23/9/2008 ● Cultura
"Esperienze di vita di scuola", Ferdinando Gizzi, cap. 6
Ferdinando Gizzi
Esperienze di vita di scuola
(diario di un direttore didattico)
6
Giorno triste. E’ morto Gaetano, mio caro amico. E’ morto forse di peritonite.
Una breve agonia in una cameretta della sua abitazione. Prima un alternare di
speranza e di sconforto, poi la fine. Poveretto, Gaetano, e sfortunato oltre
ogni dire !
Quanto poco ha goduto nella sua vita: la cecità, figlia della guerra, non ha
spento fino all’ultimo istante della sua vita, il desiderio di essere a fianco
della sua donna, da lui voluta e desiderata nel segreto del suo cuore per tanto
tempo. Se n’è andato così: col sorriso sulle labbra, quasi ad accogliere la
Morte, come si può accogliere l’arrivo di un amico che si aspetta da tanto tempo
e che improvvisamente arriva.
La sua scomparsa genera in me un cambiamento; mi sembra che tutto intorno abbia
cambiato colore e forma, che le stesse cose inanimate emanino un profondo senso
di malinconia, di speranze spezzate, di aneliti a stento repressi.
Quasi non capisco l’atteggiamento degli amici, i quali dopo averlo accompagnato
all’estrema dimora, si mostrano ancora sereni e rassegnati. Senza parlare, poi,
dell’indifferenza delle persone estranee che incontro, che sono sorridenti e
festaioli. Solo Nello è triste come me. Lo so. La vita continua. Guai se tutti
dovessero assumere il volto del dolore perché se n’è andato un amico o un
conoscente.
Eppure l’atteggiamento di costoro non lo capisco, mi infastidisce. Il motivo è
che sento che qualcosa è mutato dentro di me, profondamente. Forse perché
Gaetano è morto ancora giovane, è andato incontro al mistero dell’al di là
quando aveva ancora tanta gioia di vivere, di restare con noi.
- Sono passati alcuni mesi ed il mio volto è tornato sereno. A lenire il mio
stato di prostrazione sono i libri, è lo studio, nel quale mi sono tuffato a
cercare forse nuova forza e grande fede nei nobili ideali di vita. Ma lo studio
fatto così lontano dall’Università mi procura sacrifici e fatica; senza poter
frequentare assiduamente le lezioni, ma solo intento a studiare sui libri per
poi presentarmi con tanti patemi d’animo agli esami.
I miei saltuari viaggi a Roma sul treno “accelerato” non sono sufficienti a
instaurare un rapporto sereno con il mio corso di studi e con i professori che
molto tengono alla frequenza. Ma come è possibile fare diversamente ? Come
conciliare lavoro e studio, meglio di così ? Qualche volta sono preso dalla
stanchezza e non ho voglia di studiare. Allora seguo i miei pensieri che si
affollano alla mente oppure rifletto sui concetti fondamentali degli autori dei
libri. Fuggo così la realtà. Ma c’è sempre il collega Monti che ogni volta si
apre a più intime confidenze. Questa volta mi parla della sua ragazza, la
signorina Lisa, studentessa della facoltà di Lettere. La sua storia mi piace e
mi invita a distrarmi e a sognare.
Maggio 1951. Composizione in collaborazione: è lunedì, e l’ora indicata (10) nel
mio orario delle lezioni.
Gli alunni in precedenza si sono affollati intorno alla mia cattedra per
mostrarmi i compiti fatti a casa. Ne approfitto per farli esercitare un po' nel
calcolo orale. Li invito anche a narrarmi come hanno trascorso la giornata di
ieri pomeriggio a casa per stimolarli a parlare nella lingua italiana e ad usare
vocaboli appropriati.
Le loro espressioni sono purtroppo stentate, scarne, spesso contorte e faticose
e il più delle volte infarcite di vocaboli ed espressioni dialettali.
Stiamo discorrendo di un argomento propedeutico allo svolgimento del tema,
quando sento parlare qualcuno; la voce viene dal corridoio, e dalla porta
socchiusa si affaccia la testa di un uomo che subito riconosco essere quella del
direttore, che dice: “Ti presento l’Ispettore Mazza”. Uomo alto, ben piantato,
con larghe spalle e con un vocione dal chiaro accento partenopeo che a prima
vista mi intimorisce.
E’ proprio l’ispettore della Circoscrizione di Teano, che è venuto per stabilire
se io sia idoneo a superare il periodo di prova (triennio) per essere promosso
ordinario e quindi confermato in pianta stabile.
Mi chiedo: “ ma è proprio necessario che si scomodi un ispettore per vedere se
io sia idoneo al servizio d’insegnamento? Non bastano i giudizi del direttore
Ferruccio che pure ha sempre apprezzato il mio lavoro e tanto mi stima come
maestro e come uomo? E poi, voglio dirlo sinceramente: io non amo questi termini
che sono sì validi dal punto di vista strettamente giuridico, ma che per me
sembrano anacronistici”.
Io infatti propendo nella vita a considerarmi più straordinario che ordinario.
Ma bando all’accezione dei due termini e alla simpatia per l’uno o per l’altro.
Da quel signore alto e grosso seduto nella mia malferma sedia dipende tutto il
futuro della mia carriera di maestro.
Io, per natura timido, vengo preso dalla sorpresa dalla quale mi riprendo
lentamente . Viceversa gli scolari non danno eccessivo peso all’inaspettato
visitatore. Si direbbe quasi che a loro interessa ben poco. Do all’ispettore, su
sua richiesta, il registro di classe. Lo osserva, guarda se è curato
l’aggiornamento. Si sofferma sul modo come è stato redatto e il programma
mensile delle diverse materie. Legge le note di cronaca. Prende appunti, e alla
fine firma il registro nell’apposito spazio a lui riservato.
Il direttore intanto si districa a mala pena fra i banchi messi una accanto
all’altro nel poco spazio disponibile ed anche lui provvede ad interrogare
qualcuno. Dopo la rapida attenta lettura del registro l’ispettore mi chiede: “
Che cosa stanno facendo i suoi alunni?”
“ Ci stiamo preparando per una composizione in collaborazione”
“ Su che cosa è caduto l’argomento?”
“ Sulla raccolta del grano, lavoro intenso in cui fra non molto saranno
impegnati grandi e piccoli qui, in questa zona”
“ quale è il metodo che lei segue per orientare meglio i suoi scolari? Per la
preparazione impiega un solo giorno oppure altri giorni? Come vengono aiutati
nel lavoro personale? Gli alunni hanno a disposizione materiale per la
consultazione, oltre naturalmente il libro di testo? Consultano un vocabolario?”
Si fa, quindi, dare i quaderni di bella copia.
“Come mai i suoi alunni scrivono così poco? Perché sono poveri di idee? Perché
la loro forma è scorretta?”
“ Signor ispettore, sono alunni di una frazione, parlano tra loro sempre il
dialetto; a casa non fanno quasi mai nulla perché i genitori non sono in grado
di seguirli”.
L’ispettore pare alquanto convinto. Passa poi alle interrogazioni di aritmetica,
scienze, storia e geografia e gli alunni rispondono abbastanza bene. Una bella
figura ha fatto Carletto, un ragazzo che non studia mai, che scrive malissimo e
disturba continuamente gli altri. Ha risposto sfoderando prontezza e
disinvoltura, a tutte le domande. Come sia riuscito a farlo, non lo so! Proprio
lui che è il più distratto e turbolento della classe! L’ispettore procede nel
farli leggere, osserva i cartelloni murali e li trova antiquati e niente affatto
aggiornati, dà uno sguardo al mio diario giornaliero (naturalmente elastico)
delle materie che io sono solito distribuire opportunamente alternandole in base
all’impegno che esse richiedono. Poi da uno sguardo agli appunti scritti via via
e mi anticipa il giudizio positivo: idoneo a passare ordinario. Prima di alzarsi
mi da dei consigli: insistere presso le autorità comunali perché gli arredi e i
sussidi siano più adeguati e aggiornati e mi raccomanda di impegnarmi
maggiormente utilizzando tutti gli accorgimenti, nell’insegnamento della lingua,
usando in particolar modo le tecniche del Payot e Posinait.
“Bravo, mi compiaccio con te. Forse ci rivedremo l’anno prossimo”. Quando
unitamente al direttore varca la soglia dell’aula per andare via, lo osservo
attentamente e mi pare di leggere nel suo viso tanta bontà.
3) MIGNANO
Sono tornato a Mignano, dove risiedono i miei da oltre dieci anni, in data 1
Ottobre 1952, trasferito su mia domanda, e come titolare di una cattedra. In due
anni sono a casa mia, nel mio luogo di residenza, a differenza del collega Monti
il quale è costretto a fare ancora sacrifici e vivere a qualche centinaio di
chilometri lontano da Napoli. La facilità con la quale ho ottenuto il
trasferimento è la prova di come sia poco desiderabile avere una sede
all’estremo limite della regione campana e della provincia di Caserta. Mignano
non è che un piccolo, anche se grazioso, paese con anche gruppi di case sparse e
di piccole frazioni come Caspoli, Campozillone, Moscuso, Annolise.
Il paese è ricco di storia, che ruota intorno ad un maestoso castello che fu
anche dei Fieramosca e dove venne firmata la pace detta proprio di Mignano tra
il Papa Innocenzo III e Roberto il Guiscardo nel 1139. Il gioco dei monti
vicini, degli avvallamenti, delle chine che scendono verso i due ruscelli (Peccia
e Rivo) evocano paesaggi alpini. L’accesso alle frazioni si ha attraverso
incerte strade, da seminascosti sentieri, da qualche malfermo ponte. Il richiamo
delle campane invita ad incontrarsi nella piazza antistante il sagrato e
l’edificio ove hanno sede anche Municipio, le scuole, il carcere. Qui mi
incontro con gli amici a discorrere di tutto. Si ricorda, si rievoca, si
progetta.
Le notizie corrono con rapidità, anche se qualche evento si verifica in una
frazione distante come Moscuso e con non agevoli vie di comunicazione. La
notizia, qualunque essa sia, corre rapida ripetuta da chi sente prepotente la
necessità di parteciparla a parenti, amici, conoscenti. Vengono così mantenuti
saldi i vincoli di amicizia, anche quando le condizioni del tempo sono
sfavorevoli, quando soffia un vento impetuoso (che qui è di casa) e durante il
periodo invernale, che per la verità qui non è poi tanto inclemente. Dopo la
furia devastatrice della guerra, ora c’è un nuovo edificio scolastico costruito
in una zona per la verità poco centrale e, secondo me, troppo vicino al ciglio
di un’altura, dato che il lato sinistro posteriore è posto proprio a strapiombo.
“Siamo sicuri di non scivolare a valle? E se dovesse svegliarsi il vicino
vulcano spento di Friello, dove si va a finire?”
Segnali ce ne sono sempre stati, specie negli ultimi tempi, quando ripetute
violenti scosse telluriche hanno addirittura creato delle larghe crepe nella
principale via del paese.
“ Che Dio ce la mandi buona!”
Siamo dieci insegnanti, ognuno ha la propria aula spaziosa e ben illuminata da
due ampie finestre. Le scolaresche sono alquanto numerose . La mia classe (una
quarta mista) è più consistente delle altre: 40 (?) alunni; una classe ben
preparata, che da quattro anni porto avanti con impegno e dedizione.
L’arredamento è moderno e funzionale, la cattedra troneggia nell’ampio spazio
tra banchi e sussidi vari. Come mi sembra lontano quel 1941 e poi gli anni
immediatamente seguenti; furono quelli il mio vero banco di prova di duri
sacrifici, quando, cessato il fragore assordante dei cannoni, ridotto il paese
ad un cumulo di macerie, mi sono ritrovato lungo la strada che porta alla
fontana Castello con i miei scolari e in compagnia del mio amico collega Mario;
Tutti seduti su pietre di tufo ad impartire a quei piccoli ancora spaventati, le
prime nozioni del sapere; quando eravamo tutti intenti a scavare sotto le
macerie per salvare qualche documento scolastico, con cui riaprire un ufficio,
sotto l’amorevole incoraggiamento del direttore Ferruccio, mio primo vero ed
unico direttore didattico del dopoguerra a Mignano. E’ colui che ancora oggi mi
dà consigli, mi stimola a continuare gli studi universitari, mi indirizza verso
nuove tecnologie e nuove esperienze didattiche. Mi affascina la sua passione, la
capacità, il tatto, il suo particolare “stile” di presentarsi al cospetto dei
maestri.
Il rapporto con i colleghi è più che ottimo, anzi fraterno. E’ per questo che
con uno di essi, Mario, stabilisco un rapporto di parentela spirituale,
battezzandogli il primo figlio, Alfredo, nato dal matrimonio con una bella
ragazza del paese, Elide.
Talvolta mi tocca ascoltare le disavventure della collega Ratti, una maestra
dimessa, modesta, forse non eccessivamente dotata dal punto di vista
professionale. Vuole consigli continuamente. Si è stabilita qui perché il marito
è da queste parti. Deve essere un po' avara. Ostenta di fare vedere il suo
portamonete; forse perché è alquanto sdrucito. Un giorno arriva a scuola di buon
mattino.
“ Ho perso il mio portamonete. Perché non vedi se qualche tuo alunno l’ha per
caso trovato?”
Poi ho saputo che è stato il marito a sottrarglielo. Come fa la povera Ratti a
sopportare quel marito, che vive alle sue spalle, un uomo senza iniziative,
senza altro pensiero se non quello di bighellonare per le vie del paese !
Un diversivo. Oggi la collega Maria non è venuta a scuola e, come da comune
accordo, ho fatto entrare nella mia aula anche i suoi alunni, non molto numerosi
questa mattina: appena 10.
Ho notato subito la seria e completa preparazione di tutti, ad eccezione di un
bimbo gracile, dall’aspetto dimesso che se ne sta quieto quieto nell’ultimo
banco con atteggiamento distratto, quasi assente, e per nulla interessato
all’argomento che sto trattando. Mi avvicino a lui, cerco di incoraggiarlo a
stare più attento, ad interessarsi di più; prendo in mano i suoi quaderni e mi
rendo subito conto che la sua preparazione è disastrosa: i suoi pensieri sono
indecifrabili e le frasi infarcite di errori di ortografia imperdonabili. Adesso
capisco la ragione per la quale la collega se lo porta avanti, promuovendolo
immeritatamente. Me l’aveva detto qualche giorno fa: “ Sai, è figlio di un
carabiniere in pensione il quale, tornato al paese, non sa fare di meglio che
scrivere lettere anonime contro chiunque. Se anche il figlio saprà scrivere come
il padre, quando sarà grande, ricalcando le orme paterne, per il noto principio
dell’ereditarietà dei geni, potrà essere nocivo alle nuove generazioni.” Che
strana idea! Ma sarà poi proprio così? Oppure quel bambino gracile e ignorante
troverà ulteriori stimoli nella società per colmare le lacune che la scuola ha
incoraggiate e promosse?
... i miei saltuari viaggi a Roma [Archivio famiglia Gizzi]
... dopo la furia devastatrice della guerra, Mignano Montelungo [Archivio famiglia Gizzi]
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