13/7/2010 ● Cultura
Il federalismo fiscale e la "Questione Meridionale"
Il federalismo fiscale con
la conseguente moralità pubblica è, con la difesa della libertà di stampa, uno
dei grandi temi alla ribalta durante l’estate del 2010 in Italia. Nella
Finanziaria 2011 il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha previsto tagli
alle Regioni per un ammontare pari a 4 miliardi di euro. Malgrado le proteste,
lo scontro con il Governo centrale continua. L’esecutivo tira dritto, lasciando
inalterato il budget e rende solo più flessibili le riduzioni e premia le
autonomie virtuose, ossia le regioni amministrate efficientemente. Il Governo
insiste coi tagli e si prepara a porre la fiducia sulla Manovra. Dal braccio di
ferro Roma-Regioni saranno limati i numeri ma il grosso dei risparmi si farà
proprio sui trasferimenti ai comuni e alle regioni. Con riferimento al 2009 la
spesa consolidata per le amministrazioni regionali è stata di 799 miliardi di
euro, e di 255 miliardi di euro, spesa non consolidata, per le amministrazioni
locali.
Una piccola regione come il Molise, al limite del collasso per via dei debiti
della sanità e per le arretratezze del suo sistema produttivo, rischia di non
reggere più e di scomparire E non sarebbe un male, perché venti regioni sono
troppe come faceva notare la Fondazione Agnelli negli anni ‘90 che proponeva di
ridurle a dodici. Personalmente sono convinto che le Regioni, o compartimenti,
dovrebbero essere solo otto con una popolazione media di 6-7 milioni, ad
eccezione della Sardegna.
Con la grave crisi economica , sono inevitabilmente venuti al pettine i nodi che
si trascinano da decenni, sul mancato riordino istituzionale, su un prodotto
interno lordo che vive per lo più di spesa pubblica, sull’inadeguatezza di una
intera classe dirigente. Servirebbero amministrazioni efficienti,
semplificazione burocratica, eliminazione di enti sub-regionali, accorpamento di
consorzi, unioni di comuni, incentivi alle imprese private alternative
all’indotto della pubblica amministrazione, costi istituzionali minori e
maggiori dotazioni per i servizi essenziali e per la produzione di ricchezza.
Questa è la diagnosi per la Regione Molise, ma il discorso si applica anche alle
altre regioni del Mezzogiorno d’Italia.
Si riuscirà a trovare in tempi brevi una cura ad un corpo politico invaso da
metastasi? É il male della cattiva amministrazione, della mala sanità, del
clientelismo, veramente inguaribile? Un indizio significativo lo conferma.
All’inizio di luglio 2010 il ministro Giulio Tremonti ha attaccato le
istituzioni regionali meridionali che hanno diritto ad ingenti fondi europei, ma
poi non li spendono. Per il Sud c’è stato uno stanziamento nell’ambito del
programma comunitario 2007-2013 pari a 44 miliardi di euro dei quali ne sono
stati usati solo 3,5. Un vero scandalo. «Mentre cresceva la protesta contro i
tagli subiti, aumentavano i capitali non usati - ha evidenziato il ministro -.
Più il Sud declinava, più i fondi salivano. Questa cosa è di una gravità
inaccettabile». E la colpa - ha aggiunto - «non è dell’Europa, dei governi di
destra o di sinistra, ma è colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non
li spende... non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma
non sa fare gli interessi dei cittadini».
Il ministro Tremonti ha posto un problema fondamentale per la nascente Italia
federale.. Non è sbagliato parlare di "cialtroneria", anche se occorre non
generalizzare: certamente la parcellizzazione delle risorse in mille rivoli, la
mancanza di una progettazione affidabile, la lentezza della macchina degli
investimenti, lo spostamento di fondi su obiettivi tutt'altro che prioritari,
l'uso clientelare di molte somme, non sono atteggiamenti seri.Questi
atteggiamenti sono diffusi, però, anche in molti ministeri e aziende dello Stato
nazionale che incontrano le stesse difficoltà.
É necessario allora rilanciare una politica nazionale che dia direttive chiare
sulle soluzioni da percorrere per superare questa impasse amministrativa
generalizzata. Si individueranno così le soluzioni e si smaschereranno i
"cialtroni" veri, che non hanno alcun interesse a modificare la situazione.
É già iniziata l’inevitabile “cura dimagrante”? Un primo segno arriva dalla
Sardegna. Il governatore Ugo Cappellacci, ha fatto sapere che ridurrà del 20% la
sua indennità e quella degli assessori, e del 50% il parco auto della Regione.
Le auto pubbliche in Italia, secondo una prima stima, sono 90,000, di cui 30,000
auto blu. I papaveri di Stato, gli appartenenti alla casta, godono di un’auto
privata con autista e costano 297 milioni di euro all’anno. Il numero reale
delle auto pubbliche si aggira sulle 150,000; gli autisti dei vari politici ed
amministratori sono circa 5,000. I politici italiani costano quasi il triplo di
quelli degli altri grandi paesi europei come la Germania. Tanti sono i privilegi
per la casta e tantissimi sono gli sprechi. Ecco cosa va eliminato. Ma c’è da
aspettarsi tante, tantissime resistenze.
Il Ministro Tremonti ha forse esagerato nel definire <cialtroni> quegli
amministratori che non hanno saputo impegnare le risorse stanziate, ma ha posto
una questione importante.
Il Sud ha ora l’occasione per dimostrare al Ministro che sbaglia, facendo leva
sulle sue forze migliori, produttive e politiche, per rimuovere quelle anomalie
che da tempo ne bloccano la crescita. La novità del federalismo fiscale è che
prevede delle censure importanti a chi amministra male il proprio territorio,
ritardandone lo sviluppo.Il federalismo fiscale non è semplicemente un pallino
della Lega Nord: è una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata
alla fine degli Anni 90 dal centrosinistra (la cosiddetta “riforma Bassanini”),
che ha introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà e ridisegnato
i poteri del governo centrale e delle amministrazioni periferiche. É la più
importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi, una svolta di
ammodernamento positiva.
La riforma Bassanini aveva dato alle Regioni i poteri ma non i soldi, che
arrivavano da Roma senza controllo: Le regioni presentavano il conto e
l’amministrazione centrale saldava. Si è creata una spirale per cui le Regioni
virtuose hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le
competenze con responsabilità; altre regioni, soprattutto al Centro-Sud, hanno
invece sperperato lo sperperabile, soprattutto nella gestione della sanità
tant’è che Roma ha dovuto commissariarle per tappare i buchi di bilancio.
Il federalismo fiscale va inteso come capacità delle Regioni di governare le
proprie risorse. Esso imporrà loro un principio di responsabilità: il criterio
del costo standard per le prestazioni sanitarie e il principio del fallimento
politico. Gli amministratori incapaci non potranno ricandidarsi. Non si tratta
quindi di una rivolta del Nord contro il Sud, ma di un intervento per riportare
sotto controllo la spesa pubblica. Riuscirà il federalismo fiscale a risolvere i
problemi del Sud? Si riusciranno a creare in tempi brevi le condizioni per uno
sviluppo autonomo del Mezzogiorno? Solo il tempo ce lo dirà. L’ ostacolo
principale da sormontare è l’abulia delle classi dirigenti meridionali. Nelle
regioni più arretrate non è ancora in atto alcun piano di bonifica radicale
delle istituzioni. Saranno i politici in grado di mutare comportamenti e
abitudini sedimentati? Le amministrazioni locali, con la loro inefficienza,
cesseranno di frenare lo sviluppo? Cesseranno soprattutto le connivenze con il
crimine organizzato in regioni come la Sicilia, la Calabria, la Campania e la
Puglia?
Questo è il problema ineluttabile che l’Italia del primo decennio del terzo
millennio deve affrontare concretamente e deve assolutamente risolvere. Il
federalismo fiscale che responsabilizza gli amministratori regionali e locali si
rivelerà sufficiente? C’è da augurarselo, altrimenti le conseguenze saranno
catastrofiche. Il Mezzogiorno sarà condannato all’arretratezza, al declino, al
trionfo della illegalità. Nessuno, nei 150 anni di unità nazionale, è stato in
grado di porre rimedio alla Questione Meridionale. Certo i i tempi sono
cambiati, tuttavia come faceva notare Lampedusa ne Il Gattopardo a proposito dei
Siciliani ‘la loro vanità è più grande della loro miseria. I Siciliani non
vorranno cambiare perchè si credono perfetti.’ Ma questo lo diceva nel 1958.
[L'articolo del prof. Salvatore sarà pubblicato nel prossimo numero di
PanoramItalia, agosto 2010]