15/5/2020 ● Cultura
"A Messa, finalmente!"
Settima lettera “dall’esilio” del Vescovo Gianfranco De Luca alla comunità
in vista della ripresa delle celebrazioni aperte alla partecipazione dei fedeli
* * *
“A Messa, finalmente!”
Così giorni fa titolava l’Avvenire, dando notizia dell’Intesa tra Governo e CEI
che prevede la possibilità di tornare a celebrare, dal prossimo 18 maggio, la
Santa Messa con il popolo.
È vero, aspettavamo e abbiamo fortemente desiderato questo momento. No, Gesù: il
Suo amore, la sua Presenza e la sua azione, non è mai venuto meno in questi
giorni; anzi, per certi versi, ne abbiamo fatto una esperienza ancora più
profonda. Ma avvertivamo una certa mutilazione che riguardava la totalità del
nostro essere persona, la realtà del nostro essere popolo di Dio.
Certo il tempo della pandemia non lo si può ritenere concluso, ma cominciamo ad
intravvedere uno sbocco, come una piccola luce in fondo ad un tunnel ancora da
percorrere tutto.
Così leggo e interpreto quel: A Messa, finalmente!
Ritengo anche che non dobbiamo metterci a correre per affrettare l’uscita dal
tunnel. La cui lunghezza non si misura in chilometri ma in responsabilità e
capacità di pazienza, piena di speranza e anche di impegno fattivo in ordine
alla solidarietà.
Per questo esorto tutti, e impegno prima di tutto me stesso, a essere docili e
convinti nell’osservare responsabilmente quelle che sono restrizioni e risultano
impedimenti ad una piena libertà di partecipazione e di azione, anche nel campo
della professione e nell’esercizio della nostra fede cristiana in tutte le sue
manifestazioni. In questo non vedo, in realtà, un impedimento alla mia libertà:
quella nessuno può togliermela, se non io solo. Emblematico, in tal senso, è
l’esempio di tanti testimoni della fede, quali san Massimiliano Maria Kolbe, il
pastore luterano Dietrich Bonhoeffer e il venerabile cardinale vietnamita Van
Thuân – solo per citare quelli storicamente a noi più vicini – che pur nella
restrizione assoluta di un campo di concentramento o della cella di un carcere,
hanno saputo mantenere viva non solo la dignità umana ma anche la libertà
personale di poter fare della propria vita un dono per Dio e per i fratelli.
A Messa, finalmente!
Non come semplice ritorno verso la normalità, però: sarebbe troppo poco,
vorrebbe dire negare il tempo e lo spazio che abbiamo attraversato in questi
mesi. Non è un blackout quello che abbiamo vissuto, ma un tempo di Grazia: i
teologi direbbero un kairós, un tempo e uno spazio propizi, abitati da Dio.
A Messa, finalmente!
Con una consapevolezza nuova: maturata attraverso un salto di qualità della
nostra relazione con Dio. Quella espressa nelle parole che Gesù, nel suo
discorso d’addio fatto durante l’ultima cena, ha rivolto agli apostoli e ai
discepoli di tutti i tempi, a noi che …torniamo a Messa, finalmente: “Non vi
chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15,15).
Gesù, nel suo gesto di autodonazione totale e gratuita, ci mette alla pari con
Lui, ci introduce in una relazione non di dipendenza e di sottomissione (servi),
ma ci fa suoi amici.
Questo accade nella Celebrazione della Messa, non per le nostre capacità e le
nostre virtù, ma come dono assoluto posto lì da Gesù. Proprio come nell’ultima
cena, quando lavò i piedi Pietro, che di lì a poco lo avrebbe rinnegato; e offrì
il “boccone intinto nel proprio piatto” a Giuda, che lo avrebbe tradito.
Nel suo totale donarsi per noi e a ciascuno di noi, Gesù ci fa suoi amici.
È questo, per noi suoi discepoli, il modo unico, possibile e vero di
relazionarci con Lui: essere suoi amici. Amici perché amati da Lui con lo stesso
amore con il quale il Padre lo ama; amici perché fatti partecipi della sua
relazione col Padre in ogni aspetto, senza riserve o restrizioni: “tutto quello
che il Padre mi ha dato ve l’ho fatto conoscere”.
A Messa, finalmente!
Ad attenderci, sulla soglia della chiesa, c’è il Padre a braccia aperte,
desideroso che ci consegniamo al suo abbraccio.
Egli ha per noi un futuro: il suo Figlio unico, Gesù Cristo, si è incarnato, è
stato crocifisso ed è risorto. Il Padre vuole che siamo associati a questo
mistero. È ciò che avviene in ogni Celebrazione Eucaristica. La casa nostra, il
posto che Gesù ha preparato per ciascuno (cf. Gv 14,2), è l’amore che il Padre
ha per il Figlio. Lì ci “colloca” la Celebrazione Eucaristica.
È proprio questa rinnovata condizione che ci abilita ad una possibilità di vita
tutta nuova: quella dei figli del Padre che sperimentano la potenza della
preghiera, - tutto quello che chiedete al Padre ve lo darà (cf. Gv 16,23) - e
quella di fratelli capaci di amarsi con lo stesso amore con il quale sono amati:
quello di Gesù per noi, che è lo stesso con il quale Gesù è amato dal Padre.
È dentro il contesto della cena coi suoi discepoli, infatti, che Gesù ci ha
donato il suo comandamento, quello dell’amore reciproco che ha nel Suo amore per
noi la misura. Come a dire che esso è la conseguenza e la verifica di quanto
ogni volta celebriamo.
Tutto questo, ed è qui la sorpresa, perché la sua gioia sia in noi e la nostra
gioia sia piena (cf. Gv 15,11).
Carissimi,
so bene - e lo sperimento anche nella mia vita - che questo salto di qualità a
cui vi invito nel partecipare alla Celebrazione Eucaristica, non è il frutto di
un ragionamento, o una possibilità legata alla nostra conoscenza del mistero, ma
la Verità stessa del gesto che viviamo. È dentro questa Verità che il Padre
vuole introdurci. Lo impediamo, però, se ci accontentiamo di “riduzioni” più o
meno consapevoli del senso del nostro andare a Messa.
Ricordo quanto scriveva Paolo VI in rapporto alla partecipazione consapevole
alla celebrazione eucaristica: “… comprende chi crede e chi ama. L’amore diventa
coefficiente di intelligenza, perché è finalmente possesso. Nella conquista
delle cose divine più serve l’amore che non ogni altra cosa spirituale.”
In uno scritto autobiografico, santa Teresina del Bambino Gesù racconta in terza
persona a proposito della sua partecipazione all’Eucaristia: “Quel giorno non
era più uno ‘sguardo’, ma una ‘fusione’, non erano più due, Teresa era scomparsa
come la goccia dell’acqua nell’oceano. Gesù restava solo, il padrone, il re”.
Questo non è un caso isolato, riservato ad anime straordinarie. Può essere e
diventare un’esperienza comune a tutti noi se viviamo la celebrazione della
Messa con quell’atteggiamento suggerito da Paolo VI.
Chiediamolo al Padre da figli, per ciascuno di noi e tutti noi insieme. Gesù ci
assicura che l’otterremo.
Bentornati a Messa, che bello ritrovarci!
+ Gianfranco, vescovo
13 maggio 2020, memoria della Madonna di Fatima.