BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


15/6/2010 ● Cultura

Cavour e i 150 anni dell’Unità d’Italia: meno male che Napolitano c’è


  Pietro Di Tomaso ● 1491


Il recente discorso di Napolitano su uno dei personaggi più rappresentativi del nostro Risorgimento si è sviluppato con ricchezza di riferimenti storici e autentica passione di italiano. Le sue lucide argomentazioni hanno rinforzato in noi la convinzione che la vera bussola del Risorgimento sia stata la politica estera di Cavour, figlia della sua geniale intuizione. E cioè che il piccolo regno sardo-piemontese di Vittorio Emanuele II avrebbe potuto fare l’Italia soltanto sedendosi al tavolo delle grandi potenze (Francia, Inghilterra, Austria, Russia). Aveva capito che l’unità non potevano farla né i pochi mezzi a disposizione del re Carlo Alberto, né i generosi volontari di Garibaldi. Cavour aveva capito che l’unico modo per fare l’Italia era in Europa e con l’Europa, chiamando in Piemonte i 100mila francesi di Napoleone III. Poi strinse accordi coi prussiani di Bismark. La “lezione di Cavour sulle alleanze” è stata altresì descritta mirabilmente da Rusconi sulla Stampa: “ha individuato nel luglio 1859, nell’accordo di Villafranca, che interrompeva l’impegno francese contro l’Austria, lo snodo cruciale della vicenda risorgimentale”: “il punto di rottura che fa mutare a Cavour la prospettiva stessa sul Regno d’Italia”. Non più da Torino a Trieste, ma dalle Alpi alla Sicilia, con disappunto e disapprovazione di tutte le potenze, ma col consenso dei patrioti, ai quali l’unica Italia che interessava era quella unitaria, l’unica anche per Cavour. Egli fu tra i principali artefici dell’Unità d’Italia e della sua collocazione in una prospettiva modernamente europea. Uno statista di straordinaria lucidità e grande acume politico. “Cavour - osserva Rosario Romeo su ‘Protagonisti della Storia’ (edizione RCS, 2005) - ha un credo politico ‘pericoloso’ per le ali estreme del Parlamento, che infatti lo detestano: innovazione tecnologica, modernizzazione dell’economia, ristrutturazione delle istituzioni politiche e creazione di uno Stato territorialmente ampio, dotato di una Costituzione e ispirato a un liberismo progressivo, nel quale la libertà sia la premessa di ogni iniziativa”. Dopo 150 anni è necessario dunque ricordare la “lezione cavouriana”, che “per essere una grande nazione l’Italia ha bisogno vitale di alleanze internazionali coraggiose e ponderate”. Meno male che Napolitano c’è.
Il 15 dicembre 1847, sul giornale “Il Risorgimento”, di cui è uno dei fondatori, Cavour scrive parole che non vanno dimenticate: “Là dove non è vita pubblica, dove il sentimento nazionale è fiacco, non sarà mai industria potente. Una nazione tenuta bambina d’intelletto, cui ogni azione politica è vietata, ogni novità fatta sospetta e ciecamente contrastata, non può giungere ad alto segno di ricchezza e di potenza, quand’anche le sue leggi fossero buone, paternamente regolata la sua amministrazione”. Oggi, purtroppo, siamo in presenza di un governo a trazione leghista, ossia di un partito che contempla come primo obiettivo del suo programma politico, all’articolo 1 del suo statuto, la secessione “con metodi democratici”dell’immaginaria Padania, come repubblica indipendente in Europa, dalla Repubblica italiana. Che è, come sancisce la Costituzione vigente, una e indivisibile. La festa del 2 giugno ha registrato la latitanza dei ministri leghisti; ogni commento al riguardo viene lasciato al giudizio soggettivo del lettore di queste note.
Scrive Federico Orlando su ‘Europa’: “Alla Lega che contesta gli sprechi (veri) del calcio, non si replica che lei si becca ogni anno 20 miliardi di finanziamento pubblico per alimentare la secessione dall’Italia”. E aggiunge: “Un parlamento dignitoso avrebbe chiesto da tempo – e mi sembra stiano per farlo i parlamentari del gruppo Rutelli – di considerare illegali atti parlamentari e di governo a cui concorrano rappresentanti leghisti, che a Roma giurano sulla repubblica italiana e a Pontida sulla repubblica padana. Qualcuno dovrebbe portare l’obbiezione parlamentare alla magistratura, e questa alla corte costituzionale, affinché il paese esca dall’equivoco”.
Urge, pertanto, che si instauri un processo culturale di rigetto del pensiero secessionista.
Come si diceva all’inizio, Cavour era convinto che l’unico modo per fare l’Italia era in Europa e con l’Europa. Ora, è parimenti urgente porre al centro del dibattito sulla “crisi” anche l’attualità del progetto degli Stati Uniti d’Europa, come lo aveva descritto Einaudi e al cui modello si ispirarono anche Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (vedi Manifesto di Ventotene). Tale progetto oggi appare dimenticato, rimosso. A ben vedere, il problema non è scegliere tra la sovranità degli stati nazionali e l’Europa politica che ancora non c’è, ma decidere se vogliamo esistere uniti e federati o se desideriamo scomparire nel mare tempestoso di un mondo globalizzato.

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