6/11/2008 ● Cultura
4 novembre 1918, il significato di una celebrazione
È quasi l'alba. Oggi è il
4 novembre 2008. Gli aceri sono coperti di un manto di foglie gialle e rosse.
L'erba è coperta di brina che brilla ai primi raggi del sole. Sta per iniziare
il lungo inverno canadese. Sono tornato a Montreal quattro giorni fa dopo in
giro di conferenze, una a Gorizia. Non ho ancora smaltito il fuso orario ed ho
difficoltà a dormire. Mi giro e mi rigiro nel letto. Nel dormiveglia due
immagini mi martellano la mente, il fiume Isonzo e le vette delle Alpi Giulie e
Carniche oggi in territorio sloveno.Mi hanno fatto da guida nella scoperta della
Venezia Giulia cari amici goriziani che conoscono come il palmo della mano il
territorio che stiamo visitando e che nonimano in sloveno ed in italiano.Ed odo
nomi come Pasubio, Sei Busi, S.Elia, Redipuglia. Sono nomi che hanno una eco
familiare, nomi che avevo sentito nominare da mio nonno durante la mia infanzia,
seduti davanti al camino, nelle serate d' inverno bevendo un sorso di
montepulciano novello, ancora asprigno, e mangiando castagne che scottavano le
dita.
É la tra l'Isonzo ed il Carso, su un pendio scosceso e roccioso, che un giovane
di 19 anni, mio nonno, di cui porto con orgoglio lo stesso nome e cognome, fante
del reale esercito italiano, è stato ferito ad una spalla da un mitragliere
austriaco. Era tornato in Italia dal Canada, dove era emigrato a 16 anni, per
amor di patria con altre centinaia di giovani, che avevano preso il ‘Treno degli
Italiani' da Vancouver a Montreal da dove si erano imbarcati per l'Europa.
Arruolatosi come volontario nel 1917 mio nonno è stato fatto uscire, stordito
dall'alcol, dalla trincea il 27 ottobre 1918 verso le nove di mattina e dare l'
assalto. E sento di nuovo la descrizione che mio nonno, ormai vecchio, faceva
della battaglia a cui aveva partecipato.
‘Esplosioni, grida di dolore e di rabbia, odore nauseante di zolfo e di gas,
spari, schegge di pietra, ed il tatatata del nastro di proiettili della
mitragialtrice e corpi che si accasciavano feriti o morti al suolo, lo squillo
di una tromba, baionette rosse di sangue e poi il tricolore che sventolava al
vento. Poi, più niente ed al risveglio in ospedale un dolore lancinante alla
spalla sinistra.'
Per fortuna la pollottola non aveva colpito l'osso e mio nonno non rimase
invalido. Così ho imparato, di viva voce di chi la guerra l'aveva fatta
veramente, come la Patria italiana avevatanto sofferto ed era riuscita a vincere
la Grande Guerra. Poi, a scuola, ho letto le gesta di Baracca, Battisti, Sauro,Toti,
D'Annunzio ed ho imparato a memoria le parole della Leggenda del Piave,
insegnatemi da un professore reduce del fronte russo. E poi ho visto il film La
Grande Guerra di Mario Monicelli e la dissacrazione del mio schietto
patriottismo di fanciullo fatta da un altro regista Francesco Rosi in Uomini
Contro. E nello scrivere queste parole mi chiedo quale chiave di lettura usare
per evitare l'agiografia, per far sì che la storia diventi concretamente
magistra vitae.
Sono trascorsi esattamente 90 anni, ma il significato di quel lontano 4 novembre
1918, che ha permesso a Trento ed a Trieste di diventare parte della Patria
italiana, resta intatto. Anzi dovrebbe costituire al giorno d'oggi, in un'Italia
sempre più multietnica e bersaglio di mire secessionistiche, la fonte di un sano
patriottismo e la base di una memoria collettiva condivisa.
La vittoria italiana del 1918 è costata un prezzo altissimo, oltre 600.000 morti
ed un milione di feriti. Ogni regione d'Italia ha dato il suo contributo alla
causa comune, il bene della Patria e la definitiva unificazione di ogni sua
parte. L'Italia à diventata grazie al sacrificio della vita di tanti suoi figli
veramente la Patria di tutti come le lapidi ai caduti in ogni singolo centro
eloquentemente dichiarano o come rivela lo schietto amore verso la Patria
italiana di tanti abitanti di città di confine come Gorizia o Trieste.
Accanto al 25 aprile ed al 2 giugno, due date fondamentali per l'Italia
repubblicana, va celebrato ancora di più, secondo il mio modesto parere, il 4
novembre, perchè ogni cittadino italiano, ovunque egli viva nel mondo, può
riconoscersi nel significato storico e simbolico che questa data esprime. Il
tatticismo e militarismo astratto del generale Cadorna causò inutilmente la
morte di tantissimi giovani e portò al disastro di Caporetto. Tuttavia la
controffensiva dell'esercito italiano, partita dal Piave il 24 maggio 1917 e
conclusasi il 4 novembre del 1918 sotto il comando del generale Diaz, ha seguito
una logica militare diversa e saputo far emergere l'amore per la Patria anche
nel semplice soldato. Ed ha portato, con l'aiuto degli alleati americani, alla
vittoria.
Delle tre feste nazionali il 4 novembre è, a mio avviso, la data che va
meritatamente celebrata, perchè è la celebrazione di una pagina fondamentale
della creazione dell' identità del popolo italiano, della nascita della sua
memoria storica condivisibile, al di là delle simpatie ideologiche e politiche.
E l'Italia di oggi che si avvia verso una forma decentrata di governo, verso uno
stato federale, eviterà le sabbie mobili del secessionismo presente nelle
finalità della Lega Nord solo se date come il 4 novembre verranno celebrate
degnamente. Il suolo delle regioni di quella che dovrebbe eventualmente
diventare la Padania, va ricordato continuamente a Bossi ed ai leghisti, è
intriso di tanto sangue italiano.Gli egoismi regionali e le accuse verso ‘Roma
ladrona' vanno soppesate con il prezzo del sangue versato. Al senatur Bossi
consiglio di fare di tanto in tanto una visita all'Altare della Patria e di
meditare davanti alla tomba del Milite Ignoto.E forse capirà che anche Alberto
da Giussano era italiano.
Filippo SALVATORE, Concordia University, Montreal | Newitaliapress
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