24/7/2009 ● Cultura
San Francesco [800]: "Non sono per niente frate minore"
“Eravamo illetterati e sottomessi a tutti”. Così scrive Francesco nel Testamento, ricordando gli inizi della fraternità. Nella minorità
esprime la sua relazione con l’altro. “Tutti siano chiamati semplicemente frati
minori”, scrive nella Regola non bollata, e subito aggiunge a commento le parole
di Gv 13,14: “e l’uno lavi i piedi all’altro”.
La minorità parla attraverso l’altro, attraverso il servizio e il prendersi cura
che crea la vicinanza e ci rivela fratelli. Non solo frati, ma frati minori,
appunto. La minorità è dunque via alla fraternità e nell’essere fratelli ci si
scopre tutti minori.
L’una non è possibile senza l’altra. Nel Memoriale, meglio noto come Vita
seconda, Tommaso da Celano racconta come lo stesso Francesco intendesse vivere
la minorità. Leggiamo: “Un giorno disse al suo compagno: Non mi sembrerebbe di
essere frate minore se non fossi nella disposizione che ti descriverò. Ecco –
spiegò – essendo superiore dei frati vado al capitolo, predico, li ammonisco, e
alla fi ne si grida contro di me: Non è adatto per noi un uomo senza cultura e
dappoco. Perciò non vogliamo che tu regni su di noi, perché non sei eloquente,
sei semplice ed ignorante. Alla fine sono scacciato con obbrobrio, vilipeso da
tutti.
Ti dico: se non ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa
letizia di animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate
minore”. Subito riconosciamo nelle parole di Francesco un episodio che abbiamo
avuto occasione di ricordare proprio sulle pagine della nostra rivista. Tommaso
probabilmente fa riferimento al capitolo delle stuoie. Il punto di vista però è
differente. Il colloquio ora si svolge tra Francesco e un altro frate, di cui
Tommaso tace il nome. Il capitolo è ormai concluso, forse da tempo. Perché
Francesco ne parla proprio adesso? Il tema questa volta non è quello della
Regola.
Il tema è quello della minorità alla quale Francesco dà un volto nuovo.
Rileggendo attentamente il testo, le parole di Francesco ci risultano sempre più
familiari fi no ad evocare altre parole e un altro colloquio tra maestro e
discepolo o meglio tra fratello e fratello, quello con frate Leone. “Ti dico: se
non ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia di
animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate minore”.
Francesco parla della letizia di animo. Sì, la letizia, la perfetta letizia! Non
è un semplice racconto, non è un invito, non è un desiderio. È la realtà
concreta del suo vivere, di chi sa conservare nel cuore la gioia anche di fronte
al rifiuto e al disprezzo del fratello. “Vattene, tu sei un semplice ed un
idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo
bisogno di te”.
Sono le parole conclusive del ben noto apologo sulla Perfetta letizia alle quali
Francesco risponde: “E io sempre resto alla porta e dico: “Per amore di Dio,
accoglietemi per questa notte”. E quegli risponde: “Non lo farò. Vattene dai
Crociferi e chiedi là”. Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò
conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la
salvezza dell’anima”. L’altro continua ad essere fratello. Francesco continua a
guardarlo così, conservando lo stesso volto. Qui è la vera letizia. Ed è l’altro
nome della minorità.
[Fonte: www.sanfrancescopatronoditalia.it/articolo.php?id_articolo=695]