12/9/2024 ● Cultura
La fabbrica all'epoca delle migrazioni dal sud
Al fine di affrontare la recensione del libro di Isidoro Antonio Sorella “la
fabbrica brucia” che a me personalmente affettivamente sta a cuore faccio
riferimento ad un aneddoto personale per far comprendere quanto le tematiche
affrontate, che si configurano tutte come poliedriche sfaccettature correlate e
ben integrate all’interno del lavoro che l’autore ha svolto per decenni
all’Altissimo .
Dei tanti motivi di riflessione aperti inizialmente mi ha incuriosito un aspetto
generalizzante che nel microsociale di quartiere fa prevalere la professione
svolta nel suo tempo lavorativo al nome proprio .
L’autore pur essendosi professionalizzato svolgendo diverse mansioni all’
Altissimo , all’esterno della fabbrica non viene individuato nell’intorno
sociale di vita con la professione svolta , bensì in modo generico come
l’operaio che lavora nell’indotto della fanaleria. A differenza , a me capita
ancora adesso di essere individuato e categorizzato in modo più ristretto come
il ‘prof’ , ovvero con il lavoro che per decenni ho svolto, quindi in modo
similare entrambi siamo stati connotati e individuati con la professione al
posto del nome . D’altronde il mio , come tutti i nomi è generico, perfino
spiritualizzato, ma, non santificato ; un nome che non ho scelto , ma è ricorso
all’anagrafe per successione , imposto dalla tradizione familiare. In questa
differenza di ruoli sociali, generalizzante il primo, più caratterizzante il
secondo è rintracciabile la diversità del “ prodotto” lavorato . L’operaio dopo
una serie di interventi su una materia prima informe confeziona un prodotto in
serie , vendibile sia sul mercato interno che su quello estero ,magari
lontanissimo dalla zona di produzione : Stati Uniti, Canada ,Cina … mentre
l’insegnamento in modo ricettivo e cumulativo modifica e forma dal punto di
vista civico le persone nel periodo della loro crescita fisica e mentale . E, in
genere ,almeno nel periodo della scolarità primaria e secondaria , la scuola di
riferimento ha il suo bacino d’utenza nell’intorno o nel quartiere di residenza
, di modo che si stabilisce un’aspettativa sociale sul “ capitale umano “ in
trasformazione a scuola da parte di genitori interessati al processo formativo .
Da ciò ha origine la non esiziale differenza professionale del lavorare in
fabbrica sulle cose o del lavorare sulla conoscenza delle persone . In seguito,
a conclusione del processo di manifattura di oggetti o di formazione scolastica
sia gli oggetti che le persone potranno andare anche molto lontano , ma le
prime, diventate generiche cose , nel tempo perderanno il loro essere stati
oggetto attraverso il lavoro della costruzione sociale , mentre le persone dal
punto di vista esistenziale ( tenendo a mente” l’omnia mea mecum porto” dei
latini ) opereranno , secondo il sociologo John R. Searle, direttamente la
costruzione sociale. Non è qui secondario l’aspetto affettivo parentale e
amicale che si stabilisce intorno al prodotto formativo scolastico umano ,
peraltro oggi vendibile come fosse una merce qualsiasi sul mercato ; da qui la
mia riluttanza a considerare “il “capitale umano vivo” alla stessa stregua dello
stock di capitale morto impiegato in fabbrica .
Chiuso l’excursus torno al libro di Isidoro Antonio Sorella: un indagine
fattuale, quella operata dall’autore, che trova un puntuale riscontro negli
archivi dell’Altissimo - Un’indagine meticolosa che rappresenta uno scavo
guidato scandito dai tempi di lavoro , dall’ intensa attività sindacale interna
ed esterna alla fabbrica in quanto nel contempo il Sorella è stato lavoratore e
attivista sindacale nonché a lato e in parallelo si è acculturato fino a
laurearsi all’Università . Un vissuto esistenziale in cui lavoro ed azione
sindacale con complementarietà si compenetrano a volte in modo conflittuale a
volte in modo armonioso ed innovativo . Due poteri si contrappongono
all’Altissimo : il potere padronale e quello delle maestranze in larga parte
sindacalizzate che hanno acquisito nel loro tempo di lavoro per lo più a tempo
indeterminato una coscienza di classe , guidati dal filo rosso intrecciato della
politica aziendale e da quella sindacale. Il Capitale privato o finanziario che
fosse, con le sue articolazioni materiali strutturate sul territorio : i
capannoni, i macchinari , le linee o le isole di produzione , l’organizzazione
aziendale del lavoro.., i volumi di produzione vendibili … e l’ utilizzo della
forza lavoro ; il “capitale umano” : una sintesi sempre essente tra lavoro
manuale e allo stesso tempo supervisione mentale e personale del medesimo ,
reclutato nel sociale vicino e lontano (com’è accaduto all’ autore ).La carne
viva operante che nella compartecipazione alla produzione quotidiana di oggetti
, a compenso del lavoro svolto , porta a casa il salario. Lo stock di Capitale e
il Capitale umano nella loro reciproca interazione produttiva sono sempre in
equilibrio precario ( tant’è che a fronte di un bilancio aziendale annuo di
quaranta miliardi nel periodo di relativa efficienza degli impianti e delle
maestranze , il passivo ammontava a sette miliardi ) dovendosi districare tra il
profitto spettante alla proprietà e la necessità di strappare dalla
contrattazione aziendale qualche incremento salariale . E nei periodi di crisi
aziendale e di riorganizzazione del settore dell’indotto è toccato al Sindacato
dare suggerimenti costruttivi nella organizzazione del lavoro al fine di
allontanare o ridurre la cassa integrazione , al fine di evitare i licenziamenti
, come quelli ventilati dai manager dell’azienda dell’Altissimo che come
contributo alla ricostruzione aveva richiesto dopo l’incendio della fabbrica un
implemento della produzione del 25 % . Uno sforzo produttivo condiviso dai
sindacati dietro un blando corrispettivo compensativo o monetizzato nonché
attraverso una suggerita (spesso disattesa) , maggiore autonomia
nell’organizzazione del lavoro . Ed è qui che paradossalmente colgo , in senso
marxiano, un insolito scambio dei ruoli che vede l’azione sindacale rimediare
alle inefficienze dirigenziali ( riluttanti nel ricostruire ciò che era andato
in fumo ) comunque volta ad implementare i volumi di produzione per rendere
competitivo soprattutto sul mercato estero il prodotto lavorato . Il paradosso
in questo frangente si appunta sul fatto che i lavoratori pur di conservare il
posto di lavoro in modo improprio attraverso la contrattazione sindacale si
sostituiscono in parte ai doveri della proprietà invertendo in tal modo i ruoli.
Infatti approntando i sindacati i loro contropiani di produzione si
sostituiscono alle specifiche prerogative manageriali aziendali che , a
prescindere , per merito acquisito nel ruolo , avrebbero dovuto contribuire al
successo economico della parte padronale .
Si snoda nel libro , come accennato, un filo rosso che testimonia della lotta
incessante , tra la parte padronale e le maestranze fatta di comunicati
padronali , contrapposti a volantinaggi interni sindacali , fino
all’organizzazione di scioperi portati all’esterno della fabbrica attraverso
manifestazioni gridate per le strade di Moncalieri , di Trofarello… Il capitale
“ tout court “ fatto di impianti , macchine utensili , materia in lavorazione da
trasformare per l’industria di Altissimo in oggetti della fanaleria nel diffuso
indotto al servizio dell’automotive dell’ hinterland torinese e non solo ;
infatti , significative commesse per lunghi periodi provenivano anche
dall’americana General Motors . D ‘altra parte , a vivificare lo stock di
capitale degli imprenditori, contrapposto c’era il capitale umano ( mi si passi
la locuzione , che non condivido poiché riduce l’uomo in rapporto mansionario
con la sua macchina a cosa , ma il concetto è oggi in auge per la maggior parte
degli economisti nonché di coloro che si occupano di politica industriale).
Ovviamente lo stock di capitale morto senza la complementare vivificazione
oggettuale operata dalla componente umana ,risulterebbe materia inerte e
improduttiva , incapace di generare profitto . Da qui la “pretesa” e la
contrapposizione dei lavoratori , in genere proletari , di entrare in merito
attraverso la mediazione sindacale dell’organizzazione del lavoro , di
contrattare l’evoluzione in fabbrica della professionalità ( l’ascesa nei
livelli ) a cui corrispondono retribuzioni maggiorate . Il conflitto, o meglio
,la contrapposizione Padronato-Sindacato è di natura politica e non solo attiene
alla giusta titolarità della proprietà degli impianti , dei macchinari e dei
suoi organizzatori aziendali del lavoro e all’altrettanto giusta rivendicazione
del ruolo svolto dai lavoratori riluttanti nel venir considerati come alienati
Charlie Chaplin del film “ Tempi moderni “del 1936, a cui sfugge il prodotto
poiché di fatto compartecipano ciascuno in minima parte alla sua realizzazione
poiché vedono e lavorano solo pezzi e non hanno cognizione e coscienza
dell’intero assemblaggio … nel caso specifico, di un fanale . Allora si rende
necessario superare in fabbrica il vecchio fordismo della desueta linea di
produzione , con l’avanzamento metodico in successione dei pezzi da lavorare, di
superare anche il taylorismo e perfino il “giusto in tempo “ dei giapponesi per
approdare ad un sistema “isola” , circolare , che ingloba al suo interno più
democrazia permettendo la rotazione delle mansioni operaie all’interno del
gruppo di lavoro con un oggettivo aumento della professionalità di ciascuno
lavoratore .
Da qui ha origine e si sostanzia la sacrosanta richiesta da parte sindacale di
una maggiore retribuzione , avversata dalla parte padronale che ha avuto sempre
la tendenza a contrastare e perfino a disfare tale relativamente autonoma
organizzazione del lavoro anche a discapito di una maggiore produttività
riscontrata nelle isole di produzione sperimentali . Tuttavia la lotta
incessante tra Proprietà e Maestranze per estrarre profitto e remunerazione dal
capitale che nel difendere i margini di guadagno spesso ha operato , attraverso
fusioni e parziali delocalizzazioni nell’indotto un ridimensionamento delle
maestranze , a velate minacce di licenziamenti, al ricorso alla cassa
integrazione o ha incentivato i prepensionamenti. E, soprattutto , negli
avvicendamenti generazionali si è assistito al passaggio dal lavoro a tempo
indeterminato al lavoro a tempo determinato precario flessibile , specie
giovanile . Non entro in merito della flessicurezza poiché nel libro, essendo la
fabbrica di vecchio stampo non ha un significativo rilievo pur essendo oggi il
lavoro flessibile a tempo determinato quello maggiormente richiesto e praticato
dalla parte padronale lasciando l’onere della spesa allo Stato degli
ammortizzatori sociali attivabili nei periodi di transizione da un lavoro ad un
altro .
Purtroppo tutti i governi più che puntare sull’eliminazione delle cause del
lavoro precario hanno sempre tentato di calmierarne gli effetti , di modo che
una debole pace sociale potesse eterizzare lo status quo. Dopo l’incendio, ma le
avvisaglie c’erano già prima, la fabbrica dell‘ Altissimo ha fatto registrare un
lento declino dell’attività industriale , testimoniato dagli innumerevoli
passaggi di proprietà fino alla chiusura degli impianti avvenuta nel 2005 .
Concludo con un’ ultima osservazione tutta interna al lavoro che ha
caratterizzato la vita adulta di ciascuno di noi al punto da identificare gli
aspetti esistenziali ( che non coincidono affatto solo con uno scontato vivere
la riproduzione corporea del nostro quotidiano) con l’attività lavorativa
prendendo a prestito una frase tratta dal Genet di J.Paul Sartre :” l
‘importante non è quello che hanno fatto di noi ( gli altri ) ma quel che
facciamo noi di ciò che hanno fatto di noi “; una frase che ci solleva
parzialmente dalle nostre responsabilità e in parte rimette responsabilmente il
nostro destino ( perché nella terza età la progettualità sociale diventa
destino) nelle nostre mani .
Arcangelo Pretore
Guglionesi 11 settembre 2024