22/2/2010 ● Cultura
La corruzione è “connaturata” alla società italiana?
Dal recente editoriale di
Galli della Loggia sul Corriere della Sera mi sembra di capire che corriamo il
rischio di restare impantanati nella corruzione – che secondo la Corte dei Conti
è aumentata del 229 per cento – per effetto di un destino implacabile per cui
“rimarremo sempre quello che siamo, una società malandrina, spietata e al tempo
stesso accomodante, un Paese sostanzialmente senza legge e senza verità”.
Personalmente non condivido la tesi secondo la quale l’etica pubblica dipenda da
un tratto antropologico degli italiani. Vero è che la corruzione trova terreno
fertile in un sistema oligarchico, chiuso, senza ricambio di classi dirigenti.
Il degrado aumenta in maniera esponenziale quando i controllori coincidono con i
controllati, quando ci sono spaventosi conflitti d’interesse, quando
l’appartenere ad una cordata fa premio sulla competenza e sull’etica della
responsabilità.
E’ parimenti vero, come ricorda lo storico Lucio Villari nel suo saggio sul
Risorgimento, quel che il Times di Londra scriveva dopo il 1870: “Troppo
velocemente e con troppa facilità fu fatta l’Italia” (nel senso che l’idea
d’Italia come comunità ancora doveva essere creata e che ancora mancava un
tessuto sociale permeato di virtù civili).
Ciò detto e concentrandoci sulla situazione di diffusa corruzione che occupa la
nostra scena pubblica, come se ne esce? Io non credo che lo stato di degrado
nasca dal basso della società italiana. Sono dell’opinione, invece, che essa
scenda dall’alto verso il basso. Cioè il cattivo esempio che parte dall’alto
incoraggia chi sta in basso a delinquere ignorando principi e normative. Se, in
nome della cosiddetta ‘politica del fare’, si diffonde immoralità all’insegna
dell’arricchimento sfrenato e si incita a odiare i giudici che quell’accumulo di
ricchezza lo vorrebbero legale (cioè nel rispetto della normativa vigente:
vedasi il problema della scarsa trasparenza degli appalti pubblici), non si
raggiunge l’obiettivo volto ad affermare nella società le virtù civili. Certo,
il governo di centrosinistra non è affatto esente da critiche. Non legiferò per
abolire il conflitto di interessi, in ciò sbagliando clamorosamente e purtroppo,
nel frattempo, la società italiana ha interiorizzato molte delle patologie del
berlusconismo. No, dunque, a poteri assoluti. La democrazia è un insieme di
poteri che si frenano l’un l’altro affinché nessuno commetta abusi. Si elimini
lo ‘spoil system’ per giungere alla auspicata neutralità dei pubblici
funzionari. Si vietino le cariche pubbliche a vita per facilitare il ricambio
delle classi dirigenti. Si riformi gran parte della struttura sociale (privilegi
di nascita, discriminazione delle donne, cariche assegnate per cooptazione,
deputati e senatori non eletti ma designati dalle segreterie, trionfo del
demerito, lotta alla cultura dell’illegalità, ministri per meriti speciali,
precariato a vita per molti giovani e non solo, e via elencando).
Naturalmente la ‘cultura critica’ potrà essere di aiuto per riplasmare il Paese,
tenuto conto del fatto che si sente l’esigenza di trasferire nuove riflessioni
etiche e filosofiche nella pratica politica in modo da comprendere e affrontare
i problemi correnti. Le difficoltà, tuttavia, non mancano.
“Oggi l’elemento che più paralizza il ceto intellettuale nel suo virtuale ruolo
critico dirigente è la prepotenza del sistema mediatico, intimamente appiccicato
al sistema politico. Solo in apparenza infatti il sistema mediatico esercita la
sua funzione critica. In realtà cementa insieme la classe politica esistente”
(…) “In televisione non si scambiano argomenti in grado di convincere. Ci si
insulta. E’ sconcertante, ma è così”. (…) “La scissione, il sistematico mancato
incontro tra l’energia propositiva intellettuale e l’energia realizzatrice
politica è la scoperta più sconfortante degli ultimi anni”. (Gian Enrico Rusconi,
docente presso l’Università di Torino).
In queste condizioni, c’è il fondato rischio che possa aumentare l’area della
cosiddetta “antipolitica” (un atteggiamento di totale rifiuto e disaffezione
della politica) che occupa attualmente il 23 per cento circa dello spazio
politico. Sono cittadini che rispetto alle tradizionali categorie di destra, di
centro e di sinistra, rifiutano assolutamente di definirsi. Non si sentono
vicini a nessuna forza politica. Non hanno fiducia nelle istituzioni e rispetto
ai problemi del Paese pensano che sia tutto inutile, perché la casta dei
politici non sarà mai in grado di fare qualcosa