1/2/2023 ● Cultura
Giornata Nazionale della Vita
“Nò, ad una cultura di morte dettata da ideologie e da interessi economici”.
E’ questo il tema inquietante proposto dai Vescovi italiani per la 45^ Giornata
Nazionale della Vita, fissata al 5 febbraio, prima domenica del mese. Nel
sottotitolo, i presuli chiariscono che “la morte non è mai una soluzione”, come,
in qualche modo lo riteneva già lo storico francese Pierre Chaunu secondo il
quale <laddove c’è agonia di vita e denatalità, da quel momento e da quel luogo
incomincia ad espandersi nel mondo l’epidemia della “peste bianca”>, così
immaginata da lui nel 1976, per averla accostata alla “peste nera” del XIII
secolo, che sterminò un terzo della popolazione europea. Il disamore a
procreare, svuota infatti e massacra tutti i reparti della scienza medica
riguardanti i processi rigenerativi dell’umanità.
Tale inquietudine, preoccupa anche l’Onu che definisce l’Italia “popolo etnico
in via di estinzione”, giacché Il rapporto, tra nascite e decessi, è negativo
fin dal 1990. L’Italia, insomma, è dimagrita in breve tempo di oltre 200 mila
persone, corrispondente suppergiù a quel rimasuglio di esseri umani esistenti
oggi nel Molise.
Mi riaffiora – menomale - nell’animo, l’inno alla creazione: il racconto
biblico, cioè, sulla infinità delle origini della “Vita”. E di quel Dio che -
dopo aver portato a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere -
creò l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza, e li benedisse e disse
loro: “Siate fecondi, crescete e moltiplicatevi; sparpagliatevi sulla terra. E
dominatela!” (Gen. 1, 28-29). “E quando Dio ritenne cosa buona e giusta tutto
ciò che Egli aveva creato, venne sera e fu mattino”: il settimo giorno, quello
della festa, consacrato al riposo ed alla contemplazione. E,… poi? E poi fu sera
e fu mattino: per quest’altro “ottavo” nostro giorno di frustrazioni e di
speranze, che si dilatano sull’uomo; sulle sue responsabilità, sulla sua vita e
sul suo destino.
Attorno a questa agonia genitale, a questo dramma e su questi sogni di futuro,
che s’allarga lo sguardo inquieto ma anche rasserenante dei Vescovi, attraverso
il loro Messaggio: “Nò - ad una cultura di morte”. E ne catalogano motivazioni e
contesti, esprimendo il loro pensiero press’a poco così: Quando una coppia non
potrà mantenere un figlio indesiderato, o perché comporterebbe la loro libertà,
bèh, lo sbocco potrebbe essere l’aborto. Quando non sopporta la malattia, o un
essere umano rimane solo; quando perde ogni speranza e risulta inefficace anche
la terapia terminale – ebbene - la via d’uscita può consistere nell’eutanasia.
Allorché la relazione con il coniuge o con “il compagno” diventa complicata,
l’esito è talvolta catastrofico: la violenza degenera con un inarrestabile
ricorso al femminicidio, all’uxoricidio di chi, forse, amava fino a pochi attimi
prima. E si travalica così ogni barriera e si dà sfogo alla collera perfino sui
piccoli, nella intimità delle proprie mura domestiche.
Quando questa nostra esagitata esistenza risulta insostenibile – prosegue il
documento della CEI – e il “poverocristo” di turno non scorge in lontananza
neppure uno sprecapopololo per aiutarlo a perforare il muro della solitudine,
allora egli stabilisce di tuffarsi nel profondo del suo estuario più tragico.
Quando l’accoglienza di profughi, di naufraghi scappati e scampati da guerre,
oppressioni, persecuzioni, miserie, e l’accoglienza umana si tramuta in
“respingimento” e disumanità, ahimè, sopravviene allora l’atto inesorabile!
E’ giorno di festa quello della Vita e per la Vita! Il giorno autorevole per
esortare a riflettere anche sulla “morte psicologica” quella interiore, quella –
per esempio - delle “mamme in attesa”, mortificate e talvolta allontanate dal
lavoro, essendo ritenute svantaggiose per l’economia dell’Impresa. E’ il giorno
per volteggiare lievemente pure sulla dolorosa ed inarrestabile diaspora di
nuove generazioni in abbandono nel mondo, in un esodo senza il ritorno “nella
cara terra dei padri”.
Noi non siamo stati capaci di far fiorire qui i nostri giovani e la loro
esuberanza. Non abbiamo capito l’implacabile grandezza della vita che,
inesorabilmente, si sarebbe inceppata in assenza di coppie in età feconde. Le
abbiamo sbaragliate delittuosamente. Non abbiamo pensato a ideare misure di
sostegno permanenti capaci di bloccare l’emorragia della vita.
San Carlo Borromeo - assai amato e venerato in passato a Guardialfiera – morto a
48 anni, qualche giorno pria di spirare, sfinito dalle fatiche pastorali – così
sussurrò al frate cappuccino che lo vegliava: “La candela per far luce agli
altri, deve consumare se stessa". Dobbiamo consumare noi stessi per “dar vita
alla Vita” e agli altri!
Pasquale Di Lena, politico e autentico cultore larinate, annotava così sul suo
Web nel settembre scorso: “Siamo di fronte al destino della nostra terra madre,
al destino della nostra specie; siamo di fronte al problema dei problemi!”.
Francesco D’Ovidio - appassionato umanista molisano, nel primo centenario della
Provincia di Molise (1911), mentre s’aprivano tempi nuovi sul progresso
quantitativo, umano e spirituale della sua e della nostra terra, così proclamò e
così scrisse, come in un intenso inno creativo: ”O Giovani, amate questa vostra
terra natale; amatela benché modesta; amatela perché modesta! Amatela per le sue
glorie passate, per le benemerenze presenti; amatela per il suo sperato futuro
di Vita”!