10/12/2008 ● Cultura
60 anni fa Onu proclamava la dichiarazione universale dei diritti umani
Cari amici di 'Fuoriportaweb',
60 anni fa, il 10 dicembre 1948, l'Assemblea dell'Onu proclamava la
Dichiarazione universale dei diritti Umani. Una carta fondamentale, che nelle
intenzioni dei governanti di allora doveva costituire un baluardo insormontabile
a difesa di tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione.
A 60 anni da quella storica decisione, alla sua attualità e alle sue violazioni,
mi sia consentito - nel mio piccolo - dedicare le seguenti brevi riflessioni con
l'impegno di prendere poco spazio in questo frequentatissimo 'Blog',
contraddistinto peraltro da un pluralismo di opinioni e interessi.
In occasione di tale anniversario, mi viene in mente il paradosso che
caratterizza il nostro tempo: viviamo in un mondo nel quale ci sono decine di
paesi che non rispettano quasi in nessun campo i diritti umani ma anche nei
paesi più civili ed evoluti siamo lontani dalla realizzazione di quel che dice
l'articolo 1 della Dichiarazione: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignità e diritti."
Norberto Bobbio ha sostenuto che il problema di fondo relativo ai diritti umani
è non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. Quello dei
diritti umani sarebbe, dunque, un problema non filosofico ma politico. Uno
studioso attento e autorevole - Amartya Sen - sostiene che la natura dei diritti
umani è essenzialmente morale. Questo significa, a suo avviso, che la nozione
dei diritti umani è peculiarmente universale. Il suo approccio si basa sull'idea
che la rilevanza etica dei diritti umani possa imporsi nella pratica se le si dà
un riconoscimento sociale di alto profilo. Esplicita è la sua presa di posizione
quando sollecita a guardare alla povertà come deprivazione delle diverse
dimensioni che costituiscono la vita umana e quando solleva, in prospettiva, il
problema dell'affermazione dei diritti umani sia sotto il profilo civile e
politico sia sotto quello sociale ed economico perchè questo significa mettere
ciascuno nella possibilità di praticarli. Ed impegnarsi nell'elaborare normative
che trascendano le barriere di cultura, nazionalità, religione, razza e classe
ed escogitare concetti descrittivi e normativi adeguati a tale compito. Un
compito alto a cui Martha Nussbaum, docente all'Università di Chicago, non si
sottrae e a cui intende fornire una soluzione all'altezza della sfida che la
contemporaneità offre. Il concetto descrittivo e normativo ritenuto, dalla
predetta studiosa, filosoficamente necessario è individuato nell'approccio delle
"capabilities", le capacità umane. Un termine questo che Nussbaum riprende dalla
riflessione dell'economista Sen, ampliandone lo spettro semantico al fine di
indicare ciò che le persone non solo hanno diritto di fare, ma sono realmente in
grado di fare, in un orizzonte che è quello della dignità umana. E che occorra
una massiccia dose di volontà politica per affrontare il problema della ineguale
distribuzione delle opportunità di vita in un mondo globalizzato, personalmente
non ho dubbi.
Uno studioso come David Held non si limita a sottolineare tale stato di cose in
un mondo dove 1,2 miliardi di persone vive con meno di due dollari, mentre il
20% consuma più dell'80% del reddito mondiale, e dove tutti gli altri indicatori
di 'human development' mettono in evidenza analoghe disparità. Di certo, venendo
alla conclusione di queste brevi note, non dobbiamo concepire il mondo in
termini di 'noi' contro 'loro'. Sarebbe questo un mondo governato
dall'instabilità. Ma, come ci ha insegnato Yohn Rawls, non c'è stabilità senza
giustizia.
Occorre tener conto che nel mondo globalizzato in gioco ci sono i diritti e le
libertà fondamentali, la lotta alla povertà e possibilità di vita più eque per
tutti.