BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


18/6/2009 ● Cultura

Dall'intervista al filosofo Paolo Rossi: la memoria, l'identità e i luoghi


  Redazione FPW ● 1839


Il tema della memoria non è solo un problema filosofico, ma è radicato profondamente nell'uomo, che ha il terrore di essere dimenticato. Il nostro desiderio di immortalità, indipendentemente dal fatto che crediamo o meno all'anima immortale, è comunque forte. Vorrei citare, a questo proposito, un famoso esempio letterario. Perfino dall'oltretomba ci è giunta, nella letteratura, l'espressione di questo profondo desiderio di non essere dimenticati, perché nei versi de La Divina Commedia, c'è uno che si rivolge a Dante e gli dice:
"Quando tu sarai nel dolce mondo
priegoti che alla mente altrui mi rechi
".
Questo uomo che sta nell'altro mondo desidera che Dante ricordi il suo nome sulla terra affinché esso non venga dimenticato. Questo tema del non essere dimenticati è una cosa così vasta che trova un'espressione peculiare; siamo pieni di oggetti che richiamano alla memoria qualcosa; per limitarci alle persone, i cimiteri sono luoghi che ci richiamano alla memoria le persone scomparse, come anche i monumenti, le stele, le lapidi, insomma sono modi per rendere in un'immagine fisica una presenza che non c'è più, per richiamare qualche cosa alla memoria, perché questo è indubbiamente un valore.
Si può affrontare questo tema su un piano di filosofia alta e ci si può anche rendere conto della sua presenza guardando ai prodotti culturali, per così dire, non accademici, che non appartengono alla cosiddetta alta cultura. C'è un film molto bello, Blade Runner, dove compaiono dei "replicanti", esseri artificiali assolutamente identici agli esseri umani, che vivono in mezzo a loro e che non sanno di essere dei replicanti. Il loro problema è proprio questo. Nel momento in cui si affaccia nella mente di una di queste replicanti, che nel caso specifico era una donna, il dubbio di essere tale, di non essere un vero essere umano, ma un automa (quindi qualcuno che ha una memoria che gli è stata inserita nel cervello come in una macchina e che non è la memoria vera), allora sopravviene una crisi e questa donna, guardando delle vecchie fotografie ingiallite su un pianoforte, si domanda se sono ricordi veri o sono falsi. Il dubbio che quei ricordi siano falsi la getta in una angoscia terribile, perché è una persona che non può avere nostalgia del passato.
L'assenza della nostalgia, l'assenza della memoria è, come si dice comunemente (mi sembra un'espressione ancora valida), una perdita dell'identità. Se non avessimo la nostra memoria non sapremmo chi siamo.
L'identità personale è fondata sulla memoria, sulla propria autobiografia. Io so che sono lo stesso di quando avevo tre anni e questa è un'assoluta certezza, direbbe David Hume, anche se non è in nessun modo dimostrabile: è un'assoluta certezza che deriva dalla memoria e dall'uso che faccio della memoria. Quella della memoria collettiva è soltanto un'analogia. Come la mia identità è data dalla memoria personale, allo stesso modo, entro certi limiti, posso dire che l'identità di un gruppo è data dalla sua memoria, tant'è vero che ogni gruppo, ogni partito o qualunque collettività umana, anche un club di persone che si riuniscono per giocare a carte, costruisce dei simboli che sono quelli che richiamano le finalità o gli scopi per i quali queste persone in qualche modo si trovano.
Viene da dire che il tema della dimenticanza non è un problema marginale; la memoria e la dimenticanza sono due cose collegate. Anche qui vale un'analogia forte. Che cosa vuol dire ricordare, ad esempio ricordare la propria vita? Vuol dire selezionare, ricordare pezzi, istanti, momenti.
Se una persona ricordasse tutto, si troverebbe in una situazione spaventosa, patologica. C'è un racconto di Borges molto bello che si intitola Funes el memorioso. Funes è un uomo che non può dimenticare nulla e, poiché non può dimenticare, non ha ricordi, ma ha una folla sterminata di cose che gli uccidono la mente, gli uccidono il cervello. Dice Borges: non ricorda soltanto il bicchiere su un tavolo, ma vede tutti gli acini dei grappoli d'uva, che formano la pergola che sta sopra il tavolo, ricorda tutto il tessuto che ha visto, quel bicchiere in quel modo specifico: ricorda, quindi, i singoli atti, istante per istante.
Quindi se non c'è dimenticanza, non c'è neppure memoria; avremmo soltanto quella specie di cosa spaventosa che sarebbe il ricordare tutto.
(…) Da una parte abbiamo dimenticato che la memoria è una storia, e cioè che è esistita un'epoca, nella nostra cultura, vicina — perché si tratta di pochi secoli fa — in cui la memoria veniva coltivata e rafforzata artificialmente negli esseri umani. Sì, c'erano delle vere e proprie arti della memoria e c'erano persone che utilizzavano quest'arte o si presentavano al pubblico, dicendo di aver utilizzato quest'arte e raggiungevano effetti abbastanza sbalorditivi, non proprio come quelli del paziente di Lurija ma andavano molto vicino. La cosa che mi ha interessato di più era: la comprensione di che cosa fosse quest'arte. Non è una gran cosa, nel senso che non è una cosa particolarmente difficile da spiegare e non ha nulla di sublime. E' una cosa che c'è in Cicerone, c'è in Quintiliano, c'è nella retorica antica, in Tommaso d'Aquino e c'è nei grandi mnemonisti del Quattro, del Cinquecento. La tecnica è abbastanza semplice: si prende un luogo fisico, per esempio una chiesa o una casa che abbia molte finestre, molte colonne — insomma un luogo geometricamente rappresentabile nella mente con facilità — e si memorizzano, in modo completo e assoluto, essendo sicuri di non sbagliare i luoghi, i cosiddetti "loca", i "luoghi" della memoria. Diciamola ancora questa parola: luoghi della memoria. Su questi luoghi si collocano delle immagini. Loro dicevano: i luoghi sono come la carta, le immagini come la scrittura. Cioè, i luoghi sono fissi e non li posso più cambiare, cioè, posso farlo, ma allora costruisco un altro sistema, le immagini sono mobili, sono come la scrittura sulla carta. In questo casa l'arte della memoria consiste nel collocare le immagini nei luoghi. Allora, se l'ambiente mi è molto familiare, ripercorrendo i luoghi, io rivedo una dopo l'altra le immagini. Queste immagini sono tali, per associazione o per contrasto, da richiamarmi la cosa che devo ricordare.
Una cosa abbastanza complicata, se uno ci pensa, perché è più complicata di quello che comunemente facciamo quando ci ricordiamo. Queste immagini, che caratteristiche devono avere? Pietro da Ravenna, che era il più famoso dei teologi dell' "ars memorativa" del Rinascimento, dice: devono essere immagini che eccitino l'immaginazione, tanto che lui dice di esitare molto a rivolgersi a un pubblico che, evidentemente, deve essere casto e non peccatore, non deve avere immagini peccaminose. Però, il miglior suggerimento che può dare è quello di collocare delle fanciulle nude nei luoghi, perché, dice, gli uomini ricordano con più facilità l'immagine di una fanciulla nuda che qualunque altra immagine.
(…) Una delle mie fortune fu di studiare con Eugenio Garin e quindi, in qualche modo, di sbarcare su due territori poco frequentati dai filosofi, dei quali uno era quello della tradizione ermetica o della tradizione magica della filosofia del Rinascimento, e l'altro, appunto, era questo dell'arte della memoria, ai quali io arrivai per una strada, per così dire, casuale, che è quella dell'importanza attribuita alla memoria che avevo riscontrato nei testi di Francis Bacon. Lui parlava esplicitamente di un'arte della memoria. Fui incuriosito da questo e partii su queste basi. Naturalmente il tema è rilevante nella tradizione filosofica. Basta pensare ai due grandi nomi canonici di ogni storia della filosofia, che sono Platone da una parte e Aristotele dall'altra. Quando Platone dice che ogni sapere è reminiscenza questo concetto , evidentemente, ha qualcosa a che fare con la memoria, anzi è strettamente legato alla memoria. Cioè, ogni cosa che sappiamo è il ricordo di ciò che abbiamo appreso in un'altra vita, in un altro mondo, prima di scendere in questo mondo. Nella filosofia di Aristotele la memoria occupa una parte estremamente importante e rilevante, però l'ottica è completamente diversa. Aristotele ha un atteggiamento che, in modo un po' affrettato, potremmo definire, scientifico. Cioè Aristotele si occupa di una delle facoltà della mente umana e distingue con grande cura, opera una distinzione, che poi era stata classica per tutto il Medioevo, per una larga parte dell'età moderna, tra memoria e reminiscenza. La memoria è quel fenomeno per cui ci vengono in mente cose del passato, la reminiscenza è quando cerchiamo nel passato di riafferrare un pezzo che è scomparso. Quindi, la reminiscenza ha un aspetto di consapevolezza che nella memoria è in qualche modo assente. E' ovvio che queste sono due ottiche, due modi di guardare la memoria, che in parte si intrecciano alla storia della filosofia, ma nella sostanza restano fortemente alternative, fortemente diverse. Voglio fare un solo riferimento alla filosofia, alla cultura contemporanea. Nella cultura contemporanea c' è un enorme interesse per la memoria, questo interesse per la memoria non è solo dei filosofi, ma è prevalentemente dei neurologi, degli psicologi, degli psichiatri, degli studiosi del cervello in generale. C'è poi una riflessione filosofica sulla memoria, anch'essa rilevante. Questa è una faccia, un aspetto del problema. L'altro - siamo nell'altra direzione, nell'altra dimensione - il tema della memoria ha a che fare maggiormente con questa tradizione platonica a cui accennavo prima. Faccio un solo esempio: se si pensa alla tematica dell'oblio dell'essere nella filosofia di Heidegger, ecco, quando si pensa a questo, allora ci si accorge che quell'antico tema del sapere, come reminiscenza o della presenza nel mondo dell'uomo come decadimento non è un tema scomparso nemmeno nella filosofia contemporanea. Si tratta, quindi di due tradizioni diverse, che, nel passato, hanno avuto dei rapporti e che tuttavia continuano a coesistere nel nostro stesso mondo.
[Fonte: Interviste, Paolo Rossi, La memoria, 29/11/1994]
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Paolo Rossi, è nato a Urbino nel 1923. Si è laureato a Firenze con Eugenio Garin. Nel 1947, sempre con Garin, ha conseguito il diploma di perfezionamento in Studi Filosofici. Dal 1950 al 1959 è stato, a Milano, assistente di Antonio Banfi. Libero docente in Storia della Filosofia nel 1954, è stato professore incaricato di Filosofia della Storia nella Facoltà di Lettere dell'Università di Milano dal 1955 al 1961. Ordinario di Storia della Filosofia dal 1961, ha insegnato nelle Università di Cagliari e di Bologna e, dal 1966, nell'Università di Firenze. Nel 1959 ha conseguito un "Research Grant" presso il Warburg Institute della London University. Nel 1970 è stato "Visiting Fellow" presso il Wolfson College della Università di Cambridge. Nel 1972 è stato eletto membro del Comitato 08 del Consiglio Nazionale delle Ricerche e rieletto nel 1977. Dal 1980 al 1983 è stato Presidente della Società Filosofica Italiana e, dal 1983 al 1990, presidente della Società Italiana di Storia della Scienza. Nel 1981 è stato eletto Socio Corrispondente della Accademia Pontaniana di Napoli. Nel 1985 gli è stata conferita dalla "History of Science Society" (U.S.A.) la "Sarton Medal" per la Storia della Scienza. Nel 1988 è stato eletto Socio Corrispondente della Accademia Nazionale dei Lincei e, nel 1992, Socio Nazionale. Dal 1989 è membro dell' Accademia Europea.

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