elaborato dalla squadra del
potente dell’epoca. In Italia abbiamo giornalisti d’inchiesta molto bravi
(Stella, Rizzo, Gabanelli, per citare).
Il giornalismo a base di dossier è l’opposto: scandaglia nel privato, porta alla
luce soltanto la bassezza morale, il disonore, senza incrociare pareri, partendo
da una tesi precostituita: colpire, screditare (si ricordi cosa diceva Lenin:
parlate male, parlate male, qualcosa resterà). Il deputato Adolfo Urso (finiano)
dice: “Una cosa è la libertà di informazione, che noi tutti dobbiamo sempre e
comunque difendere, altra cosa l’azione di dossieraggio contro chi dissente o
solleva critiche o obiezioni”. Oggi si parla di “metodo Boffo” che sovverte il
ruolo della libera informazione, lo piega agli usi e al volere del potente di
turno. Gli effetti di tale “metodo” praticato al presidente della Camera Fini
sono di dominio pubblico.
Molti, però, non ricordano il “metodo Indro” applicato per l’appunto a Indro
Montanelli.
Come spiega Federico Orlando sul quotidiano Europa, il metodo Boffo “è figlio
del ‘metodo Indro’ che fu messo a punto e applicato nel 1993, quando il
conflitto con Berlusconi diventò irreversibile, e fu praticato fino al maggio
2001, anno della seconda vittoria elettorale del cavaliere. (…) Montanelli morì,
dopo mesi di insulti e minacce, nel luglio 2001”. Orlando riferisce altresì
di una intervista di Giorgio Bocca all’amico Indro ponendogli la domanda: “Secondo
te, da dove è arrivata tutta la ribalderia che ci troviamo in giornali e
televisioni?” E Montanelli: “Fanno a chi urla più forte, a chi fora lo
schermo. Noi non urliamo, noi abbiamo la debolezza di evitare la scostumatezza.
Le provocazioni di questi signori non mi spaventano, mi spaventa la loro
maleducazione. Chi li protegge o li usa per lo spettacolo sembra non aver capito
che i buoni costumi sono tutto per una buona società, vengono prima dello stato,
prima delle leggi. Non sanno che senza un buon costume consolidato e rispettato
non si fabbrica socialmente niente”. Eppure, nonostante questa nobiltà
d’animo, si rovesciava ogni giorno sul Vecchio giornalista una massa di insulti:
“al punto – aggiunge Federico Orlando – che Lamberto Sechi, direttore
dell’Europeo, intitolò la copertina del 22 dicembre 1993 ‘Un grido da Arcore:
fucilate Montanelli’. Non erano pallottole… ma piombo: aveva comprato per 500
lire una ragazza in Abissinia, aveva due mogli una a Roma una a Milano, e via.
Firmato Sgarbi (…). Era il ‘metodo Indro’, tre lustri prima del ‘metodo Boffo’".
Conclusione pedagogica di Orlando (rivolta ai giovani del ‘Movimento a cinque
stelle’ di Beppe Grillo): “Il punto d’arrivo di chi ha schifo di qualsiasi
democrazia: ritrovarsi leninisti, di destra o di sinistra non fa differenza”.
Le considerazioni sopra formulate contribuiscono a rinforzare in noi la
convinzione in merito alla necessità di iniziative che abbiano come obiettivo
fondamentale la risoluzione dei conflitti di interesse: sì, i conflitti al
plurale. Perché se non vengono risolti, può la libertà di informazione sentirsi
tranquilla? Lascio la risposta al lettore di queste note.