17/4/2009 ● Cultura
Terremoto, arte: S. Adamo dalle macerie de L'Aquila al deposito di Celano?
"di Andrea Fabozzi da L'Aquila -Siamo entrati nel Nazionale d'Abruzzo. Opere distrutte e danneggiate
Un museo in polvere Capolavori sotto la pioggia. - Il ponte levatoio è di nuovo inaccessibile, sbarrato dalle transenne e da tre carabinieri. E' pericolante ed è lastricato di calcinacci. Il forte è tornato impenetrabile come lo voleva don Pedro de Toledo nel 1534. Questa volta è per il terremoto. Nella notte del 6 aprile anche il castello spagnolo che domina L'Aquila è stato ferito in profondità. Era rimasto intatto, unica struttura della città, dopo il sisma distruttivo del 1703. Adesso i suoi bastioni, gli imponenti muri da dieci metri di profondità e persino i pietroni delle due immense colonne all'ingresso del cortile, sono squassati. E all'interno sono rimasti colpiti i tesori artistici del museo nazionale d'Abruzzo. Molti danneggiati, alcuni distrutti. Siamo riusciti ad entrare scoprendo quello che probabilmente è il colpo più duro assestato dal terremoto al patrimonio artistico abruzzese.
C'è una crepa orizzontale a mezza altezza nelle colonne larghe due metri, le pietre sono come ruotate di qualche centimetro sull'asse. Subito sotto il porticato c'è un tappeto di detriti ma è solo intonaco. Nel cortile ci sono i pezzi grandi. Sono volati giù dal primo e secondo piano interi blocchi delle soglie, le mura si sono come gonfiate espellendoli. I vetri sono spaccati. Le crepe si allungano tra il primo e il secondo piano, tra gli archi e le volte ci sono un paio di centimetri. Le facciate interne a est, il lato dell'ingresso, e a sud sono le più lesionate. Manca un tratto del muro e le collezioni di arte sacra del primo piano sono esposte al vento e alla pioggia. Ancora oggi, otto giorni dopo il crollo. Si vede anche dall'esterno: sotto il tetto che è crollato sono rimaste la biblioteca, una parte delle opere del Seicento con capolavori di Mattia Preti, Francesco Solimena e Giulio Cesare Bedeschini, la nuova sezione etno-antropologica e tutta l'arte contemporanea. Nulla si sa di cosa sia successo alle opere più recenti, tra le quali i quadri dei Cascella. Alzando lo sguardo dal fossato, all'estrema destra, lì dove c'era un laboratorio di restauro, occhieggia dalle macerie e quasi sembra cadere un'Assunzione in una teca di vetro. Anche lì non c'è nulla a proteggere i quadri. Si aspetta una gru che possa calare i vigili del fuoco che dovrebbero tentare il recupero. O almeno coprire il tetto con un telone.
E' salva invece la beniamina dei bambini della città, l'elefantessa con un milione e mezzo di anni. Nel bastione nord del castello è rimasto in piedi in tutte le sue ossa l'Archidiskodon meridionalis vestinus, solo vagamente simile ma più grande e più antica del Mammouth, ritrovata a Scoppito nel 1954. Era lunga sei metri e mezzo e alta quasi cinque, pesava 16 tonnellate. Eccezionalmente conservata, l'elefantessa riceveva la visita dei bambini delle scuole elementari che hanno lasciato i loro disegni alle pareti. C'è polvere di calcinacci, ma le straordinarie volte di venti metri progettate nel Cinquecento hanno retto. Al primo piano è intatto il gonfalone cinquecentesco con la pianta de L'Aquila. La teca ha retto, al buio si distinguono crepe nelle pareti ma l'opera simbolo della città non si è staccata dal muro. E' incerta invece la sorte dell'altro gonfalone, quello seicentesco della città di Siena, custodito nell'irraggiungibile secondo piano.
Salendo lo scalone, un'intera volta del soffitto è crollata. Dobbiamo fermarci al primo piano. Nel bastione sud, quello che anche dall'esterno appariva il più lesionato, il lungo corridoio è bianco di detriti. Saltato il sistema di luci vanto del restauro generale terminato solo due anni fa. Le straordinarie opere dal XII al XVI secolo saranno trasferite in deposito nel museo di Celano. Nella prima stanza c'è una croce in legno del Duecento proveniente dal convento di Tocco di Casauria. E' piegata in avanti e coperta di calcinacci. Sotto la parete al termine del corridoio si ammucchiano come sbattuti via da un'onda alcuni piedistalli grigi, vuoti delle statue che li sovrastavano. Opere in marmo che si sono lesionate cadendo o in terracotta che si sono distrutte. La soprintendenza ai beni storici e artistici sta completando il catalogo dei danni. Ma la soprintendenza adesso sono sei banchetti di scuola sistemati in un angolo della scuola della Guardia di Finanza a Coppito. La soprintendente Anna Imponente che aveva l'ufficio al primo piano del castello adesso è sistemata qui, lontano da quel museo che accoglieva sessantamila turisti l'anno e che aveva ricevuto un punteggio di nove decimi dalle riviste specializzate. Dice che il suo impegno è quello di tornare ad esporre le opere non danneggiate e di conservarle tutte in Abruzzo. Ma intanto prosegue nel catalogo della sciagura.
E' distrutto il Sant'Antonio Abate di Saturnino Gatti, una terracotta del Cinquecento di oltre un metro, opera di uno dei maggiori artisti, pittore e scultore, del Rinascimento abruzzese. E' gravemente danneggiato il duecentesco Cristo deposto proveniente dal Duomo di Penne che era nella terza sala del primo piano. Sono invece intatte le vetrate quattrocentesche della chiesa di San Flaviano de L'Aquila con le storie di Celestino V. E' danneggiata una duecentesca Madonna con bambino di Barisciano. Sono invece salvi i quadri della donazione Greco tra i quali quelli di Michetti. Ma non si sa nulla delle due tavole di un polittico del XIV secolo che il Grand Rapids Museum del Michigan aveva da poco restituito all'Abruzzo: erano state trafugate nel 1902 dalla chiesa di Sant'Eustachio a Campo di Giove. Stavano nella camera blindata all'ultimo piano. Sotto il tetto che è collassato.
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