7/5/2010 ● Cultura
"Castellerce & Cerretelle"
Caro Luigi, seguo con molta
partecipazione la tua battaglia per richiamare l’attenzione sull’abbandono in
cui versano i resti di quello che fu il nostro maestoso Castello da Capo.
Personalmente sono molto affezionato a quel luogo. Fu il mio parco giochi da
bambino e diverse volte sono caduto nella neviera.
L’atterraggio era sempre morbido per via del mare di paglia che si trovava di
sotto, ma per la stessa ragione era difficoltoso risalire.L’unico mezzo era la
corda lanciata ed issata dagli amici.
Le mura perimetrali fungevano da palestra per noi alpinisti in erba, ho ancora
negli occhi l’immagine di mia madre con le mani tra i capelli quando mi vedeva
arrampicare con le sole mani dal lato più alto della strada del portello.
Camminare sui muri ostentando sicurezza era la prova di coraggio che ognuno
doveva dare, poi si passava sotto l’arco che oggi non esiste più e che già
allora era quasi completamente interrato. Tra la chiave di volta ed in terreno
c’era a malapena lo spazio per far passare un bambino. Infilandosi da un lato ed
uscendo dall’altro si riceveva l’investitura ufficiale a rango di cavaliere
nella banda di Sant’Antonio di cui facevo parte. I grandi ufficiali erano i miei
cugini Giorgio e Federico ed il loro giudizio era insindacabile.
Le nostre armi erano gli archi costruiti con un ramo d’olmo o d’acacia spinosa.
Le frecce erano ricavate dalle stecche di vecchi ombrelli a cui si creavano le
cocche spezzando l’anello dove si cuce la tela esterna e per fare le punte si
passavano interi pomeriggi a sfregarle sui marciapiedi o sul muro di cemento
della chiesa di Sant’Antonio Abate.
Prima di realizzare la strada attuale ed i lavori di costruzione della casa
adiacente i muri, c’era un largo spiazzo in cui si accendevano i falò sia nelle
feste religiose che in quelle pagane come il carnevale. Venivano preparati e
gestiti dai grandi ma per noi bambini era sempre una grande festa e come per le
falene, non c’era modo di farci allontanare da quel fuoco che scoppiettando
allegramente squarciava le tenebre della notte.
Nell’ottica più vasta del recupero delle tracce del nostro passato, voglio
segnalarti a mò di spunto le precarie condizioni dei ruderi di quelle che furono
due torri o due chiesette, l’una dirimpettaia dell’altra.
La gente le ha sempre chiamate “moglie” e “marito” a significare un legame forte
che le univa. Esse si trovano nei pressi del gessificio. Una a poca distanza
dall’argine sinistro del Biferno e l’altra a circa un chilometro in linea
d’aria, risalendo verso la strada che porta a Montecilfone.
Tanti anni fa, improvvisandomi storico casereccio, feci delle ricerche che mi
portarono alla cattedrale di Larino dove su una mappa delle chiese edificate tra
il XIV ed il XVI secolo trovai indicate le due costruzioni ed identificate con i
nomi di “Castellerce” e “Cerretelle”.
Qualche mese fa sono tornato in cattedrale nella speranza di ritrovarla per
farne una copia ma non l’ho più trovata.
Credo che potrebbe essere interessante, per chi ha accesso alla documentazione
storica, fare delle ricerche più approfondite.
Spero di suscitare la tua curiosità o di qualche appassionato e t’invio delle
foto scattate all’epoca.
Foto archivio Giorgio Senese