18/12/2009 ● Cultura
Libertà di (es)pressione sul web
“Controllare” la libertà di espressione sul web. Ma,
storicamente e culturalmente, non è la prima volta che
il potere politico si cimenta in questo “esercizio democratico”. A proposito di
web, la seconda carica dello Stato ieri ha dichiarato: “si leggono dei veri e
propri inni all'istigazione alla violenza. Negli anni 70, che pure furono
pericolosi, non c'erano questi momenti aggregativi, che ci sono su questi siti.
Così si rischia di autoalimentare l'odio che alligna in alcune frange”. Il
presidente del Senato, Renato Schifani, ha poi concluso promettendo agli
italiani: "una
cosa è certa, qualcosa va fatto".
Per quanto riguarda gli utenti di Internet, il ministro per le Infrastrutture,
Altero Matteoli ha prospettato una eventualità legislativa: ''sanzionare chi supera
determinati limiti”. I "limiti" in Internet già ci sono, perché ogni accesso
alla navigazione nel web avviene attraverso un'utenza "regolarmente"
registrata (IP). Perciò resta da comprendere cosa s'intende per “chi”,
per “supera” e per “determinati”, nelle parole di Matteoli. Come dire: se capita ogni tanto qualcuno che guida contromano… si rischia di chiudere la strada? Vedremo nei prossimi
giorni.
Senza alcuno orientamento politico di destra o di sinistra – non ci interessano perché in
gioco è la libertà di espressione – gli argomenti di questi giorni mi hanno
“fatto” riflettere sul pensiero di Enzo Biagi. “La televisione -
sosteneva Enzo Biagi - è un grande mezzo di comunicazione, lo dimostra il
fatto che un signore che non era votato alla politica, disponendo delle
televisioni è diventato il nostro presidente del Consiglio. Siamo l’unico Paese
al mondo che ha questo tipo di fenomeni. Non c’è mica stato un colpo di Stato:
il presidente del Consiglio è democraticamente alla guida di questo Paese,
rispecchia la volontà degli italiani [...]. Al cimitero, quando è morto Indro
Montanelli, ho chiesto se potevo restare con lui due minuti perché dovevo dirgli
due cose. Se ne sono andati molto rispettosamente e io gli ho detto: «Indro,
dicevi che certi personaggi dovevamo provarli. Ho l’impressione che abbiano
sbagliato la dose»."
Ciò che è accaduto a Sivlio Berlusconi (grazie alle televisioni) si è ripetuto
per Barack Obama (grazie a Internet). Ma davvero non c'è differenza tra
televisioni e internet, in termini di libertà? “Credo - è il pensiero di
Enzo Biagi - che la libertà sia uno dei beni che gli uomini dovrebbero
apprezzare di più. La libertà è come la poesia: non deve avere aggettivi, è
libertà.
Sulla mia tomba vorrei fosse scritto: "Disse sempre quello che poteva, mai
quello che non voleva".
Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle
medie: lo immaginavo come un "vendicatore" capace di riparare torti e
ingiustizie [...] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire
il mondo". Anche Silvio Berlusconi crede nella libertà (chiama il suo partito "Popolo
della libertà"), ma non
condivideva quella di Biagi. "Ero - sostenne Biagi in un'intervista -
l'uomo sbagliato al posto sbagliato: non sapevo tenere gli equilibri politici,
anzi proprio non mi interessavano e non amavo stare al telefono con onorevoli e
sottosegretari [...] Volevo fare un telegiornale in cui ci fosse tutto, che
fosse più vicino alla gente, che fosse al servizio del pubblico non al servizio
dei politici.
Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e
l'acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata”.
Nell’ultima puntata de “Il Fatto”(18 Aprile 2002) - allorché fu “deciso e
applicato” il famoso “editto bulgaro” nella televisione di "Governo",
la RAI - Enzo Biagi
compone il suo inno alla libertà di espressione.
"Non è un gran giorno per l’Italia: per quello che succede in casa e per
quello che si dice fuori. [...] Ma c’è, anche, chi all’estero parla di
crimine. Da Sofia il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non trova di
meglio che segnalare tre biechi individui, in ordine alfabetico: Biagi, Luttazzi,
Santoro che, cito tra virgolette: “Hanno fatto un uso della televisione pubblica
– pagata con i soldi di tutti – criminoso. Credo sia un preciso dovere della
nuova dirigenza Rai di non permettere più che questo avvenga“. Chiuse le
virgolette. Quale sarebbe il reato? Stupro, assassinio, rapina, furto,
incitamento alla delinquenza, falso e diffamazione? Denunci. Poi il Presidente
Berlusconi, siccome non prevede nei tre biechi personaggi pentimento o
redenzione – pur non avendo niente di personale – lascerebbe intendere, se
interpretiamo bene, che dovrebbero togliere il disturbo. Signor Presidente
Berlusconi dia disposizione di procedere, perché la mia età e il senso di
rispetto che ho per me stesso, mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri. Sono
ancora convinto che in questa nostra Repubblica ci sia spazio per la libertà di
stampa. E ci sia, perfino, in questa azienda che, essendo proprio di tutti, come
lei dice, chi vorrà sentire tutte le opinioni. Perché questo, signor Presidente, è
il principio della democrazia. Sta scritto - dia un’occhiata - nella Costituzione.
[...] Questa, tra l’altro, viene presentata come televisione di stato,
anche se qualcuno tende a farla di Governo, ma è il pubblico che giudica.
[...] Lavoro qui dal 1961 e sono affezionato a questa azienda. Ed è la prima
volta che un Presidente del Consiglio decide il Palinsesto, cioè i programmi, e
chiede che due giornalisti, Biagi e Santoro, dovrebbero entrare nella categoria
dei disoccupati. L’idea poi di cacciare il comico Luttazzi è più da impresario,
quale lei è del resto, che da statista.
Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata de “Il Fatto”. Dopo
814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere
cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi
patteggiamenti. Signor presidente Berlusconi, non tocca a lei licenziarmi. Penso
che qualcuno mi accuserà di un uso personale del mio programma che, del resto
faccio da anni, ma per raccontare una storia che va al di là della mia
trascurabile persona e che coinvolge un problema fondamentale: quello della
libertà di espressione".