31/10/2009 ● Cultura
Alla Porta del Paradiso
Dopo aver conosciuto quali
erano le entrate dell’università, passiamo ora ad esaminare la vita che si
conduceva in un convento e quali erano i rapporti di una comunità religiosa con
quella civile.
Iniziamo prendendo in considerazione il convento di S. Eremo.
Questo convento detto anche “Alla Porta del Paradiso” fu fondato nel XIV
sec. da Agnese di Durazzo. Distante poco più di un chilomentro dal paese, esso
era immerso in un bosco esteso che allora copriva tutto l’attuale colle di S.
Adamo.
La sua chiesa era frequentata da molti pellegrini ed era tenuta in una certa
considerazione come attesta un documento del 1546. In esso si dice che un certo
don Sante De Veneziis: “ …lassa alli frati de Santo Eramo per l’anima de ipso
testatore et per loro fatige per andare e tornare dal loro convento uno castrano
(agnellone) et uno barilo de vino del migliore et, se per sorte non si
contentasse del castrano, se li habbia da dare carlini quatro…”
Successivamente aggiunge: “ …Ancora lassa alla lampa de S. Eramo pignati tre
de oglio (un pignato era pari a l. 4 circa) e ancora: “ …alla venerabile
ecclesia de S. Eramo et frati, perché se habiano da celebrare le messe di S.
Gregorio e de la grazia, alli quali li lassa la elemosina secondo il solito.
(Atti del not. G. L. De Manfrodino 1546, doc. 36, pag.58).
Nella metà del XVI sec. le condizioni economiche di questo convento erano
piuttosto precarie, come attestano due atti notarili dell’epoca.
Ecco il primo, datato 1546.
COMPRAVENDITA
[Doc. 58 Pag. 72]
Il giorno 25 del mese di agosto 1546. Correndo la IV indizione. Nel
territorio di Guglionesi, nel venerabile monastero di S. Eramo; presenti: Lillo
De Nona della predetta terra, per il presente anno giudice annuale illetterato,
io stesso G. Leonardo De Manfrodinis di Lanciano ed i testi sottoscritti,
letterati e illetterati, cioè: mastro Cico De Colantonio, G. Geronimo De Gerisa
ed Evangelista Valletta della detta terra di Guglionesi.
Oggi predetto giorno e luogo si sono personalmente costituiti i reverendi padri
fra Innocenzo De Cilinzone, guardiano del venerabile monastero di S. Eramo della
detta terra di Guglionesi, fra Francesco da Castropignano, vicario, fra Geronimo
della terra di Vasto Aimone e la maggior parte dei monaci anziani del detto
monastero congregati e convocati al suono della campanella come è costume e
asserirono, a nome e per parte del detto monastero e convento, che tra gli altri
beni del detto monastero, hanno e posseggono, a giusto titolo e in buona fede,
una certa casa sita nella terra di Guglionesi, nella parrocchia di S. Pietro,
confinante da un lato con Cesare De Tumesio, dall’altro lato con l’orto di
Leonardo Mancini, davanti con strada pubblica e altri confini, franca.
E, fatta la predetta asserzione, i predetti guardiano e frati di cui sopra, per
l’utilità e la necessità del detto monastero, deliberarono di vendere a qualcuno
e alienare (la detta casa) al maggior offerente. E poiché, come dissero, più e
più volte fecero bandire in luoghi pubblici della detta terra di Guglionesi, nei
giorni festivi e feriali ad alta e intelligibile voce, secondo l’usanza dei
banditori, e accesa e spenta una candela, come richiesto, nessuno offrì più di
Cesare De Tumesio della detta terra di Guglionesi che si dichiarò pronto a
comprare la detta casa per il prezzo di ducati dieci di carlini d’argento.
Volendo perciò la detta deliberazione portare ad effetto, i predetti guardiano e
frati sopranominati, col consenso di Iannitto De Silvestro della detta terra di
Guglionesi, procuratore del detto monastero, ivi stesso presente, senza
costrizione, avuto anche il permesso del reverendo ministro della detta
religione, come dissero, ma di loro pura e spontanea volontà, per diritto
proprio e in perpetuo vendettero, alienarono e con atto pubblico, in modo
legittimo, assegnarono allo stesso Cesare De Tumesio, ivi stesso presente per
sé, la detta casa come sopra limitata e confinata, giusto i suoi legittimi e
naturali confini libera; da aversi con tutti i diritti e con tutti gli accessi e
uscite, i suoi usi e pertinenze fino alla strada pubblica, per il prezzo e a
nome di prezzo definito di ducati dieci di carlini d’argento, cioè alla ragione
di carlini dieci per ciascun ducato di moneta corrente di questo regno, del
quale prezzo, totale e integro i detti venditori, davanti a noi, presentemente e
manualmente ebbero e ricevettero dallo stesso compratore tre scudi d’oro alla
ragione di carlini undici per ciascun scudo e i rimanenti, i detti venditori
sopra nominati, in vero confessarono di aver avuto e ricevuto dallo stesso
compratore, per il motivo predetto, in buona , scelta e numerata moneta, eccetto
la ricezione futura. Se anche la detta casa, di cui sopra venduta, valesse di
più, i detti venditori sopra nominati donarono allo stesso compratore presente,
a titolo perpetuo di donazione, irrevocabilmente fra i vivi, sulla quale casa
venduta i detti venditori non hanno riservato alcun diritto per sé stessi o per
qualcun altro di essi sotto qualunque titolo, ma i detti venditori sopra
nominati, dal presente giorno della stipula di questo contratto, con pieno
diritto trasferirono e consegnarono, davanti a noi, al detto compratore
realmente libera e pronta in tutto sin d’ora.
E i detti venditori, davanti a noi, diedero allo stesso compratore la detta casa
di cui sopra venduta, e costituirono sé stessi sopra nominati di concedere in
tutto la detta casa e che (il compratore) prende per intero, in virtù di detto
contratto.
E i detti venditori sopra nominati promisero e si impegnarono, sotto ipoteca e
obbligazione di tutti i beni di detto monastero, di non portare allo stesso
compratore alcuna lite e questione in giudizio o extra sulla detta casa venduta
o su una parte di essa, ma la stessa casa venduta con tutti i suoi diritti,
tanto di possesso che di proprietà, sempre e in ogni tempo futuro liberano da
ogni debitore con oneri propri degli stessi venditori, eredi e successori.
E promisero di ritenere valida e ferma e di non invalidare la detta vendita,
sotto pena del raddoppio, eccetto del danaro non consegnato; quindi rinunziarono
e giurarono.
Due anni dopo, i monaci dello stesso convento, per far fronte alle spese,
sono obbligati a vendere un altro loro immobile.
Ecco come un documento del 1548 riporta il fatto.
COMPRAVENDITA
[Doc. 42 Pag. 74]
23 Settembre 1548 - In favore di Mastro Matteo
Il giorno 23 del mese di settembre 1548. Nel venerabile monastero e
convento di Sant’ Eremo della terra di Guglionesi. Correndo la VII indizione.
Presenti Leonardo De Marucia di Antonio, per il presente anno giudice
annuale, illetterato, e io notaio Giovanni Leonardo e i testi sottoscritti
letterati e illetterati, cioè: il magnifico Felice De Roveris, Fabio De Geriso
di Silvestro, Antonio (Iannoli) ( le parole entro le parentesi tonte nel
testo sono poco chiare) e Berardino De Torre di Giulio della detta terra di
Guglionesi.
Il predetto giorno e luogo, in nostra presenza si sono personalmente costituiti
i reverendi padri: fra Paolo di Altamura guardiano del monastero di Sant’Eremo,
fra Geronimo De Vetta di Guglionesi, Giovanni Simone di (Mulignazio) longobardo,
Giovanni Bonaventura di Celenza (…) fra Giuliano di Cercepiccola, tutti frati
del detto monastero congregati e riuniti, al suono della campanella, nel luogo
dove dall’antichità sogliono riunirsi per gestire gli affari a nome e per parte
del detto monastero, con espresso consenso, autorità e presenza del nobile
Giovanni De Benedictis procuratore del detto monastero ivi stesso presente,
davanti a noi, asserirono che il detto monastero ha alcuni debiti e precisamente
ducati venti e tarì due che il detto monastero è tenuto a pagare per i lavori
della cisterna.
E poiché lo stesso monastero non ha oro né argento per poter e voler estinguere
il detto debito se non con la vendita della metà di una certa casa dello stesso
monastero sita nella terra di Guglionesi, nella parrocchia di San Giovanni,
confinante da un lato con il bene di Francesco De Martino, dall’altro lato con
la casa di Morapaolo, davanti con la strada pubblica e da piedi con i beni di
detto monastero di Sant’Eremo e altri confini, franca. E poiché più e più volte
fecero bandire con alta e intellegibile voce, come è solito, secondo il costume
del banditore, e poiché non si presentò nessuno che volesse comprare la detta
mezza casa, per il detto monastero fu apprezzata dai nobili Ferdinando Cacchione
e Cico Chiappino per ducati venticinque di carlini d’argento; e allora si
presentò mastro Matteo De Gers, longobardo, il quale si dichiarò pronto a
comprare la detta mezza casa per il detto prezzo di ducati venticinque. E fatta
la detta asserzione i predetti padre guardiano e frati a nome del detto
monastero, con questo atto, vennero alla sottoscritta convenzione col predetto
mastro Matteo ivi presente, perciò, oggi predetto giorno senza costrizione,
vendettero e con strumento, in modo legittimo assegnarono al predetto mastro
Matteo, ivi presente, la detta mezza casa, cioè la mità de la casa quale ei
partuta (è divisa) con Morapaulo cio tutta la parte compete alla ecclesia
per il prezzo e a nome di prezzo definitivo di ducati venticinque il quale
totale e integro prezzo i detti venditori davanti a noi, sopra nominati,
confessarono di aver avuto e ricevuto dallo stesso compratore in questo modo,
cioè: per factura della citerna ducati vinti e tarì duj et reliquo dicto
compratore ne fa opera ad ipso monasterio (fa lavori per il convento). E se per
caso valesse di più, lo donarono ad esso compratore per i molti servizi, graditi
e accettati che la detta chiesa ebbe dallo stesso compratore, da aversi franca e
con questo patto: che nullo (… apparato allo) muro verso lo casarino se no
Matheo paga ad ipso monastero lo muro ad ragione de carlenis (carlini) quinici
la canna (la canna era formata da otto palmi ed era equivalente a cm. 211,6
circa) assì como lo ipso lo have comprato, e si costituirono in tutto per lo
stesso di tenere e dare quanto col presente strumento davanti a noi diedero e
costituirono, salvo e con riserva in tutto dell’assenso e consenso del reverendo
ministro del detto ordine; e promisero i detti venditori, i nomi di cui sopra,
con l’autorità di cui sopra di ratificare con l’obbligazione di tutti i beni del
detto monastero e sotto pena del raddoppio. Quindi, si toccarono il petto e
giurarono il vero.
Il canonico Rocchia riferisce che nel 1567 questo convento fu saccheggiato dai
turchi, ma che in breve tempo si risollevò, tanto che nel 1614 vi si tenne il
capitolo provinciale.
Fu soppresso nel 1883 e il suo territorio fu trasformato in cimitero (A.M.Rocchia,
"Cronistoria di Guglionesi....", pag.109).
Cosa ci rimane di questo convento?
Brandelli di muri, la chiesa, il pozzo e notizie di vita quotidiana che possiamo
ricavare dai documenti citati.
Veniamo a sapere per esempio che la realizzazione del pozzo del chiostro del
convento (che è quello che utilizziamo ancora oggi nel cimitero) è costato
ducati venti e tarì due (un tarì equivaleva a due carlini). Che nell’università
di Guglionesi, oltre a quella di S. Maria Maggiore, esistevano le parrocchie di
S. Giovanni e di S. Pietro. Che diversi cittadini, dopo secoli, continuavano ad
identificarsi col termine “longobardo”. Possiamo ancora conoscere quale era la
lingua volgare, cioè l’italiano che si parlava allora nella nostra regione.
Notizie minori certo, ma che assieme ad altre ci permettono di ricostruire la
vita della nostra comunità.
Stemma francescano sul portale della chiesa di S. Giovanni in Eremo
Resti del convento di S. Giovanni in Eremo
Il pozzo e la chiesa del convento di S. Giovanni in Eremo
Il pozzo del convento di S. Giovanni in Eremo
La "quercia di S. Pasquale", albero secolare piantato dai monaci del convento
La chiesa di S. Giovanni in Eremo
[Foto archivio di Fuoriportaweb]