14/4/2020 ● Cultura
Francesco Jovine 70 anni dopo
Jean-Pierre Pisetta, intellettuale belga, esalta il crogiolo di civiltà
remote del Palazzo Loreto Scopre “Sogno d’oro”, il racconto di Jovine, ora
tradotto da una rivista letteraria francese.
2017, tre anni fa. Il sole picchia a perpendicolo in un mezzogiorno di luglio.
La strada che taglia in due il paese, è un fiume d’oro. Dalla montagna i raggi
rimbalzano infuocati sui fianchi della foresta, fino a riempire le valli e il
ruscello, e a fermarsi, tremolanti, dentro la piscina, al “Belvedere” di
Carmela.
Da lì mi telefona la titolare del B&B” per conto di Jean-Pierre Pisetta,
cattedratico, traduttore e intellettuale belga – folgorato a Guardia da tanta
mistura di luce - appassionato di Francesco Jovine e del Molise.
Vuol vedere al Palazzo Loreto le “Orme del passato”, il leggiadro crogiolo di
civiltà remote e di misteri svelati intorno al cenozoico di 40 milioni d’anni
fa, testimoniati, lì dentro, dalle <pietre parlanti>. Ma anche dall’ “Estasi”,
suscitata nel nostro tempo, dal capolavoro litico di Pasquale Napoli, scultore
europeo. Jean vuol toccare religiosamente le “reliquie” dello scrittore
guardiese: i suoi certificati esistenziali, di nascita, di battesimo, di
matrimonio, di morte. Le pagelle!
Sotto le brune capriate del settecentesco Centro Studi, Jean-Pierre, sommerso
“no tiempo da Gnora Ava”, percepisce una sensazione di timidezza e curiosità.
Adocchia stupefatto un cimelio di Jovine, proprio di lui, <Maestro Elementare a
Guardialfiera>: il banco scricchiolante di scuola sul quale sedevano i suoi
scolari fra cui la mia mamma, nel 1923 e ’24. E la sua “Olivetti Studio-42”. Più
in là, all’interno d’una teca, scopre la <grafia> del romanziere, il vergare a
mano, tuttora nitido, impresso su 15 fogli ormai ingialliti, quand’era esule al
Cairo. Pagine rare che rigano fatiche, creatività, attività e rassegnazione
degli Italiani allora in Egitto. Vede anche il grosso cannocchiale di papà
Angelo, perito agrimensore, con il quale scrutava la lontananza dei campi da
mensurare. Legge la corrispondenza intercorsa fra lo scrittore e Nicola
Perrazzelli e con don Giulio Di Rocco – sacerdote - suo figlioccio di battesimo
e, a sua volta, educatore e letterato.
Ammira compiaciuto i “CD” di “Signora Ava” e “Terre del Sacramento”: splendidi
sceneggiati televisivi diffusi da mamma Rai negli ultimi tre decenni del secolo
scorso. E – negli scaffali – intravede la rassegna delle Tesi di Lauree e i
Saggi Critici sulla figura e l’opera di Jovine e… poi la sfilata dei suoi
romanzi e dei suoi racconti, tradotti anche in molte lingue, di quel nostalgico
piccolo mondo antico.
Ed egli s’arresta qui. Sfoglia i testi, li scartabella in fretta, estasiata e
perplesso per l’imbarazzante e difficile scelta da compiere
sull’istante.“Eccola!”, esclama Pierre risoluto.“Devo affidare il compito di
tradurre in francese questa storiella, a Coralie Gourdange e Piotr Verrezen
della libera Università di Bruxelles. Mi attira”: <Sogni d’oro di Michele>, la
sesta novella inserita nella raccolta “Ladri di Galline”, pubblicata da
“Tumminelli”nel 1940. “La sua trama è patetica. E’ pedagogica, inquietante.
Agiterà i miei giovani allievi”. Il prof Pisetta scova in essa un intreccio
raffinato; un affresco di personaggi sospesi fra realtà e invenzione. Poche
pagine, ma belle che, secondo lui - per rigore critico - vanno stampate anche in
lingua gallica e divulgate subito in Francia. E’un intrigo con effetti di
bellezza narrativa, gradita a quei lettori d’oltralpe. Soprattutto perché il
racconto, incredibilmente, è ambientato fra le pietre all’interno delle nostre
Cave di Vallecupa a Guardialfiera, dove Michele, deriso e asservito – con altri
affaticati e oppressi - mordicchia pane e cacio, sotto il grugnito profondo di
Middio, nel simbolo eterno d’una umanità ingenua offesa e uccisa.
L’intreccio è intessuto tutto in quel drappo di spelonche, sopra il brusio del
Biferno, fra le rocce e le venature sanguigne di pietra noce. Pietre
industriali, artigianali, artistiche, la cui estrazione e lavorazione, per
lunghi secoli - massacranti e fecondi - hanno segnato l’orgoglio e la“fons
vitae” per il nostro popolo d’allora, per quei nostri spaccapietre, mulattieri,
scalpellini, scultori.
Cave gloriose! Adesso impietosamente in abbandono che, a stento, sopravvivono lì
per la caparbietà di Emilio Prezioso, e qui, per la presenza di “Pietre
Parlanti” al Palazzo Loreto.
Ne discendo, alfine, dopo momenti di beatitudine, vissuti assieme a Jean-Pierre
a cui chiedo – concedandoci - il suo recapito telefonico, utile, se non altro, a
coltivare l’amicizia e seguire l’evoluzione del suo progetto. Egli stesso me lo
annota sulla mia agenda.
Sennonché, ad ogni mio squillo. la centralinista – dall’altro capo – ripete
inalterabile: “il numero selezionato è inesistente!” Né ormai contavo più sul
compimento dell’impresa. Nei giorni scorsi, invece, Giovanni Mascia (studioso di
storia, letteratura, tradizioni, dialetto) mi trasmette un suo articolo,
minuzioso, intenso, con questo titolo: “Dalla Francia, un atto di amore per
Francesco Jovine”.
Si tratta della pubblicazione, a sorpresa, da parte di una prestigiosa rivista
letteraria, di “Sogni d’oro di Michele” (Les beaux reves de Michele). Il
sospirato taccuino creativo di Jovine, rivisto dai transalpini e ritornato in
qua, come “dal cielo in terra a miracol mostrare”. Proprio questo tempo di
totale solitudine, a contribuire al rimpiazzo delle cerimonie ufficiali del 30
aprile, per il 70° della morte di Francesco Jovine. Celebrazioni pubbliche
impedite dall’ombra nera del <Coronavirus>.