28/7/2024 ● Cultura
Il Molise, Vittorio Feltri e il “burbero benefico”
“Non odio i meridionali, li tengo a cuore. Ma visto come hanno ucciso le
loro terre, non vorrei che uccidessero l’Italia intera”. Su “Panorama” del 4
novembre 2010 proruppe così Vittorio Feltri, da <cane sciolto>. E lo mise
in atto perché quel giorno ripassava a memoria i luoghi magici del “suo” Molise
povero e bello.
Lembi di natura splendente, territori su cui rideva la vita, luoghi dentro i
quali egli gironzolava, per ammirare i frutteti più ubertosi e odorosi del
mondo; le ricchezze di Guardialfiera estese attorno al Ponte di Annibale,
preziosa testimonianza storica e architettonica ora inabissata.
Quel giorno Vittorio ripensava anche al Biferno, allora gonfio di acque, dove
Franco Mancini, il giovane sarto, lo tuffò per la prima volta in una corrente
vorticosa e trasparente e gli insegnò la prima regola del nuoto.
E Vittorio era incazzato, anche perché l’unico fiume interamente molisano, ci
era stato fottuto non per un bene comune, soltanto per dirottarlo e per
disperderlo, delittuosamente, nel ventre del Matese. E da chi? Non certo dai
settentrionali! Da speculatori, da asini, indifferenti e arruffoni meridionali.
E intanto si va realizzando negli anni ’70 la Diga sul Liscione destinata a
irrigare e dissetare le terre di Puglia. E si forma qui il Lago che sommerge 800
ettari di area coltivata, quella degli orti rigogliosi così cari a Vittorio e
che non ne può più. “Ci siamo candidati al suicidio” scrisse. Tutto un
popolo depredato di quella terra è ancora irrisarcito, irredento, sparpagliato
per il mondo, come in un esodo biblico alla ricerca di pane. Si avverte il
cedimento della speranza. Ma chi si è mosso nel Sud, in quest’annientamento, per
scongiurare un futuro assassinio? Brontola contro i meridionali perché li ama;
perché non ne sopporta l’inerzia e il disamore. Ma “bene-dice” di loro quando si
danno da fare. Ed escogita una operazione giornalistica, una Santa Crociata del
Nord, per i beffeggiati del Sud. “Libero”, il suo quotidiano, si occuperà
periodicamente di questo nostro male sociale. E “Meno male che c’è il Molise”
ingrossa così la prima pagina dell’8 settembre 2017. E, più in là, volgendosi
all’italico sapere irrompe: “E’ giunta l’ora di raccontare il Molise
dimenticato”.
Quand’era direttore dell’Europeo, rimarcò in gloria il conferimento a
Guardalfiera della “Lupa Capitolina” per mano della pro Sindaco di Roma
Maria Medi (figlia dello scienziato Enrico), come caparra e legame potente di
Guardialfiera alla Capitale d’Italia. Sul finire degli anni ’90, invia qui
Antonio d’Orrico per investigare su “i dannati del Biferno” e per
rivelare e scovare le piccanti passioncelle giovanili di Jovine dalle voci degli
ultimi suoi amici ancora viventi.
Sul finire degli anni ‘90 il ciglio del lago di Guardialfiera brulica di
vivacità. Vittorio lo sa e gode. E’ completo il porticciolo d’attracco; un
vecchio casolare si evolve in trattoria. Dentro un pianoro si leva un lezioso
anfiteatro elittico per spettacoli all’aperto. Su due calotte del lago, solcano
regate veliche; gare di pesca sportiva, canottaggio. Si escogita “Lagoinfesta”;
natura, musica, teatro, sport, cultura. Magnetizza le folle, lo straboccante
Concerto dei “Nomadi”. E per 15 anni divampa il “Festival di San
Lorenzo”: in una notte di cielo splendente e di stelle cadenti, c’è un rogo
d’acqua! Poi la fantasmagoria dello spettacolo piromusicale, primo in assoluto:
una ballata incantatoria di zampilli di fuoco nell’acqua, ritmati da spari
cromatici di mortaletti al ritmo del Can can. E, via via, negli anni
successivi, dall’armonia della Carmen di Bizet e della Norma di Bellini.
Vittorio Feltri, inorgoglito. nota e annota.
Ma sopraggiunge d’improvviso l’Agenzia del Demanio a requisire l’area e a
destituire la Regione, il Comune, la Provincia, dalla gestione di questo
ambiente. Ci infinocchia, ci inganna affermando che Compito specifico
dell’Agenzia sarebbe stato (e dovrebbe essere per legge) quello di: “gestire,
razionalizzare e valorizzare l’utilizzo degli spazi e pianificare interventi di
manutenzione”. Sennonché, proprio da allora: è terra di nessuno, tutto senza
governo, all’abbandono, al degrado, al massacro; immondezzai nauseanti,
invalicabili rovi pungenti e vegetazioni selvagge. Pinete abbattute dalla
inciviltà di vandali. Quell’azzurro, quei sogni sprofondano nel lago e nello
sfacelo. “Ma perché è stato usurpato dal Demanio?” urla Vittorio Feltri.
Egli non mi lascia; gli è con me, è con il Sud, incessantemente, ad importunare,
adesso, il dormiveglia di Alessandra Del Verme Direttrice dell’Agenzia, ad
eccitarla e farle capire l’ovvietà della logica. “Tempo scaduto”. Ma
nessun riscontro nemmeno alle tante raccomandate con ricevuta di ritorno. In
nome della morale, come può non essere sfuriato, anche con pittoreschi
rafforzativi, un normale e nostro caro Vittorio Feltri?
E’ con me da quella sua prima e romantica visita del 1948 a zia Nella e zio
Ernesto (amministratore di feudi). Aveva cinque anni, ne avevo sette più di lui.
Bruca da allora queste “Terre del Sacramento” e – fra paesaggi di fieno e
di grano - intreccia amicizie con tante bande di monelli, in particolare con un
Franco Mancini, anche scultore, oppresso dall’atrofizzazione progressiva agli
arti. Da zia Nella apprende con me il lutto di Vittorio: la morte della moglie
24.enne avvenuta nell’attimo in cui dava al mondo le gemelle Laura e Saba.
Franco è muto sulla solita sponda del Biferno. E, meditando l’angoscia
dell’amico, adocchia uno sterpo rifiutato dal fiume. L’arbusto è annerito. E’
duro. Ma con l’amore e la volontà lo piega tenacemente, lo manipola. Ne ricava
il viso di Maria, la Corredentrice. “La devo donare a Vittorio” . La
completa a casa e la denomina “Nigra sum, sed formosa”. Franco, intanto,
muore il Venerdì Santo del 1992. Soltanto il 12 agosto dell’anno 2000, Vittorio
è a Guardia a presentare “Quei Cavalieri Virtuosi” di Vittorio Grande suo
coetaneo. C’è a pag. 35 il profilo di Ernesto Villa, suo zio. Durante il
Convegno salutando e porgendo i la parola a Feltri, faccio dono finalmente a lui
della scultura di Franco. Ma mi si annoda la gola e non riesco a narrargli le
genesi di quell’opera d’arte. Glielo dirò il giorno in cui gli verrà conferita
la Cittadinanza Onoraria di Guardialfiera.
In un video che, in questi giorni veicola fra i “social”, Vittorio sfiora un suo
gesto di generosità. Bene, egli “Burbero benefico” ha salvato a Guardia
la Campana più antica del mondo (anno 1498) e fatta colata un’altra che squilla
dal bianco Campanile piramidale di Guardialfiera.