25/5/2023 ● Cultura
Che ci faccio (ancora) qui
Niente è più facile che parlare (nil est dictu facilius).
"Vedo le cose migliori e le apprezzo, ma seguo le cose deteriori (video
meliora proboque, deteriora sequor).
"Non far passare un giorno
senza scrivere una riga" (nulla dies sine linea) nella consapevolezza
che nessun mortale è saggio a tutte le ore (nemo mortalium omnibus
horis sapit).
Non convince quella elaborazione egemonica (absit invidia verbo,
possano le mie parole non essere fraintese)
che la Cultura debba “educare” il cittadino (ex oriente lux, la
luce viene da oriente) – da oltre un decennio e, a
scanso di equivoci, su una vasta scala regionale e nazionale – esiliandosi
prevalentemente nella produzione del cartellone degli spettacoli (amicus
Plato, sed magis amica veritas, mi è amico Platone, ma mi è più amica la
verità!), della rincorsa
al sold out (tutto esaurito in inglese, mica latino!) per gli eventi mordi e fuggi
(melius abundare quam deficere, meglio abbondare che scarseggiare),
dell'evento sensazionale da qualche ora, come
attrattiva turistica a presunto rilancio culturale del settore socio-economico e produttivo, gradualmente abbandonato
durante l'anno all’indifferenza della (in)sostenibilità.
In ogni riducibile sistema di convivenza locale, senza una sufficiente ricchezza interna
(cibi condimentum esse famem, la fame è il condimento del cibo) connessa all’esodo di giovani
risorse umane, quale inevitabile risoluzione, tutto va svanendo nel lento declino di una economia
marginale (inter arma silent Musae, tra le armi tacciono le Muse), cioè in un residuo assistenzialismo al pensionato da giardino pubblico
(mors et fugacem persequitur virum, la morte raggiunge anche l’uomo
che fugge). Necessario e doveroso, a prescindere. Nella prospettiva di una
economia senza trazione interna e senza giovani restano politiche sociali di
sussidio all’età che avanza (mors tua vita mea, morte tua vita
mia), con uno sporadico “turismo da RSA” (non plus ultra, non più oltre)
anche
da assistere, promuovere, valorizzare, tutelare e da accompagnare ai bagni
pubblici (che non ci sono da quasi sempre!) come emblema della resilienza
civica e ad estrema consolazione (nil adsuetudine maius, niente è più
forte dell'abitudine) per le carenze culturali cumulate distrattamente nel
tempo perso: mala tempora currunt, sed peiora parantur (corrono tempi
cattivi, ma se ne preparano di peggiori).
Ci si impegni “alla Cultura” non
sulla visione individualista (in medio stat virtus, la
virtù sta nel mezzo) della consuetudine alla nicchia (laudato
ingentia rura, exiguum colito, loda i campi grandi, ma coltivane uno
piccolo), della gratuità
esclusiva degli spazi e dei locali pubblici altrimenti culturali solo per
qualcuno o riservati solo a pochi circuiti e "ai soli soci" (e comunque non per tutti: ipsa
olera olla legit, la pignatta sceglie da sé le sue verdure), del
depennare in ragione delle contingenze di bottega (panem et circenses,
pane e giochi del circo), del disgregare la coesione
civica contravvenendo alla retorica delle insigni “concittadinanze” (quod
capita tot sententiae, quante le teste tante le opinioni), del
dissolvere gloriose istituzioni (rem tene, verba sequentur, attieniti
ai fatti, le parole verranno), della consuetudine all'intitolarsi ovunque
beni, istituzioni, luoghi e spazi pubblici tra ristretti decisori durante
“maggioranze" di una minoranza effettiva (coram populo, davanti
al popolo).
Ci si impegni “alla Cultura" come investimento per il senso civico della Cittadinanza (per aspera ad astra,
attraverso le difficoltà (si arriva) alle stelle), poiché l'autentica
missione della Cultura è coinvolgere la collettività in
una visione inclusiva del bene comune.
Ad maiora (a cose migliori)!