15/6/2010 ● Cultura
Cavour e i 150 anni dell’Unità d’Italia: meno male che Napolitano c’è
Il recente discorso di
Napolitano su uno dei personaggi più rappresentativi del nostro Risorgimento si
è sviluppato con ricchezza di riferimenti storici e autentica passione di
italiano. Le sue lucide argomentazioni hanno rinforzato in noi la convinzione
che la vera bussola del Risorgimento sia stata la politica estera di Cavour,
figlia della sua geniale intuizione. E cioè che il piccolo regno
sardo-piemontese di Vittorio Emanuele II avrebbe potuto fare l’Italia soltanto
sedendosi al tavolo delle grandi potenze (Francia, Inghilterra, Austria,
Russia). Aveva capito che l’unità non potevano farla né i pochi mezzi a
disposizione del re Carlo Alberto, né i generosi volontari di Garibaldi. Cavour
aveva capito che l’unico modo per fare l’Italia era in Europa e con l’Europa,
chiamando in Piemonte i 100mila francesi di Napoleone III. Poi strinse accordi
coi prussiani di Bismark. La “lezione di Cavour sulle alleanze” è stata altresì
descritta mirabilmente da Rusconi sulla Stampa: “ha individuato nel luglio
1859, nell’accordo di Villafranca, che interrompeva l’impegno francese contro
l’Austria, lo snodo cruciale della vicenda risorgimentale”: “il punto di
rottura che fa mutare a Cavour la prospettiva stessa sul Regno d’Italia”.
Non più da Torino a Trieste, ma dalle Alpi alla Sicilia, con disappunto e
disapprovazione di tutte le potenze, ma col consenso dei patrioti, ai quali
l’unica Italia che interessava era quella unitaria, l’unica anche per Cavour.
Egli fu tra i principali artefici dell’Unità d’Italia e della sua collocazione
in una prospettiva modernamente europea. Uno statista di straordinaria lucidità
e grande acume politico. “Cavour - osserva Rosario Romeo su ‘Protagonisti
della Storia’ (edizione RCS, 2005) - ha un credo politico ‘pericoloso’ per le
ali estreme del Parlamento, che infatti lo detestano: innovazione tecnologica,
modernizzazione dell’economia, ristrutturazione delle istituzioni politiche e
creazione di uno Stato territorialmente ampio, dotato di una Costituzione e
ispirato a un liberismo progressivo, nel quale la libertà sia la premessa di
ogni iniziativa”. Dopo 150 anni è necessario dunque ricordare la “lezione
cavouriana”, che “per essere una grande nazione l’Italia ha bisogno vitale di
alleanze internazionali coraggiose e ponderate”. Meno male che Napolitano c’è.
Il 15 dicembre 1847, sul giornale “Il Risorgimento”, di cui è uno dei fondatori,
Cavour scrive parole che non vanno dimenticate: “Là dove non è vita pubblica,
dove il sentimento nazionale è fiacco, non sarà mai industria potente. Una
nazione tenuta bambina d’intelletto, cui ogni azione politica è vietata, ogni
novità fatta sospetta e ciecamente contrastata, non può giungere ad alto segno
di ricchezza e di potenza, quand’anche le sue leggi fossero buone, paternamente
regolata la sua amministrazione”. Oggi, purtroppo, siamo in presenza di un
governo a trazione leghista, ossia di un partito che contempla come primo
obiettivo del suo programma politico, all’articolo 1 del suo statuto, la
secessione “con metodi democratici”dell’immaginaria Padania, come repubblica
indipendente in Europa, dalla Repubblica italiana. Che è, come sancisce la
Costituzione vigente, una e indivisibile. La festa del 2 giugno ha registrato la
latitanza dei ministri leghisti; ogni commento al riguardo viene lasciato al
giudizio soggettivo del lettore di queste note.
Scrive Federico Orlando su ‘Europa’: “Alla Lega che contesta gli sprechi
(veri) del calcio, non si replica che lei si becca ogni anno 20 miliardi di
finanziamento pubblico per alimentare la secessione dall’Italia”. E
aggiunge: “Un parlamento dignitoso avrebbe chiesto da tempo – e mi sembra
stiano per farlo i parlamentari del gruppo Rutelli – di considerare illegali
atti parlamentari e di governo a cui concorrano rappresentanti leghisti, che a
Roma giurano sulla repubblica italiana e a Pontida sulla repubblica padana.
Qualcuno dovrebbe portare l’obbiezione parlamentare alla magistratura, e questa
alla corte costituzionale, affinché il paese esca dall’equivoco”.
Urge, pertanto, che si instauri un processo culturale di rigetto del pensiero
secessionista.
Come si diceva all’inizio, Cavour era convinto che l’unico modo per fare
l’Italia era in Europa e con l’Europa. Ora, è parimenti urgente porre al centro
del dibattito sulla “crisi” anche l’attualità del progetto degli Stati Uniti
d’Europa, come lo aveva descritto Einaudi e al cui modello si ispirarono anche
Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (vedi Manifesto di Ventotene). Tale progetto
oggi appare dimenticato, rimosso. A ben vedere, il problema non è scegliere tra
la sovranità degli stati nazionali e l’Europa politica che ancora non c’è, ma
decidere se vogliamo esistere uniti e federati o se desideriamo scomparire nel
mare tempestoso di un mondo globalizzato.