BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


25/7/2009 ● Cultura

Veglia funebre [parte I]


  Domenico Aceto ● 3674


Fuoriportaweb pubblica, in esclusiva "prima nazionale", la prima parte del racconto "Veglia funebre" di Domenico Aceto.


Domenico Aceto
Veglia funebre

Parte I
 

Alle ore 17 di venerdi 17 novembre 1942, viene a mancare all’affetto dei suoi cari Adamo Santilli, calzolaio. Da tutti conosciuto come «compare Dammuccio». E’ morto all’improvviso; mentre, seduto al suo banco di lavoro, sta risuolando una scarpa.
La notizia della sua morte si sparge nel quartiere in un baleno, e da qui rimbalza per il paese. E’ conosciuto da tutti, perché è uno degli unici tre o quattro socialisti dichiarati. Quelli che, ogni 1° maggio, festeggiavano la ricorrenza astenendosi dal lavoro e facendo una scampagnata al cimitero.
Ha dimostrato questa sua fede ( e di fede bisogna parlare) in ogni occasione. Ciò gli ha fatto subire angherie e dispetti di ogni genere da parte dei fascisti sin dal fatidico 1922. Subito dopo la marcia su Roma, ad esempio, in occasione del discorso di un gerarca, venuto dalla capitale, aveva osato presentarsi in piazza con una vistosa cravatta rossa e il giornale l’«Avanti» sotto il braccio, con il titolo ben in evidenza. Questo giornale, che esibiva molto spesso, era una vecchia copia, avuta da un avvocato socialista che era stato il suo maestro.
Ma questa volta, la sua esibizione aveva causato la rabbiosa reazione dei fascisti locali che, la sera dello stesso giorno, lo avevano preso di sorpresa e gli avevano fatto ingurgitare una bottiglia di olio di ricino.
E’ anche conosciuto come un incallito anticlericale. A Cola, suo compagno di fede politica, che aveva appena avuto un figlio, aveva suggerito di chiamarlo «Anticlero». Cosa che regolarmente avvenne. Così, questo incolpevole bambino, per tutta la vita, testimonierà l’amicizia di suo padre per compare Dammuccio. Dai suoi concittadini, in sintesi, è ammirato o disprezzato, secondo i punti di vista.
Lascia la moglie Maria, benpensante e spesso in contrasto con lui, e la figlia Giulia, quasi quarantenne, nubile. Il padre adoperava questo termine al posto di «zitella», poiché aveva un significato più vago e perché, da come suonava, aveva qualcosa di nobile.
Alle grida accorrono tutte le donne del vicinato che, in breve riempiono la casa, manifestando ognuna il proprio stupore per l’improvvisa dipartita.
«Chi poteva immaginare una cosa simile!» dice una delle prime accorse. «Era il ritratto della salute.»
Un’altra, indicando il banco di lavoro, ricorda: «Mi pare di vederlo ancora lì, seduto al suo banco mentre, cantando, batteva con il suo martello».
«Me lo sentivo che qualcosa doveva accadere», continua a ripetere la moglie, che dà una sua spiegazione dell’accaduto. «Da tre giorni sentivo una civetta cantare dal tetto di fronte.»
«Guai a dove guarda la civetta», conferma un’altra comare. «Anche quando è morto la buonanima (allude al proprio marito), c’era una civetta che, per quasi un mese, tutte le notti ha cantato dal tetto della casa di fronte. A nessuna viene in mente che, forse quella povera civetta cantava da quel tetto semplicemente perché lì aveva fatto il suo nido.
Intanto continua ad arrivare gente. Giunge anche la moglie del podestà, che abita poco distante. Anche lei, come il marito, fascista della prima ora. «Ma», come aveva detto entrando, «di fronte alla morte, la politica non conta.» Anche se poi, andando via, aveva confidato alla moglie del panettiere: «Sì, compare Dammuccio era una brava persona, per l’amor di Dio, Ma era un po’ disfattista. Io stessa, da casa mia, spesso l’ho sentito cantare certe canzoni… a dir poco da traditore. Conosci quella che dice: «Adesso viene il bello, adesso viene il bello, Inghilterra, Inghilterra, la tua fine è segnata già»? Ebbene, sai come la cantava lui? “Adesso viene il bello, adesso viene il bello, senz’olio nella padella non si può cucinar.” D’altronde, non è un mistero che non potesse soffrire i fascisti, specialmente perché gli avevano fatto bere l’olio di ricino».
Cominciano ad arrivare anche gli uomini. Ci sono i due cugini di compare Dammuccio, alcuni amici del vicinato e Cola il rosso, l’inseparabile compagno di fede politica. Ha questo soprannome non solo perché socialista, ma anche per via della capigliatura e di una folta barba color rosso Tiziano. Insieme hanno sostenuto tante lotte.
Tutti fanno una visitina al capezzale del defunto, poi si sistemano nel vano d’ingresso, dove possono anche fumare. Cola invece, contempla l’amico più a lungo e scuote il capo con un’espressione d’incredulità. Poi, quasi con tono di rimprovero, gli dice: «Potevi aspettare ancora un po’ prima di andartene! Non hai potuto vedere questi pagliacci vestiti di nero finire nella polvere» (allude, è chiaro, ai fascisti). «Ma, porco mondo, io ci sarò!», aggiunge con determinazione. «E ci sarò anche per te!» Quindi raggiunge gli altri uomini e si arrotola una sigaretta.
Nella camera dove c’è il morto intanto le donne, sedute attorno al letto, iniziano la veglia funebre alternando preghiere a discussioni sul destino degli uomini, la caducità delle cose e l’aldilà.
«Di sicuro, ora ha già incontrato tutti i parenti», dice una delle pie donne.
«Chi lo sa?» ribatte un’altra. Poi, con aria sicura, come se ne fosse appena tornata, aggiunge: «Credete forse che l’altro mondo sia una piazzetta? Con tutti i morti che ci sono, soprattutto ora che c’è la guerra, mica è facile trovare le persone!».
«Ma che dici!» Interviene una terza, tutta scandalizzata. «Quelli, i paesani si mettono riuniti. Io sono sicura che ha già incontrato anche mia madre.» Quindi, rivolta al morto, aggiunge: «Ti raccomando, compare, portale tanti saluti. Dille pure che poteva aspettare ancora un po’ a morire. Almeno fino a quando finivamo di zappare la vigna».
«A me deve fare un piacere più grande», interviene un’altra comare, che vuole anche lei approfittare di compare Dammuccio, in viaggio per l’altro mondo, per regolare una questione di famiglia col proprio padre, morto qualche anno prima. Spiega quindi alle presenti: «Deve dire a mio padre che sono arrabbiata perché ha lasciato tutti i beni a mio fratello Antonio. Tutto ad Antonio, capite? La vigna, il casino, la casa. Non ero forse anch’io sua figlia?». Mentre tutte approvano con il capo e con un viso di circostanza, lei con ostinazione continua a ripetere: «Tutto ad Antonio, tutto ad Antonio!». Infine, rivolto al morto, gli ingiunge: «Compare, questo favore me lo devi proprio fare. Ricordati che io sono stata sempre tua cliente». E qui marca il tono della voce.
Ma ciò non piace alla figlia del defunto che le risponde: «Ora, solo perché è stata cliente, una può chiedere tutti i servizi che vuole. Sì, qualche saluto passi, ma queste sono faccende da avvocati. E mio padre, che ne sa di queste cose?».
«Certo ora chiarirà ogni cosa con il Padreterno.» Interviene un’altra, introducendo il tema politico, per allentare la tensione che si sta creando. «Gli dirà anche perché era socialista.» Ma qui è comare Maria che, prendendo le difese del marito, ribatte: «Perché i socialisti non sono figli a Dio? Mio marito la pensava come la pensava, perché vedeva troppe ingiustizie e voleva cambiare questo mondo schifoso. Al contrario di tanti che vanno in chiesa tutte le mattine, ma non si curano del prossimo».
«Per carità, comare Maria», ribatte la donna, «volevo solo dire che quello, il Padreterno, vede tutto e capisce tutto.»
«D’altronde ognuno ha qualcosa da farsi perdonare», interviene un’altra. «Perciò c’è il purgatorio.» Poi, con tono rassegnato, aggiunge: «E chi non deve fare qualche annetto di purgatorio?»
Mentre si svolge questa discussione di teologia popolare, dalla strada si odono all’improvviso delle grida che, man mano, aumentano d’intensità. Viene interrotto il discorso sull’aldilà e si leva un brusìo sommesso: «E’ la comare Assunta!».
«Sta arrivando la sorella del morto!»
Costei, da sempre in contrasto con la cognata, appena entrata, va al capezzale del fratello e, alludendo evidentemente alla cognata, comincia la sua orazione: «Fratello mio, l’ho sempre detto che, prima o poi, questa ti avrebbe fatto morire di crepacuore». Punta sul vivo, comare Maria ribatte: «E che! Doveva forse campare in eterno? L’ho sempre accudito come un re». E, chiamando a testimoni i presenti, aggiunge: «E’ vero o non è vero? Lo avete visto qualche volta con una camicia sporca? Gli facevo anche la scriminatura ai capelli prima che uscisse di casa».
L’antica ruggine esistente fra le cognate riaffiora più viva che mai. E vengono ricordati i maltrattamenti ai suoceri, un vano di casa conteso, la dote promessa e non data e perfino le spese per il matrimonio, avvenuto più di quarant’anni prima.
Le donne presenti non perdono una parola, approvando o disapprovando con l’espressione del viso, quanto viene detto.
Questa sceneggiata va avanti a lungo, finché una donna più anziana, rispettata da entrambe le contendenti, dice: «Su, non rivanghiamo il passato! Pensiamo piuttosto all’anima di compare Dammuccio», come se fossero loro a decidere della sorte di quell’anima. Detto ciò, inizia a recitare il rosario.
Le due cognate, forse anche perché stanche, accettano la tregua e iniziano a recitare le preghiere assieme alle altre. Ma, al terzo mistero doloroso, comare Assunta, come se fosse stata punta all’improvviso da uno spillo, sovrastando la voce di tutte, che avevano cominciato, prorompe: «E poi, quando è morto mio padre, che era anche il padre di tuo marito, non hai forse fatto indossare a tua figlia una veste rossa?».
Tirata in ballo, interviene la figlia-nipote: «Poiché era morto mio nonno, dovevo dismettere un vestito che avevo appena fatto? Mi dovevo seppellire viva? Ai morti non interessa il colore dei vestiti».
«Ma ai vivi i soldi dei morti interessano!» ribatte la zia-cognata.
[Fine prima parte, continua con prossima pubblicazione su Fuoriportaweb].

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