24/11/2008 ● Cultura
Destra e sinistra dopo le ideologie
"Cari amici di 'Fuoriportaweb', ho letto con particolare interesse l'articolo e
la lettera di Cloridano Bellocchio pubblicati il 17 e il 20 novembre scorso.
Condivido molto del suo argomentare e mi permetto formulare alcune riflessioni
da ritenersi assolutamente provvisorie e scritte al solo scopo di avviare un
dibattito.
Nel rapporto annuale (2007) 'Demos' per La Repubblica su "Gli Italiani e lo
Stato" (diretto da Ilvo Diamanti) in merito alla distinzione fra destra e
sinistra, metà degli italiani la considera ancora utile; ma l'altra metà la
pensa diversamente, oppure non pensa nulla. Insomma: più che "liquida" (per
evocare la felice definizione di Zygmunt Bauman) la società italiana oggi appare
"paludosa". Priva non solo di appigli a cui afferrarsi, per trovare stabilità e
sicurezza. Ma anche di punti di riferimento, in base a cui orientarsi. Rimane
l'area della cosiddetta "antipolitica" (un atteggiamento di totale rifiuto e
disaffezione della politica) che occupa attualmente il 22% dello spazio
politico. Sono cittadini che rispetto alle tradizionali categorie di destra, di
centro e di sinistra, rifiutano assolutamente di definirsi. Non si sentono
vicini a nessuna forza politica. Non hanno fiducia nelle istituzioni e rispetto
ai problemi del paese pensano che sia tutto inutile, perchè la casta dei
politici non sarà mai in grado di fare qualcosa.
Dico subito che il superamento delle ideologie e delle retoriche di destra e di
sinistra è un processo ritenuto da molti non solo auspicabile ma inevitabile. Ma
se l'approccio ideologico è insufficiente, non significa che tutto è uguale e
tutto è indifferente. Si è decretato la morte delle ideologie del Novecento da
cui vengono innegabilmente le nostre radici, ma - come osserva il grande
giurista Natalino Irti - in questo modo la politica cammina in solitudine nel
deserto della quotidianità, nella povertà di orizzonti culturali strategici. A
me sembra cruciale - guardando alla situazione italiana - pensare a un futuro in
cui uno degli scopi centrali della politica sia quello di consentire alle
persone, sullo sfondo dell'uguaglianza delle opportunità, di realizzare i propri
progetti di vita. In fondo è una reinterpretazione, alla luce del XXI secolo,
dell'articolo 3 della Costituzione italiana. "Patriottismo costituzionale" è
l'espressione inventata dal filosofo Habermas. L'idea è quella che solo il
riferimento alla legge fondamentale potesse generare la coesione sociale, lo
stare assieme. Occorre, a mio avviso, prendere sul serio la libertà delle
persone, la loro dignità ed avere a cuore l'equità delle condizioni di partenza
per cui le persone possano esercitare responsabilmente la loro libertà. Una
prospettiva progressista richiede che ci si lascino alle spalle i residui
ideologici che hanno dato anche prove tragiche di sé. Dunque la teoria della
democrazia è una cosa, e l'ideologismo è tutt'altra cosa.
La democrazia è sempre a rischio, poggia sempre su un equilibrio precario, può
facilmente precipitare nell'autocrazia, nella teocrazia, nella demagogia. Eppure
risorge di continuo dalle sue ceneri perchè rappresenta il solo sbocco possibile
degli spiriti liberi e dell'aspirazione incomprimibile verso l'equità, il
dialogo, la pace, l'esercizio dei diritti di ciascuno e di tutti. In estrema
sintesi, oggi si sente l'esigenza di trasferire nuove riflessioni etiche e
filosofiche nella pratica politica in modo da comprendere e affrontare i
problemi correnti. Servono nuovi strumenti teorici per includere nel discorso
elementi inediti intervenuti prepotentemente nel corso degli ultimi anni. Questi
elementi sono principalmente la crisi del rapporto tra umanità e ambiente e il
dissolversi di identità e istituzioni tradizionali, quali Stati, Etnie, Culture,
Nazioni e le strutture che li rendono operativi. La direttiva
conservazione/progresso va discussa in modo diverso rispetto ad alcune categorie
comuni nel linguaggio e nel pensiero contemporaneo. Oggi, la discriminante tra
conservazione e progresso oltre che a livello di modello sociale si pone anche
nel rapporto con l'ambiente, la tecnologia e la scienza da una parte, e
dall'altra nella questione della globalizzazione che aggiunge a questi temi
quello della cittadinanza e delle culture. Il problema fondamentale, oggi, è
quello di come ripensare la politica nell'epoca globale, nel mondo globalizzato.
Dobbiamo immaginare la politica - osserva il filosofo Giacomo Marramao (in 'Globalizzazione
e Filosofia', Casini editore) - partendo dall'esaltazione di ciò che ci rende
singolari, differenti. In breve: dobbiamo pensare una politica che sia guidata
dal criterio della differenza e non dell'identità. La globalizzazione ci obbliga
al confronto con una serie di alterità culturali, con civiltà ed esperienze
diverse. Dobbiamo pensare, dunque, al costituzionalismo come a una nuova
dimensione post-statuale in grado non solo di ampliare l'orizzonte dei diritti,
ma anche di liberare energie, soggettività e forme di vita aperte al futuro. Qui
il nocciolo di un costituzionalismo globale in grado di lasciarsi alle spalle
l'epoca delle "passioni tristi" (come le chiamava Spinoza) e di riaprire la
dimensione, oggi interdetta, del futuro.
Cordialmente, Pietro Di Tomaso"