28/5/2023 ● Cultura
Si è spento Antonino Di Cesare, lo scrittore guglionesano dell'opera "Dal Dialetto Molisano alla Lingua italiana"
Pietro, un suo coetaneo di famiglia, passeggiando per un desolato corso Conte di
Torino
mi chiama facendo segno col bastone tremolante, per avvicinarmi a lui, e mi
dice: «Luigi, devo darti una notizia». Mi avvicino ancora un po' e, dopo
una breve pausa per riprendere il faticoso respiro, mi sussurra: «Lo sai che
qualche settimana fa è morto Antonino?»
All’età di 91 anni (classe 1932) a Bologna, nella città di adozione, ci ha
lasciato Antonino Di Cesare, autore guglionesano della straordinaria
interpretazione filologica “Dal Dialetto Molisano alla Lingua italiana –
Excursus in versi”, opera pubblicata da Timeo Editore di Bologna nell’anno
2006 [cfr FUORI PORTA WEB: “Dal
Dialetto Molisano alla Lingua Italiana” di Antonino Di Cesare]. Per
stima verso di me, personalmente mi aveva donato una copia del suo libro, che
conservo con un certo orgoglio nella mia libreria, tra i doni di vari illustri
scrittori, pensatori di cultura e maestri di vita del mio paese.
Nel suo libro-testimonianza ha raccontato fatti, luoghi, proverbi, parole
e personaggi di Guglionesi con rara capacità narrativa, intrisa di suggestiva
atmosfera, dedita e rivolta alla semplicità di una vita da “Stu Pajjesott”
(citando il titolo di un componimento illustrativo dedicato al paese d’origine),
dove «Vicchie o ggione, tutt assettate sopr’u Merajjone” praticano:
Una
filosofia oltre,
oltre “Bave e Magnè” la filosofia du “Cancarejè”
e un’etica
assoluta: “Hì da sta bbone assè!»
Trasferitosi a Bologna nel 1951, dove ha svolto la professione di oculista e ha
generato la sua famiglia con l’«Unica donna» della sua intensa vita
matrimoniale, rimase particolarmente attratto dall’arte, «scosso da Piero de’ Franceschi
nel paese di Raffaello», come segnalò nella presentazione al suo libro.
Dalla passione per l’arte, infatti, e soprattutto per il ristoro culturale della
sua anima tanto sensibile alla bellezza riuscì nel tempo a creare una collezione
di opere artistiche, passione che, insieme alla musica di ogni genere, condivise
nella stessa città di Bologna con il suo amico del cuore nonché altro immenso
autorevole scrittore di origini guglionesane, l’indimenticabile Giuseppe
D’Agata, per gli amici “Pippo”.
Amante di stesure poetiche in quadri letterari, Antonino Di Cesare ridipinse nel
suo immaginario e con parole dialettali il luogo dell’infanzia vissuta a
Guglionesi con il componimento “U Chiene de Sant’Antonie”, dove emerge il complesso
filologico della sua intuizione culturale: “ci sarà un’evoluzione del
dialetto –
sosteneva anche come raccomandazione - ma solo quando le vocali avranno avuto
spazio e maggior rispetto”.
Lo ricordiamo culturalmente con un’altra sua opera di parole in scene vissute,
immaginandolo ancora un po’ lì vicino a quella chiesa, della quale alcune
immagini d'arte aveva inserito non a caso tra le prime figure del suo libro, con
lo sguardo rivolto a quella vecchia, misteriosa, sacra e cara cripta, da quella
piazza (sagrato) magari per l'abbraccio e il saluto ad un Maestro per sempre.
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Un po’ di Chiesa
di Antonino Di Cesare
A porte spalancate
la chiesa era un po' in piazza
e la piazza dentro la chiesa
il nostro andirivieni rimbomba passi brevi
foulards a più colori appoggiati su capelli vaporosi
ornavano sguardi di giovinette
donne dal pregare energico annodavano fazzoletti scuri
sotto la mandibola
panche allineate in doppia fila, le donne a sinistra.
una borsa cilindrica di pelle con manico di ottone
scuoteva monete dopo l'Elevazione
lenti gesti di offerta a mano chiusa
comunione a mani giunte e congiunte
occhi bassi sulle scarpe a controllarne lo scricchiolio
la fascia al braccio di noi piccoli calava oltre il gomito
dentro le orecchie un po' di schiuma secca di sapone
un contenitore appeso a catenelle
in oscillazione tre volte ripetuta
batteva tre volte sul metallo
e spandeva odore di incenso
sguardi improvvisi tra le due file: un cane è apparso all'ingresso
l'Ostensorio in corta processione
sotto un baldacchino rosaviolagiallodamasco
il Catafalco coi quattro ceri ai lati
sembrava un ornamento allegro
la vedova bisbiglia sul libro dei Salmi
Il Funerale
singhiozzi in prima fila
considerazioni a bassa voce
rumore di tacchi sulla strada a pavimentazione regolare
- tre passi ogni due lastre -
la saracinesca del negozio dei gelati abbassata a metà
mani dietro la schiena e flessione ritmica dei pollici
sbadiglio del conducente
muto allontanamento del carro un po' frenato
inchini
rapido dietrofront della gente al seguito
chi verso casa dell'estinto
chi con molli passi a oriente
a supporre che giornata sarà domani
requiem aeternam dona eis Domine
Natale
note d'organo
canti ad inspirazione prolungata
luci sulle navate laterali e splendori degli altari secondari
denso alitare della folla
odor di naftalina dai cappelli
sbirciare tra spalle la stella cometa sulla grotta
in tasca un mazzo di carte Dal Negro
Pasqua
caduta dei teli neri da Crocefissi
gonne plissettate e giacche chiare con fazzoletti nel taschino
sigarette piatte tra l'indice e il medio
la Resurrezione sempre coincide con la primavera
Rami di ulivo
bruciavano in piccoli mucchi
dalla parte dove non vinceva il colore verde
il tocco di campana solleva gruppi di piccioni
Pane bianco a forma di margherita
veniva offerto prima al Santo
in eleganti cesti di vimini
masticavamo a piccoli bocconi
c'era sotto una storia, una Grazia
mai abbiamo raccolto confetti di sposi
i nostri occhi erano su lei, scongiuro contro una falsità
ego coniugo vos...
Mi rivedo piccolo lì davanti
riflesso negli ottoni della banda
mentre guardo dentro una bassotuba
con curiosità.