5/4/2023 ● Cultura
Settimana Santa 1946: interdetti e scomuniche
A seguito di non pochi disordini che si verificavano da tempo nelle diocesi
di Larino e di Termoli (distinte fino al 1986) durante la notte tra il Giovedì
ed il Venerdì Santo, il Vescovo mons. Oddo Bernacchia, con un proprio decreto
emesso il 12 marzo 1931, dispose la chiusura delle chiese non oltre le ore 23
del Giovedì Santo e la riapertura la mattina successiva non prima delle ore 5.
Il Presule, con tale provvedimento, intendeva evitare ai fedeli qualsiasi
distrazione ed esortarli “all’Adorazione del SS.mo Sacramento” esposto
presso il cosiddetto “Altare della Reposizione” dove, ancora oggi, viene
riposta e custodita l’Eucaristica (in una pisside) al termine del rito liturgico
vespertino “in Coena Domini” del Giovedì Santo e vi rimane fino alla
rievocazione della Passione officiata nel pomeriggio del giorno seguente, il
Venerdì Santo.
Mi sia consentito rammentare che con l’introduzione nella liturgia di alcuni
segni di tristezza come la spogliazione degli altari e la sospensione del suono
delle campane e dell’organo, il contenitore della reposizione (urna), anche per
la sua forma particolare, fu considerato il sepolcro di Cristo, sebbene la
Chiesa non ne avesse ancora ricordata la morte. Per questo motivo gli altari
della reposizione vengono comunemente ed impropriamente appellati “Sepolcri”.
Mons. Bernacchia non mancò, per l’occasione, di rammentare che il Giovedì Santo,
“giorno più bello e più caro al cuore di un cristiano”, poteva rappresentare
una circostanza favorevole per accrescere la fede attraverso il “religioso
raccoglimento”.
L’invito, però, in qualche centro specialmente della diocesi di Termoli, non fu
accolto se si considera che, a distanza di ben tre lustri, le intemperanze
continuavano. Lo stesso mons. Bernacchia, il 23 aprile 1946, “avendo constatato
che nel Giovedì Santo, dopo la predica della Passione […] si è voluto fare una
processione in aperta violazione delle leggi ecclesiastiche” ed alle particolari
disposizioni da lui ripetutamente impartite, “a correzione di chi tanto ha
osato, ad ammonimento dei fedeli ed a riparazione delle colpe commesse”, decretò
quanto segue:
“1°. La statua portata in processione resti interdetta sotto qualunque titolo
si presenti. Non potrà quindi essere esposta in chiesa né servire a scopo di
culto.
2°. Incorrano nella scomunica a Noi riservata tutti quelli che hanno cooperato
direttamente per far fare la processione e tutti quelli che hanno portato la
statua.
3°. La chiesa del Rosario, da dove la statua fu prelevata resti interdetta per
quindici giorni.
Queste disposizioni siano pubblicate ‘ad valvas ecclesiae’ (affissi sui portali
dei luoghi di culto n. d. a.) nella chiesa madre, nella chiesa del Rosario e
nella chiesa di S. Antonio. I rettori […] ne cureranno la pubblicazione”.
Con ogni probabilità si tratta di Guglionesi anche se questo centro non è
espressamente citato nel drastico provvedimento.
Giuseppe Mammarella
Responsabile dell’Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino