21/1/2009 ● Cultura
L'Assunzione di Guglionesi opera di Marco Pino da Siena? [Prima parte]
L’arte non può prescindere da
canovacci. Difatti ogni periodo artistico si propone con criteri stilistici
ampiamente sperimentati. Poi vi è un modo di operare, o meglio una “maniera”,
che costituisce un cliché, e genera lo “stile”, a cui si “confanno” le opere.
Gli studiosi parlano di scuola, di bottega, di tendenza. In questa sede
preferiamo alludere a riflessi di colori.
Nel manierismo napoletano, e in quello meridionale, si incontrano tavole e tele
dipinte da capaci “operatori” d’arte che volutamente non osano firmarle. Una
negazione della propria identità, focalizzata sulla totale prevalenza del tema
rispetto alla mano che le dipinge. Uno strano comportamento, ma solo in
apparenza.
Il ‘500 italiano, come già accadde nella scuola giottesca del XIII e XIV secolo,
ha la sagacia di leggere nella propria contemporaneità, identificando i grandi
maestri, Michelangelo e Raffaello su tutti, e adottando la loro straordinaria
interpretazione del sacro: le figure del Cristo, la dolcezza della Vergine, gli
episodi della Bibbia, dell’agiografia dei santi, il volo di un Arcangelo. C’è un
atteggiamento di adozione compositiva verso alcuni capolavori di illustri
artisti, i quali nel tempo divengono sempre più importanti, perché autori di
opere influenti.
La “maniera” raffinata ed efficace di talune interpretazioni è un’amplificazione
della genialità, riproposta in scala sul territorio, per cui l’eleganza, la
razionalità, il prestigio di un luogo si commisurano, in un certo senso, con la
qualità artistica delle sue opere.
Possiamo così sostenere una tesi intrigata, tra esigenze spirituali,
divulgazioni dottrinali, tribolazioni storiche, committenze artistiche e storie
di botteghe, ammirando la scena che si manifesta sulla pala d’altare nel
presbiterio della chiesa di santa Maria Maggiore a Guglionesi.
Una precisazione. Ciò che si conserva a Guglionesi, una tavola dell’Assunzione della Vergine
e quattro tavole di santi, non fu realizzato e scomposto come si vede oggi, ma
costituiva un unico trittico, forse smontato nella prima metà del XVIII secolo,
e che aveva un’altra collocazione: l’antico presbiterio romanico, la grande
aula che si innalza (pur necessitando di interventi di restauro!) sopra la
cripta della chiesa.
Siamo nella seconda metà del XVI secolo, e sono gli eventi a dettare le tappe di
tale commissione. A dura prova fu sottoposta la popolazione di costa dagli
attacchi saraceni. Vi è memoria di tre violente incursioni: nel 1556 fu del
tutto saccheggiata la cittadina di Guglionesi (cfr.le Memorie Capitolari); nel
1566, comandati dal comandante Pialy Bassà, fu devastata la cittadina di Termoli
(cfr. lo storico Summonte); nel 1567 e nel 1569 furono incendiati diversi
conventi e monasteri di Guglionesi, un attacco al cuore del patrimonio sacro.
L’intimidazione provocò molta paura nella gente, ancora di più nel clero, tanto
che i vescovi di Termoli, turbati dalla minaccia, trovarono rifugio nell’oasi
religiosa di Guglionesi, arroccata su un colle. Ogni ondata distruttiva imponeva
una ricostruzione. In primo luogo del coraggio, il ritrovare cioè la forza del
ricostruirsi, negli affetti e nella collettività. Un’esigenza anche spirituale e
dottrinale, come si anticipava, la decisa volontà di riaffermare la logica
della tolleranza cristiana, compito delegato alle famiglie religiose e assolto
dal clero secolare.
Fu proprio un Vescovo di Termoli che dimorò a Guglionesi, Cesare Ferranzio
Sessuano, a dotare l’antica chiesa di santa Maria Maggiore del trittico che
aveva la tavola ad olio dell’Assunzione della Vergine (350x250 cm) al centro di
una composizione articolata in più opere. Il cartiglio, in basso, al centro del
dipinto, riporta nella parte leggibile: “DEI GE-NITRICI / ANN. MDLXXII /
XIII.KAL.APR(…) / CAES. FER. S(…) / D. D.”. Siamo dunque certi di un giorno, il 20 marzo (nel calendario romano), di un anno, il 1572, data di committenza o di esposizione, poco
importa, e del suo committente, un alto prelato, che vive nel bor-go. Cosa
sappiamo di lui. Si tratta di un uomo indubbiamente colto, per noi che
apprezziamo le sue commissioni, e soprattutto per chi lo conobbe di persona. In
una di quelle “vite vissute” (cit. Adelmo Polla) durante il Viaggio in Abruzzo
(1574-1577), una padre domenicano di nome Serafino Razzi racconta il suo arrivo
a "Guglianese" in una giornata piovosa, per l’esattezza il 23 giugno del 1576, e
l’incontro personale con “Monsignor Vescovo, Cesare Ferranzio Sessuano, (…)
picciolo di statura, ma grande di spirito (…), che già fu maestro di lettere humane de i nipoti di Paolo IV e poscia da Pio V a istanza degli Ill.mi Caraffi
era stato creato Vescovo di Termoli (…)”, incontro che avvenne al termine di una
messa celebrata dal prelato nella “(…) chiesetta di San Giovanni Battista vicino
alla porta della Terra”, nella vigilia della festa a san Giovanni.
Le altre tavole presenti nel presbiterio della chiesa, ai lati dell’Assunzione
della Vergine, completavano il trittico in questione, immagini di santi
rappresentati in posa, ciascuno con il proprio emblema cristiano.
Le due tavole (44x122 cm) più grandi, situate ai lati, nella parte inferiore del
trittico originario, raffigurano l’una san Pietro, con il libro e le chiavi in
mano, e l’altra san Paolo, con il libro e la spada. Da notare come gli abiti
siano riportati, per entrambi i confessori del Cristo, in modo simile sulla
tavola dell’Assunzione della Vergine. Le stesse sagome, lo stesso sfondo nei
colori. Un misto di grigi e di blu a sfumatura manieristica.
Allo stesso trittico appartenevano le due tavole più piccole (44x108 cm),
situate ai lati della tavola centrale, in alto nella composizione, e che
raffigurano san Giovanni Battista, con il libro, un nastro (ECCE AGNUS / DEI)
sulla croce di canne, al suo fianco l’agnello, e san Girolamo, rappresentato in
ginocchio, con il crocifisso ed il sasso nelle mani, il leone al suo fianco e
il solito libro, aperto ed adagiato sulla terra (AMA SCI / EN-TIAM / SCRIPTU /
RARUM / ET. CAR / NIS VI / TIA NON / AMABIS /CASTIGO / CORPUS / MEUM / ET IN /
SERVITU / TEM RE / DIGO).
In una platea (inventario) del 1727, redatta dal Notaio Carlo di Nicolò Antonio
per ordine del Vescovo Salvatore D’Aloisio, si legge: “(…) 14. Vi è il Capo
Altare Maggiore col quadro grande dell’Assunta. A latere destro vi è la figura
di S. Pietro Apostolo, e S. Gio Battista, a sinistra la figura di S. Paolo,
sopra la figura di S. Girolamo; sopra la nicchia la figura dell’Icoronata, e
dell’Annunziata. Nella Cornice vi sono quattro colonne di legno indorate
anticamente fatte (…)”. Dunque un’unica opera, composta in un trittico di tavole
dipinte. Le parti relative alle figure dell’Incoronata e dell’Annunziata sono
andate smarrite.
Nessuna tavola dipinta reca la firma dell’autore, o degli eventuali autori.
Tuttavia ci sarebbe una strada da seguire. In riferimento all’elaborazione
dell’opera più grande, quella dell’Assunzione della Vergine, alcuni studiosi
suggeriscono la “maniera” di Marco Pino (Costalpino [Siena] 1525? – Napoli
1586), pittore senese, che alcuni identificano in Marco “dal Pino”, noto pure
con l’appellativo di “Marco da Siena”, e segnalato tra i più bravi allievi della
bottega di Domenico Mecarino detto “Beccafumi” (Castel Monaperto [Siena] 1486? –
Siena 1551), e non di Raffaello, come talune citazioni enfatizzano. Nel 1546 il
pittore giunge a Roma, e a soli vent’anni collabora, per alcune commissioni
presso Castel Sant’Angelo, con Pietro Bonaccorsi (Firenze 1501 – Roma 1547),
conosciuto come Perin del Vaga, fondatore di una delle botteghe della capitale
più apprezzate per la “maniera” di Raffaello, specialmente dalla famiglia Farnese.
[Fine prima parte]
[Cfr. SORELLA L., "Riflessi del tardo manierismo. Una bottega d'arte per il
trittico scomposto nel presbiterio della chiesa di Santa Maria Maggiore a
Guglionesi", in "Made in Molise", n. 7, Palladino Editore, Campobasso, 2002,
pagg. 44-48]