11/12/2009 ● Politica
Al mercato della politica
C’era una volta …il bene
comune, c’era una volta…una politica tesa alla messa in campo di scelte a favore della
gente, facendo sì che quel bene comune fosse possibile.
I partiti si sforzavano di ascoltare e di dare risposte alle loro problematiche,
anche se attraverso strade differenti. In caso di responsabilità delegata nella
gestione della cosa pubblica i partiti erano attenti a verificare l’impatto dei
provvedimenti tra gli elettori.
C’era una volta e ora non c’è più.
Oggi come allora il consenso rappresenta l’oggetto del desiderio dei partiti, ma
è ormai crollato ogni freno inibitore nella sua ricerca.
Ora più che mai il fine giustifica, machiavellicamente, tutti i mezzi.
Il Molise brilla in questo campo data l’ampiezza del raggio di azione in cui una
certa politica si insinua per generare consenso diffuso. L’origine di questo mal
costume è datato dall’avvento di Iorio come Presidente della Giunta Regionale,
prima legittimato da un inciucio, e poi favorito dalla palude berlusconiana.
Trenta anni fa avevamo un Presidente di Giunta che si dotava di un Piano di
sviluppo regionale, di un Piano regionale delle acque mentre oggi ci dobbiamo
consolare con il “famigerato articolo 15” e con tutti gli strumenti
programmatori che si sono tramutati in finanziamenti a pioggia inefficaci a
risolvere i problemi dei vari settori produttivi in crisi al di là del momento
di congiuntura nazionale e mondiale.
La differenza tra la buona politica e la cattiva politica sta nella percezione
del senso di responsabilità; la buona politica semina anche se per raccogliere
molto tempo dopo, lavora per le nuove generazioni. La cattiva politica, invece,
fa scelte di portata ridotta per una visibilità immediata e per comprare il
consenso.
“Comprare”: questa è la parola chiave.
Il mercato non regola solo l’economia ma è entrato nel mondo politica locale
dove si assiste a posizioni dominanti, tali da invocare un ipotetico Antitrust,
e dove si compra e si vende tutto.
Si compra un qualunque consigliere di maggioranza perché si possa ribaltare la
volontà popolare sancita da elezioni democratiche. Si esalta il voltagabbana di
turno, imitativo del personaggio biblico, a meno della sua decisione finale e
del prezzo pattuito, molto più di trenta danari. Non c’è più neppure il pudore
di aspettare la ricompensa: si passa subito all’incasso incamerando il nuovo
incarico, senza alcun imbarazzo iscrivendosi al nuovo partito del fare e
dell’avere.
In verità, si compra anche quando non vi è tale necessità, ma lo si fa per
esaltare la propria forza. Una forza da mostrare a quanti abbiano in mente di
scalare il vertice della piramide.
Ultimamente, oltre ai voltagabbana, sono in vendita anche le rinunce, ovviamente
opportunamente compensate. Il discorso è lineare: tu mi liberi questa casella e
io ti do la ricompensa. E’ il vecchio principio di una fava e due piccioni. Per
punire tali condotte dovrebbe essere previsto un nuovo reato penale: la
“rinuncia di scambio”.
La cosa più eclatante è che, sapendo di dover traslocare, il rinunciatario, in
un ambiente in cui la classica stretta di mano non basta a suggellare un accordo
tra galantuomini, si assicura, talvolta con clausole statutarie a garanzia del
futuro, che la futura residenza non faccia rimpiangere l’attuale. Tutto ciò
avviene anche perché la politica locale ha normalizzato una parte della stampa
locale, piegata anche dalle necessità economiche e costretta a ricorrere al
mercato della politica.
Se in tutti questi anni il potere politico non ha conosciuto ostacoli, significa
che alcuni contrappesi democratici hanno scarsamente funzionato e persino quanti
operano fattivamente per il bene comune non hanno denunciato in modo adeguato
tale mercificazione. Occorre che ciascuno faccia la propria parte non
rinunciando a battersi per una diversa politica possibile con la certezza che la
gramigna non soffocherà il grano.