BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

Per ulteriori informazioni   LUIGI SORELLA


19/12/2022 ● Cultura

Verso una società senza padri: il nostro anticipo del '68

"...rifuggendo consolatorie metafisiche che per convenzione o per tradizione avrebbero potuto affidarmi solo a un padre putativo".

  Arcangelo Pretore ● 558


E’ trascorso oltre un cinquantennio dai fatti che andrò a narrare o meglio , come si usa oggi, a testimoniare; pertanto è ragionevole realizzare , che l’ esperienza personale che a quel tempo mi ha coinvolto possa oggi diventare uno spaccato, seppur limitato , della nostra Storia sociale locale . Eravamo un gruppo di amici più o meno coetanei , ci frequentavamo con una certa assiduità , anche perché allora : la casa , la piazza e la strada erano i più frequenti luoghi di incontro: all’epoca , le auto erano una rarità, ancor più lo erano i ciclomotori ; veicoli che potendo velocizzarci , in modo strumentale avrebbero potuto ampliare il nostro raggio di frequentazione, accrescendo le relazioni amicali ( che comunque , in ragione della condivisione delle stesse classi di età la scuola favoriva ) agli altri paesi limitrofi. Eravamo in quell’età un po’ stupida dell’adolescenza ( né bambina né adulta), un tempo in cui l’osare poteva diventare la cifra che accendeva l’immaginazione di vividi infiammanti propositi . I nostri padri , benché in molti fossimo impegnati con profitto nello studio , non avevano molta fiducia , né tanta speranza che in futuro i beni ( soprattutto i terreni, le stalle con annessi allevamenti , le abitazioni di proprietà …) che erano stati salvaguardati durante il periodo bellico o i loro proventi faticosamente , rapidamente accumulati con abnegazione negli anni del boom economico ( da cui peraltro traevano il reddito anche per noi) potessero in futuro essere conservati, consolidati e se mai accresciuti . Antonio Di Rocco, poi diventato assessore regionale all’Agricoltura , animatore del club 3P ( allora emanazione modernizzante della Coldiretti), di orientamento democristiano , era attivo nel promuovere nel territorio del Basso Molise la formazione di giovani agricoltori motivati, coinvolse alcuni di noi nel suo percorso di informazione sul nuovo che avanzava nel comparto agricolo sia in termini di meccanizzazione che in termini di sperimentazione sul campo . In fondo le 3p , ne esplicitavano in modo semplice e chiaro gli obiettivi formativi che si volevano conseguire : Provare , Produrre, Progredire. Convincenti , le 3p riepilogavano l’innovazione in agricoltura , l’auspicato aumento della produzione , la sua allettante redditiva collocazione sul mercato , indice complessivo del raggiunto progresso e quindi del conseguente ben-essere. In una sera d’inverno , trovandoci a casa di Giuseppe Radatti senior , padre di Nino Radatti al tempo amico e coetaneo ( lo è ancor oggi ) che possedeva una continua , ragguardevole piana di terreni a “Faloc “ : una contrada d’area vasta del territorio a valle del Biferno ricadente nell’agro di Larino . Di solito , Giuseppe , in parte faceva coltivare i terreni ai “mulunar” , i coltivatori di meloni di Portocannone , esperti in quella produzione orticola i quali seriosi alla raccolta vantavano guadagni da capogiro . Quell’ anno , si era nel ’66 o ‘67 del secolo scorso ( non ricordo con precisione ) Giuseppe aveva intenzione di lasciare a riposo qualche ettaro di terreno per i consueti ricorrenti avvicendamenti colturali . Con Giuseppe e la sua famiglia allargata, con i cui componenti in una uggiosa sera d’inverno in modo amicale e confidenziale in gruppo ci eravamo intrattenuti ed attardati più del solito, scommettemmo sulla capacità di noi giovani di intraprendere l’impresa non facile di coltivare i meloni ( senza peraltro trascurare il consueto impegno scolastico ) nelle stagioni primaverile ed estiva che a seguire l’inverno, presto si sarebbero avvicendate . Prendemmo la palla al balzo poiché Giuseppe, con generosità, ci offri la possibilità di coltivare quell’anno una parte dell’appezzamento mettendo a nostra disposizione il trattore , il gasolio e le attrezzature necessarie per le consuete lavorazioni di campo . Della entusiasta combriccola animata dal proposito di coltivare i meloni ( l’epoca della coltivazione andava dalla preparazione del terreno , seguita dalla semina a filari dei meloni , alla cura durante la crescita delle piantine , alla loro fruttificazione e infine alla raccolta stagionale e alla conseguente commercializzane dei frutti ) facevano parte : Nino Radatti Junior , Di Cesare Nicolino , Michele De Santis , Peppino Santoro ed io ); Tranne Peppino Santoro , che era manovale edile noialtri eravamo tutti studenti della S. M. Superiore . Nell’organizzare l’impresa realizzammo che era necessario disporre di un auto che ci portasse ogni giorno sul luogo di lavoro . In questo fummo accontentati ; finanziati dai nostri genitori , in quota parte , acquistammo una cinquecento di seconda mano , proprio da Antonio Di Rocco, allora esponente di spicco della politica locale del Basso Molise che la teneva in disuso nella sua fattoria . Acquistando alcuni pezzi di ricambio e , soprattutto ad a opera di Nicolino Di Cesare , l’unico patentato del gruppo, un po’ esperto di motoristica l’auto , dopo innumerevoli prove , rimessa su strada , la cinquecento riacquistò efficienza ed affidabilità. In modo provvidenziale l’auto in quel periodo ebbe a svolgere una duplice funzione: ci scarrozzava da Guglionesi a Termoli ( non si viaggiava più in autobus per frequentare l’ Istituto) e, nel doposcuola ci portava in campagna per attendere ai lavori colturali orticoli . Quella nuova consuetudine di viaggiare in auto per raggiungere la scuola , avanzatissima per i tempi , ci inorgogliva non poco poiché si riusciva a partire qualche manciata di minuti più tardi al mattino ; poi, all’ uscita di scuola rapidamente ci portavamo in campagna e, solo alla sera , quando non eravamo stanchi e, se ne avevamo voglia , ci si poteva applicare allo studio . Le sementi le avevamo acquistate a Termoli Da Giampaolo: fioraio e vivaista ( meloni gialletti: una varietà spagnola, che si diceva essere dolcissima e meloni verdi rugosi , a più lunga conservazione ). La semina la effettuammo in aprile . Germogliarono i semi, crebbero le piantine ; il campo a giugno visto dal paesaggistico terrazzino della casa di campagna di Nino dove nel corso dei lavori avevamo trovato alloggio e talvolta anche pernottamento, sembrava un ‘ ordinata distesa di rigogliosi verdeggianti ordinati filari con ampie intricate ramificazioni espanse alla base che viste da vicino portavano molte promettenti infiorescenze a corolla gialla , ed alcune piante , avvizziti i petali, già avevano allungato un piccolo frutto verde lanuginoso . Spesso , nei fine settimana che abitualmente avrebbe dovuto essere un tempo liberato , in quel periodo era diventato per noi un tempo di maggiore impegno lavorativo . Si pernottava in campagna friggendo a cena gustose zucchine tagliate in tondini e infarinate : un desinare frugale che a stento sosteneva quel nostro tempo biologico avido di alimenti più sostanziosi necessari per la nostra crescita fisica. Trascurammo la scuola ; oramai il nostro interesse era diventato il portare a maturazione i meloni . Nicolino Di Cesare , di poco più avanti in età in quel composito, coordinato gruppo amicale finalizzato al lavoro ( di cui a livello locale non ricordo esperienze similari ) ci scarrozzava con la nostra cinquecento un po’ hippy ( aveva i cerchioni verniciati in verde e giallo) dal paese a Termoli , in campagna attraverso una strada sconnessa ed a tratti impraticabile , intervallata dai cantieri in cui erano in allestimento gli imponenti manufatti della Fondovalle : “Bifernina “ , all’epoca in costruzione . I ponteggi allestiti erano d’intralcio alla circolazione dei mezzi che avrebbe dovuto accedere ai fondi limitrofi ; una volta , causa la strada dissestata , accadde che alla nostra rimediata cinquecento si ruppero i semiassi di trasmissione del moto e noi giocoforza restammo nottetempo pateticamente appiedati . Comunque, venne l’estate ed i meloni grossi, gialli e verdi accrescendosi a terra a vista d’occhio, giorno dopo giorno , allettanti già facevano già bella mostra di sé . A sera , tornati al casolare infervorati facevamo i conteggi del numero di autotreni che avremmo potuto riempire e del corrispettivo ricavo che ne avremmo tratto . Dopo le estenuanti fatiche quotidiane e, soprattutto dopo aver sostenuto le spese per la benzina , per la frequente riparazione dell’auto ( ad onor del vero ci siamo, in modo scherzoso, anche molto divertiti ) , aver patito il disagio del mangiar scarso e occasionale … finalmente la redditizia vendita dei meloni ci avrebbe ricompensato . Ma il 18 luglio di quell’anno , proprio nell’area da noi coltivata imperversava un forte temporale : un diluvio associato ad una straordinaria grandinata si erano abbattuti sulle coltivazioni . In modo torrenziale veniva violentemente scaricato dal cielo acqua a catinelle frammista a chicchi di grandine fitti , grossi come noci che a pochi giorni dalla raccolta sforacchiarono i meloni in più parti ; grandine che avvizzì il fogliame delle piante e che in un breve lasso di tempo fece sfumare ogni nostra possibilità di ricavo . Per giunta, a fine anno scolastico ciascuno di noi aveva rimediato rimandi a settembre, se non la bocciatura .Tanto lavoro ed impegno per niente . Fotografammo lo scempio , fidando sulla benevolenza delle associazioni di categoria degli agricoltori , senza tuttavia nutrire alcuna speranza risarcitoria poiché preventivamente non eravamo assicurati contro le avversità meteoriche. E in quell’impresa gravata dall’insuccesso toccava ancora ai padri , la cui autorità ( spesso autoritaria) contestavamo darci consolazione . Tuttavia al di là dell’insuccesso dell’impresa quell’esperienza ha connotato fortemente l’orizzonte futuro delle nostre vite improntandole a nuove aperture libertarie . Ebbero ragione i padri nel sostenere che “ sotto il cielo niente è certo” e che noi , forti delle nostre giovanilistiche certezze, in quell’impresa, con presunzione li tenemmo a distanza, anche se gli adulti con discrezione sorvegliavano l’operato e, tale era la loro preoccupazione che al momento del bisogno, quando si era in ritardo o in affanno nel seguire le necessarie lavorazioni colturali Giuseppe Radatti si era messo sul il trattore ed a ripasso affinava con il bivomere leggero il terreno tra i filari e, mio zio, Vittorio in una afosa e calda giornata estiva ci aveva aiutati a rinserrare i filari . Di li a poco, tuttavia, accadde che i padri li superammo davvero , mettendo distanza tra noi e loro, poiché, terminati gli studi medi alcuni di quello che fu il nostro gruppo amicale che intraprese l’esperienza della coltivazione dei meloni prese la via dell’estero ( trovarono temporaneamente o stabilmente lavoro in Francia) ; qualcun ‘altro , me compreso , continuò gli studi e, accadde nel ’69, che mio padre dopo una lunga malattia lo persi davvero. E , giocoforza m’incamminai verso una società senza padri , rifuggendo consolatorie metafisiche che per convenzione o per tradizione avrebbero potuto affidarmi solo a un padre putativo.

Arcangelo Pretore

Cartellone




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