21/2/2023 ● Cultura
La disgregazione della famiglia tradizionale
David Cooper esponente di spicco , insieme a R. Laing della corrente
antipsichatrica in auge nel 1970 e dintorni , scrisse “ la morte della famiglia”
, enfatizzando , spesso a torto , le dinamiche, a volte autodistruttive, che
nelle famiglie borghesi si innescavano al suo interno. Per fortuna oggi non
ancora siamo arrivati a quanto allora Cooper prefigurava , ma alcune avvisaglie
depongono per un inesorabile declino della famiglia tradizionale , specie dopo
che i coniugi avendo assolta la funzione riproduttiva e, avendo contribuito a
promuovere altrove , spesso in lontane geografie i nuovi nuclei familiari
filiali , proprio nel tempo della vecchiaia : un’età fragile quest’ultima che
meriterebbe una maggior cura per gli incanutiti genitori si consuma nella
famiglia che ha dato i natali alla generazione a venire la sua lenta erosione ,
fino all’epilogo finale , che è manifestamente e irrimediabilmente divisiva ,
prima con la dipartita di un coniuge e, a seguire , dopo un intristente periodo
più o meno lungo di attesa della fine ( un tempo spesso segnato per chi resta da
una logorante solitudine ), la morte, inesorabilmente falcidia l’altro coniuge .
Le avvisaglie di tale deperimento della famiglia si concretizzano oggi nelle
lunghe convivenze extrafamiliari che i figli sempre con maggiore frequenza
avvicendano (anche più volte) prima di approdare ad un rapporto stabile che può
confermare “ sine die” la convivenza o come più tradizionalmente accade la
stessa può sfociare nel matrimonio con rito religioso o solo civile .Convivenze
indecise perduranti nel tempo , benché entrambi i promessi sposi continuino
all’anagrafe ad appartenere ai rispettivi nuclei familiari di provenienza . Del
resto anche la giurisprudenza nel riformare il diritto di famiglia ha dovuto
prendere atto dell‘ attuale andamento reale delle relazioni affettive adulte
nella società e in specie ha dovuto tener conto del radicale mutamento di quel
“movimento a due” confermato e santificato dal matrimonio ( è un sacramento )
che in passato è stato il modello prevalente posto a conferma e suggello del
rapporto di coppia . Nella seconda metà del secolo scorso , dopo dure battaglie
parlamentari , di piazza e dopo l’approvazione , perfino referendarie, a
sparigliare il matrimonio nel 1970 è stato l’istituto del divorzio che ha
ridiscusso e risolto , per coloro che se ne avvalgono ( avendo entrambi i
coniugi in modo consensuale dichiarata , magari da tempo , già estinta la
propria famiglia) l’indissolubilità del matrimonio. Se ho prima richiamato la
riforma del diritto di famiglia è perché in qualche modo , anche negli aspetti
di successione : di legittima o testamentario che sia e, perfino nelle sentenze
dei tribunali che fanno giurisprudenza in questa materia ne hanno tracciato
nuove traiettorie . Ma non della famiglia, della convivenza o delle coppie di
fatto che qui mi voglio occupare , bensì di uno spaccato sociale apparentemente
residuale (il Pontefice direbbe : vite di scarto) che ha per oggetto la cura
nella vecchiaia . E, proprio della fragilità della condizione umana in età
avanzata che tratterò poiché la scarsa cura di sé spesso marcatamente accentuata
dal decadimento fisico e cognitivo , dalla consegna volontaria o involontaria
alla solitudine sociale a cui sempre più spesso sono abbandonati gli anziani ( e
non solo) anche nel nostro paese che andando a ritroso nel nostro passato pure
aveva fatto della famiglia il nucleo fondativo sociale. Tale condizione impone
oggi qualche riflessione in più . La questione , semplificando molto , ha due
aspetti identificabili e differenziabili nel grado di cura prestato soprattutto
dai parenti consanguinei al soggetto bisognoso di attenzione e cura che si
declinano nell’età avanzata generalmente nella conduzione autonoma della propria
vita o ci si avvale dell’affido neoliberista della cura al mercato o alle
istituzioni dedicate . E qui mi corre l’obbligo almeno di circoscrivere il
concetto generalizzante di cura che prendo a prestito dal saggio di Berenice
Fischer, definita come :“quell’attività che include tutto ciò che facciamo per
mantenere , continuare e riparare il nostro ‘mondo’ in modo da poterci vivere
nel modo migliore possibile“. Premetto anche che il denominatore comune
dell’anziana/o guglionesano che resta in vita dopo la morte del coniuge è nella
sua preferenziale necessità di “rispondere” nel suo ambiente di vita affettiva
alle cose rimaste in casa che nella loro persistenza ( rispetto a chi si è
congedato dal mondo ) restano ad oggettivare le condivisioni , i risparmi , le
scelte di ogni vissuto familiare e che quindi sono ancora li ad interrogare chi
resta e da lui/lei si aspettano una risposta e non certo l’abbandono . Posta in
essere tale affezione nostalgica forse si consolida la tendenza corrente
nell’insistente e praticato voler restare nella propria abitazione dopo la
dipartita del coniuge e al non dover , a tarda età, reinventarsi un altrove che
non avrebbe alcuna concreta consistente continuità con il passato familiare . A
Guglionesi i nuclei familiari costituiti da una sola persona sono circa il 23 %.
L’accudire persone cui la vedovanza impone una sorta di solitudine sociale è
oramai una prassi molto diffusa soprattutto per gli anziani che sono rimasti
soli nel portare avanti la loro vecchiaia . E, qualora i figli ed i congiunti
più stretti vivono nella stessa comunità in genere si profila un ’attenzione che
pur se frammentata e distante conserva il carattere della famiglia estesa ,
tuttavia il suo incidentale rimodellamento sconta non poche criticità . Il
portato culturale del passato appare desueto alle nuove generazioni e pertanto
non più trasmissibile ( a cominciare dal dialetto che sembra un inutile
indulgere nel tener viva una parlata morente oggettivamente inservibile in altri
contesti urbani già fortemente globalizzati , quando lo stesso vernacolo non è
di inciampo o di ostacolo all’ uniformante incondizionata acquisizione della
lingua italiana ) . La spinta alla vita autonoma familiare delle nuove
generazioni assume la connotazione di un portato culturale spesso dirompente ,
di fatto favorito ed accentuato dalla notevole implementazione della divisione
del lavoro che fa si che i figli in genere non continuino i’attività del padre e
pertanto la trasmissibilità lavorativa unitamente ai saperi ad essa funzionali
rimangono lettera morta . Ciò che è declinato al passato, soprattutto quello
remoto, è giocoforza un passato inutilizzabile nel contesto sociale attuale
(connotato da un espanso , imperante presentismo ), spesso foriero di richiami
nostalgici ,comunque andati, talvolta patetici . Quelle appena accennate sono
diversità dirimenti che a volte diventano divisive e di per sé già a priori
escludenti una possibile coabitazione con chi è rimasto solo che tuttavia la
discendenza filiale, forte dei legami di sangue richiederebbe , ma che di fatto,
sia per gli aspetti affettivi che con rimpianto si appuntano sulle cose prima
condivise ( una specie di animismo) dall’avente bisogno di cure , sia per la sua
praticabilità reale del quotidiano che imporrebbe un precario incerto
riadattamento richiesto da un’ eventuale nuova convivenza in cui sono mutati i
soggetti rispetto alla famiglia d’origine . Pertanto . dopo che i figli hanno
costituito nuovi nuclei familiari autodeterminati si rende di fatto poco
allettante se non impossibile un recupero di una socialità familiare volta al
passato tant’è che la traiettoria che porta al vivere da soli l’età della
vecchiaia è a Guglionesi la condizione che oggi è maggiormente praticata . I
figli condiscendenti accompagnano tale scelta limitandosi alla sorveglianza
attiva della nuova fragilità che si appalesa in particolare nella vedovanza ; un
bisogno di attenzione spesso calmierato dalle visite quotidiane dei figli ,
magari alternate con l’avvicendamento dei parenti di pari grado in quella che
per forza di cose di fatto diventa un’accudire a distanza . Un’ attenzione più
élitaria , nella cura della fragilità in età avanzata è quella che vede le
famiglie ricche o medio ricche e di coloro che previdenti hanno fatto tesoro dei
risparmi accumulati per affrontare con maggior sicurezza la loro vecchiaia
facendo ricorso all’occorrenza alla cura di badanti nella gestione del
quotidiano specie di persone non più autosufficienti , spesso infermi allettati
( nei casi più gravi anche di tre coadiuvanti che si avvicendano nella cura
quotidiana della persona ). Tale soluzione rappresenta un affido parziale alla
liberalità del mercato che ha istituzionalizzato per le badanti il trattamento
economico anche dal versante sindacale : settimana corta, godimento delle ferie
, e tredicesima e quindi la stabilizzazione legalizzata di tale modalità di
accompagnamento della vecchiaia . I figli, rassicurati dalla presenza remunerata
di chi si prende cura della precarietà dell’anziano si limitano ad una
sorveglianza più debole , magari di necessità ; si adoperano per il pronto
intervento qualora dovessero palesarsi criticità che implicano scelte di
responsabilità . Infine , spesso, diventa pressante l’intrattabilità domestica
dell’anziano richiedente maggiore cura, anche a causa del notevole peggioramento
delle facoltà cognitive e della gestione funzionale fisica del non più
autosufficiente e, come” ultima ratio” si profila l’affido dell’anziano ad una
RSA ( Residenza Sanitaria Assistenziale ) ; un accollo che rappresenta una
scelta che almeno a Guglionesi : una comunità che pur avendo un congruo numero
di abitanti anziani una Casa per gli Anziani , non ce l’ha. Gli altri paesi,
anche limitrofi, ne dispongono e non si fanno scrupoli nell’ospitare nella loro
struttura compaesani che spesso hanno vissuto nei dintorni della loro RSA ,
magari prefigurando un giorno il doverne varcare la soglia con i pochi effetti
personali consentiti . La presa in consegna in una RSA della precarietà nella
vecchiaia rappresenta una specie di ultima pre-ospedalizzazione : c’e il
servizio infermieristico , quello medico a consulenza, la riabilitazione , l’ora
d’aria, eccetera . Torna utile, per farsi un’idea dei mutamenti che
caratterizzano l’accompagnamento ultimo dei nostri compaesani, leggere gli
annunci di morte affissi . Dai necrologi è possibile prendere atto di una
ricorrente tripartizione dei decessi che offre anche la possibilità di fare, sul
dove accade , un’intuitiva approssimata statistica . Si muore nelle RSA, si
muore nell’Hospice di Larino, si muore in ospedale . E oggi , almeno a
Guglionesi è diventata una rarità il morire in casa circondati, come accadeva “antann”,
da una affettività filiale e parentale che ha le liberalità aperte della
famiglia e non i tempi codificati e regolamentati dalle istituzioni su citate .
Mi appresto a chiudere con un affondo sulla mancata o debole cura
dell’accoglienza per i migranti che a decine, a tutte le età e di ogni sesso
purtroppo trovano la morte nel nostro mar Mediterraneo , sopratutto nei dintorni
di Lampedusa . Ed è proprio sui migranti che il nostro corregionale Domenico
Iannaccone , reporter e regista, nel 2016 ha girato un interessante
cortometraggio “ Lontano dagli occhi “ ( lontano dal cuore , il tra parentesi è
mio ) allo scopo di dar voce a chi voce più non ha e dare una traccia a chi non
è più tracciabile né rintracciabile,semplicemente : disperso in mare .
Arcangelo Pretore