15/9/2009 ● Poesia
Italianesi, un popolo da inventare
Italianesi, un popolo da inventare
(a Pier Giorgio Di Cicco)
La nostra forza, il nostro martirio
è sapere di essere italianesi,
sangue morto e risorto.
E siamo i Principi redivivi,
tu fra gli inglesi, io tra i francesi,
la voce di gente nutrita di silenzio.
Ogni nostra parola,
ogni giorno della vita ,
è miracolosa resurrezione.
Siamo, amato fratello italianese,
superstiti del vecchio mondo,
quello millenario
di Etruschi e di Frentani,
siamo i demiurghi,
con parole ancora da scoprire,
della razza da inventare.
Nelle nostre città settentrionali
è lo scirocco che ci brucia
le vene a renderci sospetti
agli atletici, asettici, puliti,
superbi cibernetici tecnocrati,
adoratori del plus valore
quantitativo, cumulativo,
progressivo, esponenziale,
lineare, planetario, galattico,
che ignorano
come si assapora
la lacrima di miele di fico
con la punta della lingua,
l’arte di far gioire una donna
senza toccarla,
di amarla senza possederla.
Ma tra i ruderi,
o nei palazzi barocchi
invasi da lupi sedentari
che non hanno mai visto
laghi grandi come mari,
praterie annerite
da mandrie di bisonti
ghiacciai spessi
come calotte polari,
grattacieli,
dieci volte gli anfiteatri,
è l’apocalisse subita
a farci diversi.
Abbiamo avvistato e sorpassato
il monte proibito, e, presi nel vortice,
siamo periti e chissà come,
riemersi dalla prora in su e
rinati oltre Gibilterra.
Il nostro martirio non si risolse
in ossimori costanti,
abbattè muri invalicabili
con sopra cocci di bottiglie.
La nostra apocalisse
non fu nulla permanente.
E siamo ora
vecchi di nascita, non di costumi
giovani di adozione, non di visione.
Siamo italianesi,
un popolo da inventare.