4/9/2024 ● Cultura
Gocciolanti memorie
“Era di maggio, erano giorni” ridenti quelli di 70 anni fa, quando il sole di
Avellino agiva con onesta pacatezza sulla cupola del cielo in via Ferriera; sul
luogo dove le fanciulle erano in fiore. Ed io ero lì, ospite degli zii, per
studiare con la forza e la caparbietà di un mulo, assieme a Maria Villani,
cugina mia. Sembrava addirittura piacevole sfidare con lei una sfilza di materie
nuove e a comprimere piani scolastici – solitamente spalmati per un corso di
quattro anni - in sgobbate anche notturne, infittite nel ventaglio di pochi
mesi.
Alle cinque d’un un mattino con i colori dorati, eravamo a stiracchiarci sul
terrazzo - spalancato in direzione dell’oriente – e a soffermarci su D’Annunzio
e sul concetto di vita come opera d’arte. E, in quel momento fui sorpreso
dall’<incanto>, di cos’è l’incanto! Venni a capire cos’è, e a rendermi conto
d’aver a che fare con l’animuccio distillato di Maria; con il suo gusto di
percepire “la bellezza del vivere ”; con il bisogno di sfondare il muro
soffocante del limite; e la voglia di scagliarsi nell’infinito. Nata a
Guardialfiera, vissuta a Campobasso, Avellino, Taranto. E’ ora residente a Roma.
Come per una sfilata di moda, vedevo nella immaginazione, il procedere in
passerella di “modelli” ideali di vita; osservavo in lei movenze signorili,
sentivo linguaggi ornati di nozioni, rilevavo maniere dignitose e l’essenza di
grazia, tutte racchiusa nell’intimità di Maria Villani. “Ho ritrovato il lei le
meraviglie” avrebbe poetato Alda Merini. Io ho trovato in lei la fisionomia
dell’ARTISTA, in una creatura geniale predisposta a vivere la vita come un’
“opera d’arte”, proprio come la figura trattata nell’analisi dannunziana
dell’alba. Ho riscontrato In Maria Villani, lo status elegante di un vissuto
morale ed estetico, amalgamato in un unico indistinguibile flusso di creatività
e di virtù.
A luglio, quand’ero appena rientrato a Guardia, mi perviene l’annuncio del primo
grande amore di Maria: ”la pittura”. Fu, per caso, che una sua collega di
Atripalda, chiacchierando e investigandola, ne scoprì il talento e la impose di
sporcare col pennello, la prima piccola tela.
Smaniavo di capirci, di sentirla; ma in quel tempo chi avrebbe mai potuto
farmela sentire? Non era ipotizzabile l’irruzione dei telefonini. In assenza
della teleselezione, neppure la “Timo” riusciva ad allargare il bacino d’utenza;
e chi avrebbe sognato allora il trionfo globale dell’Internet? Fui capace solo
di recarmi a piedi presso una centrale idroelettrica operativa lungo il Biferno,
dotata di telefono aziendale, con il quale collegarmi, finalmente, con il papà
(il mio zio Peppino) figura preminente alla “Sedac” (Società Elettrica della
Campania) e parlare con Maria.
Sull’istante ella studia Claudio Monet, Augusto Renoir; ma pure gli italiani
Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Silvestro Lega. E via - senza indugio - a
dipingere dovizia di quadri con impostazione inizialmente elementare, ma con
indovinato sistema cromatico, ricchi di istantaneità e di colori.
Per i tratti rapidi e leggeri, umili e tenui, per i tocchi svelti e decomposti,
Maria è riconosciuta ad Avellino fra i giovani virtuosi dell’ “Impressionismo”:
la corrente pittorica nata a Parigi nel 1874 per lo stile d’una tela di Monet:
“Inpression soleil levant” impressione di un sole nascente.
Nella primavera del 1992, in occasione della 4^ Rassegna Molisana d’Arte
Contemporanea, era a Guardialfiera il Prof. Carlo Savini, Presidente a Bruxelles
dell’Unione Europea dei Critici d’Arte. In casa dei miei genitori egli intravede
un quadro esposto in Sala da pranzo. E’ un dipinto di mia cugina e, ammirandolo.
mi sibila più o meno così: “Maria ha bisogno di scavare, di scovare di trovare
scenari, illusioni spunti, occasioni, fiori, uccellini, respiri di luce per
sfidare l’usura del tempo; per cantare e prorompere, col pennello, il verso
della sua espressività, l’ardore del suo poema. E’ acqua viva refrigerante per
me; è una sintesi efficace dell’immaginario che, per l’uomo inaridito e irretito
di oggi, era visibile soltanto nel sogno. Vedo nella raffinatezza di Maria
Villani i tratti schietti pervasi da sentimenti robusti dai quali traluce il suo
<animuccio distillato>. Savini mi fa sedere e, con la tazzina del caffè fra le
dita dice di Paolo VI: “Ogni artista è come un profeta: ha la capacità di
tradurre l’invisibile in forme visibili. Fa lievitare la materia per trovare il
passato nel presente come preludio del futuro. Il pittore infrange il recinto di
un mondo angoscioso in cui l’uomo è immerso nel <finito> per aprirlo sulla
finestra dell’ <infinito>.