1/9/2005 ● Cultura
"Storie guglionesane" di padre Crisostomo da Guglionesi (1621)
Maria d'Aloisio, moglie di Francesco Masciotti, nobile e ricca cittadina di Guglionesi, partorì il 5/11/1577 un figlio, cui fu imposto il nome di Giovanni Leonardo. Nella sua fanciullezza era di natura gioviale ed allegra, ma quieto e tollerante, d'intelletto perspicace e incline allo studio delle lettere. All'età di 11 anni, prese l'abito di chierichetto e si dedicò al servizio dell'altare senza trascurare lo studio. Andando a predicare a Guglionesi il Cappuccino P. Michele da Manfredonia, impressionò il P. Predicatore il modo disinvolto con cui questo chierichetto recitò la parte sua in una tragedia rappresentata in quei giorni dai ragazzi della parrocchia. II P. Michele cercò di convincerlo a seguirlo in convento e farsi Cappuccino. Dopo Pasqua, sentendo più fortemente la chiamata allo stato religioso, senza dire nulla alla mamma, Giovanni Leonardo si recò a Serracapriola a bussare al convento dei Padri Cappuccini per chiedere l'abito sacro. Lo zio materno, Virgilio d'Aloisio, che era anche tutore del fanciullo per la morte di suo padre, immediatamente mandò il fratello maggiore Bernardo a riprenderlo, avendo già deciso di mandarlo a studiare a Napoli. Accortosi Giovanni Leonardo dell'arrivo del fratello e delle sue intenzioni, saltò dalla finestra del coro e, attraversando l'orto conventuale, andò a nascondersi nelle vigne intorno al convento. Il fratello Bernardo, dopo inutile ricerca del fuggitivo e, approssimandosi il tramonto del sole, fece ritorno a Guglionesi. A notte inoltrata, Giovanni Leonardo tornò a bussare alla porta del convento. Il Padre Superiore l'accolse affabilmente, lo ristorò e l'accompagnò in una cella per il necessario riposo. All'indomani, il P. Provinciale lo convinse a tornare a Guglionesi per accontentare lo zio e la madre lasciata in lacrime e a godere serenamente i beni materiali di cui abbondantemente disponeva la famiglia, potendo salvarsi l'anima anche nel mondo. Al che Giovanni Leonardo prontamente rispose: "Padre Provinciale mio, io sono venuto qua per servire a Dio benedetto e a S. Francesco e, distaccato dal mondo, bramo che questi siano la mia madre e i miei parenti; anzi le delizie e le consolazioni dell'anima mia. Altro non desidero, altro non voglio, altro non domando che sotto quest'abito santo attendere al servizio del Signore tutto il corso della mia vita". (pag. 370 Notamenta di vita e gesta del Capp.) Non avendo ancora compiuto i 15 anni di età ed essendo di gracile salute e di aspetto puerile, il P. Provinciale lo rimandò a casa. Dopo 6 mesi, convinti la madre e lo zio, della sua ferma decisione, rinunziato ad ogni diritto di proprietà e successione, tornò a bussare al convento dei Cappuccini di Serracapriola. Il 27 Gennaio 1593 prese l'abito sacro dalle mani del Maestro, P. Francesco da Vico, il quale gli impose il nome di Fra Crisostomo da Guglionesi. Rubava il tempo al sonno per recarsi in coro a pregare; custodiva gelosamente la lingua sì da non dire mai una parola oziosa; gli occhi erano sempre rivolti alla terra o a contemplare il cielo, non guardando mai in faccia a persona alcuna d'altro sesso. Con penitenze e mortificazioni d'ogni genere intraprese a correre velocemente la via della perfezione: godeva nel servire i fratelli e si assoggettava ad eseguire i servizi più umili. Compiuto l'anno di noviziato, fu ammesso alla professione dei Voti di Ubbidienza, Povertà e Castità. Trovandosi ospite nel nostro convento di Lucera il P. Ruffino da Napoli, e sentendo Fra Crisostomo recitare un sermoncino di occasione in refettorio, gli piacque tanto e lo stimò degno di talento e di buona riuscita nella predicazione. Consigliò perciò ai Superiori di mandare Fra Crisostomo a Napoli per perfezionare i suoi studi. Qui, oltre che per il profitto nello studio, si distinse per la santa umiltà: "Io vorrei essere spogliato e con un capestro al collo essere trascinato per il mercato di Napoli a coda di cavallo, e soffrirei questo tormento volentieri a gloria del Signore" (pag. 373). Il giorno seguente si presentò a refettorio nudo e con la fune al collo. Inginocchiato in mezzo al refettorio e con un profluvio di lacrime, chiese perdono ai confratelli, reputandosi il più vile dei peccatori. "Fra tanti studenti virtuosi campeggiava come la luna tra le stelle e qual sole tra pianeti risplendea". (pag. 375) Anche il fratello Bernardo, recatosi a Napoli, a visitare Fra Crisostomo, fu totalmente conquistato dalle sue parole, che abbandonò il mondo con le sue vanità, prese l'abito cappuccino col nome di Fra Agapito e visse e morì santamente. I secolari più che le sue prediche, amavano la sua conversazione. Austero con se stesso, affabile e convincente con il prossimo. Una notte, senza che se ne accorgesse, cantò in coro l'Ufficio divino con gli Angeli. Il suo cuore era inondato d'immensa gioia. Terminata la salmodia, sente la canna (il campanello) che chiama la comunità a recitare le divine lodi di mezzanotte. Accorrono lesti i confratelli per lodare il Signore, ma lui, Padre Crisostomo, è meravigliato; ciò nonostante riprende a salmoidare. Si accorse allora "della gran differenza che c'era tra il cantar l'Ufficio con gli Angeli, che tali erano stati senza fallo i primi, e il cracchiare con gli uomini, che furono i secondi". (pag. 380) La sua malferma salute non gli impedì di dormire su nude tavole, avendo per cuscino un pezzo di legno. Il suo nutrimento era il pane inzuppato nell'acqua! Un giorno un benefattore offrì alla fraternità una buona quantità di acciughe. Tutti ne mangiarono a sazietà, ma lui, il superiore, P. Crisostomo, non le toccò neppure. Invitato insistentemente dai confratelli a mangiarne almeno qualcuna, anche per ringraziare il benefattore, per più giorni, accontentò i confratelli sentendo il solo odore, poi, quando l'acciuga incominciò a mandare cattivo odore, prese un solo boccone'. D. Andrea Gonzaga si recava spesso in convento ad incontrare il P. Crisostomo, avendo la sensazione di parlare non con un uomo, bensì con un angelo. Don Francesco Pignatelli, Duca di Bisaccia e la sua signora Donna Vittoria di Capua, venivano spesso da S. Martino a Serracapriola per godere la conversazione edificante del P. Crisostomo. Amava parlare ed evangelizzare la gente semplice dei campi piuttosto che parlare con gente erudita della città. Quella ascolta e si converte, questa ascolta il predicatore e non riceve alcun frutto spirituale, perché vanno ad ascoltare il predicatore o per curiosità e passatempo o per sindacarlo se ha buon talento e bella grazia" (pag. 391). In genere, evitava di parlare della Passione di Cristo, perché subito si scioglieva in lacrime.… Una notte, mentre era in profonda adorazione, gli apparve un confratello defunto a chiedergli di celebrare per lui una messa di suffragio, soffrendo terribilmente tra le fiamme del purgatorio. Insistendo P. Crisostomo nel voler saper quanto si soffrisse in purgatorio, scomparendo i confratello, gli toccò con un dito la mano.... Crisostomo sentì tanto dolore che gli sembrava di morire'. Da allora esortava tutti a pregare per i defunti dicendo. "Chi prega per i morti, lavora per se stesso". Celebrava la messa, ogni giorno, e con profonda umiltà, cordiale devozione, affettuosa volontà, lunga preparazione e angelica purità" (pag. 393). Ad Agnone Fra Luca da Deliceto vide il P. Crisostomo in estasi, e questo più volte. Anche Marc'Antonio Calò di Foggia, ad Agnone, trovò il P. Crisostomo in estasi. Aveva il dono delle profezie. Mentre era Maestro dei novizi ad Agnone, disse loro un giorno. "Figliuoli miei, facciamo penitenza; già la morte è giunta vicina, né sappiamo chi di noi arriverà fino a Pasqua. Anzi uno di noi non vedrà la prima Domenica di Quaresima"... Il giorno seguente Fra Giovanni Maria, giovane di 18 anni e di ottima salute, si ammalò gravemente e nello spazio di otto giorni, morì prima che iniziasse la Quaresima. Una notte, mentre i frati cantavano il Mattutino, intonato il Te Deum laudamus, squillò il campanello della porta. S'impressionarono i Frati che a quell'ora insolita e così a lungo suonasse il campanello.... Era un messo del Duca di Bisaccia, che portava una lettera con cui il Duca pregava il P. Crisostomo di recarsi urgentemente a S. Martino dove la sua diletta consorte stava partorendo con grave pericolo di perdere la vita. P. Crisostomo rassicurò il Duca, per mezzo del domestico, di aver fede e che tutto sarebbe andato bene. Prima di partire per S. Martino, P. Crisostomo si raccolse in preghiera dinanzi all'immagine della Madonna delle Grazie, poi, accompagnato dal P. Giovanni Maria, partì per S. Martino. Entrato nella camera della partoriente, cessarono quasi per incanto i suoi dolori, ed il nascituro che già era metà fuori... rientrò nell' utero materno. Partorì normalmente dopo 20 giorni così come aveva assicurato il P. Crisostomo (pag. 404). Dopo alcuni mesi, la duchessa si ammalò gravemente e fu richiamato di urgenza il P. Crisostomo al capezzale della moribonda. Il Padre esortò tutti ad aver fede in Dio. Lui si recò in chiesa, espose il Santissimo e vi restò in profonda adorazione per 5 ore. Poi celebrò la S. Messa, e tornò nella casa ducale. Introdotto nella camera della moribonda, questa si sentì subito meglio, riacquistò le forze, riprese a mangiare e a... vivere serenamente. Porzia Giannino, moglie d'Agostino Roboletto, già in fin di vita, riacquistò la salute solo col tocco del mantello che indossava P. Crisostomo! A Roio una donna partorì un bimbo morto. L'ostetrica che aveva assistito al parto, se lo strinse al seno e lo portò dal Servo di Dio, dicendo: "Padre mio, fate per carità il segno di Croce sopra questo povero figliolino, che essen-do uscito morto dal ventre della madre, non lo si è potuto battezzare. Non permettete, per amor di Dio, che quest'anima si perda". Commosso Padre Crisostomo, pose la mano sulla testina del bimbo, e lo riconsegnò vivo alla mamma angosciata. Il Barone di Vasto Girardo Alessandro fu ospitato un gior-no dai frati e sedette a mensa tra P. Crisostomo e Padre Nicandro da Venafro. Durante la pausa di si-lenzio fra la prima lettura e la seconda, il Barone incominciò a dire: "Vedi là, P. Maestro, Fra Giuseppe da Venafro? Spia curiosando. Quell'altro novizio tiene un piede a terra, l'altro sospeso. Io so chi di que-sti novizi rimarrà in religione, e chi tornerà nel mondo". Il P. Nicandro che gli stava accanto, lo inter-ruppe dicendogli che non era quello il momento di fare tali apprezzamenti. L'ospite, infuriato, si voltò con tanto sdegno che stava per mettergli le mani addosso... e con atti sconci cominciò a schernirlo e di-leggiarlo... Tutti rimasero sbigottiti...Padre Crisostomo, risvegliato quasi da un sonno profondo e cono-scendo per divina rivelazione che il demonio parlava per bocca dell'ospite, si levò in piedi e disse ener-gicamente: "or come, brutta bestia, hai tanto ardire da profanare questo luogo sacro e disturbare i servi dell'Altissimo adesso che tutti osservano il silenzio? Taci, taci io tel comando, ne più proferir parola senza mia licenza". Restò quasi fulminato questo spirito furibondo e a guisa di cane rabbioso cominciò ad urlare, e cadde sotto la mensa. Allora il P. Maestro si fece portare la stola e comandò al demonio di non più disturbare l'ospite Alessandro finché dimorava in convento. Nel 1621, dopo il Capitolo Provin-ciale celebrato a Campobasso, P. Crisostomo tornò di famiglia a Serracapriola. Fu accolto festosamente dai confratelli e dai cittadini che già lo avevano in odore di santità. Qui occupò una celletta lungo il cor-ridoio che mena al coro. Per le continue mortificazioni e il prolungato digiuno, il suo fisico era ormai consumato. Il giorno della festa di S. Luca evangelista si aggravò. Ricevette con grande edificazione i Santi Sacramenti e si chiuse in silenzio. Assalito da forte tentazione, lo si sentì sommessamente escla-mare: "Iddio lo sa, e S. Michele Arcangelo ne è testimone, che io l'ho fatto per mera carità". Rese la sua anima a Dio il 18 Ottobre 1621 mentre i confratelli in coro intonavano l'inno: "Iam lucis orto sidere..." Quella stessa mattina, di buon' ora, venne da Serracapriola una donnetta e suonò il campanello della porta del convento, A Fra Gregorio da Carbonara, accorso ad aprirle, domandò; "Padre, come sta il P. Guardiano?" - Cosa vorresti, le rispose? - "Questo mio figliuolo (e mostrò un ragazzetto di cinque o sei anni), mi ha svegliato all'aurora dicendo: "Mamma, mamma, non vedi il P. Guardiano di S. Maria della Grazie, che sta alla punta della piazza in compagnia di tanti angeli? non senti come grida: Chi vuol veni-re con me in paradiso? Oh, come è bello! Oh, come è bello! Mo se ne vola in cielo". Per questo mi sono levata presto e sono venuta qui a domandare come sta il P.Guardiano. "Sorella mia, disse il portinaio, il P. Maestro è già in paradiso.