14/1/2010 ● Cultura
"Il terremoto" di Filippo Salvatore
La poesia di Filippo
Salvatore.
Il terremoto | Filippo Salvatore
Quando il sole si copre di macchie
e in sciame di centripete forze
allinea pianeta Terra e perigeo lunare,
celestiale marea percuote montagne e mari.
Per attrito si sollevano rocce di faglia
ad angolo alto e per subduzione si frastagliano.
Sgorga a fiotti da anfratti la lava
e scorre incandescente su fondali di mare.
Se pressione d’acqua profonda
non riduce la violenza dell’eruzione
diventa scontro di telluriche placche,
epicentro.
Immense si ergono allora anomale onde
che ponti, strade sommergono e con forza
immane case, palazzi, cattedrali
percuotono e cumuli di detriti
rendono città intere tanto periture.
Con breve tremoto, come alito, perisce
umana superbia e pretesa di eternità.
In bozzale sguscia superstite un’anquilla,
pùtride sèccano al sole le meduse
e lùccicano squame argènteee di cèfali.
Bòzzima è la spiaggia. E dalla scarpata abbaiare
di branchi di cani e sulle colline bramiti.
Per i campi tra arso loto, tronchi e rami
scorticati e terra brenna per la salsedine.
Non fruscìo d’ali d’api provvide
per la regina, ma ronzio di fuchi;
fùcina di pòllini non è più il pino
divelto; risecca bresca è l’alveare.
E teschi da aguzzi becchi scarnati
né pianti né deposti in lòculi o favissa.
Rossa ruggine su fèrree bràttee,
illeggibili i nomi incisi su làpidi di marmo.
Vane ormai per eredità d’affetti
le ceneri di amanti che sparge nell’aria
da franti reliquari lo scirocco sibilando.
Remo da bratto è umana spiegazione,
funzione beta la logica di Natura.
Tanti i singhiozzi senza senso.