26/2/2019 ● Agricoltura
Cambiare davvero tutto o cambiare affinché nulla cambi?
L’Agricoltura italiana ha perso solo negli ultimi tre anni più di 320.000
aziende (ora scese a 1.145.000). Per quella molisana, ci si riferisce al 6°
Censimento ISTAT del 2016, riferita agli anni 2010 – 2013, dove si ha una
diminuizione del 17,10 % delle aziende agricole, passate da 27.427 a 21.780; la
percentuale più alta del Meridione. I numeri attuali, visti i vari avvenimenti,
sarebbero ancora peggiori.
La drammatica vicenda dei pastori sardi riguardante il bassissimo costo del loro
latte prodotto è la valenza simbolica che racchiude la situazione economica
davvero grave ed esasperata dell’Agricoltura italiana e molisana in particolare;
non sono i generici lamenti di alcuni che attraversano abitudinariamente il
mondo agricolo.
Questo vale per il settore della cerealicoltura, della frutticoltura,
dell’olivicoltura, dell’allevamento, dell’orticoltura dove, si evince che non
conviene manco raccogliere i pomodori, le arance o seminare lo stesso grano
duro.
Sono migliaia e migliaia le famiglie contadine che rischiano di non avere più
mezzi di sostentamento, che messa da parte la loro ritrosia, la loro stessa
dignità, hanno varcato le soglie delle Caritas regionali. I loro terreni, le
loro stesse abitazioni, i loro beni, sacrifici di una vita, sono venduti
all’asta per quattro soldi. E il Molise non è immune. Tante sono le persone che
si sono suicidate nel silenzio più assoluto, al Nord come al Sud Italia. Basta
con le false aspettative!!!
Sono consapevoli, chi di dovere, regionali o nazionali, di questa drammaticità
che vive il mondo rurale?
Se non ci saranno risposte serie ed adeguate soprattutto per i prodotti
importati e al medesimo tempo di tutela dei prodotti del vero Made in Italy, le
crisi agricole future saranno sempre più drammatiche e numerose.
E’ arrivato il tempo, è il caso di dirlo una volta per tutte, di metterci
seriamente mano.
Non è concepibile che arrivino, sempre più, merci di dubbia provenienza e
tracciabilità, di incerta salubrità con imbrogli vari e, peggio, di sfruttamento
in quei Paesi di provenienza.
Intanto l’agroindustria va a nozze grazie alla propria forza contrattuale
concedendo i rischi ai cafoni, “i tanti disuniti e spremuti”; i guadagni a loro,
“i pochi uniti”.
Bisogna che il mercato venga regolarizzato non dalle “lobby”, siano esse delle
multinazionali o dell’agribusiness, ma da un concetto ben preciso: fare in modo
che i prezzi dei prodotti agricoli siano fissati con prezzi minimi riferiti ai
costi di produzione garanti della qualità e non come da tempo sta succedendo con
la concorrenza sleale estera di prodotti trattati con agrofarmaci di “scienza
inquinata” o, peggio dai mancati o blandi controlli.
Occorre una vera e propria risposta strutturale collettiva; lavorare sottocosto
non è più concepibile.
Si ripete: si può e si deve fare qualcosa, altrimenti, visti i deludenti
risultati, è la fine.
Si resta basiti quando si sente parlare o scrivere, da anni, spesso in modo
inconcludente, di danni alle produzioni agricole compiuti dai cinghiali, o di
furti nelle aziende agricole, o di burocrazia farraginosa. Perché si omette
(volutamente?) la più grave ed importante questione della stessa tenuta in vita
del settore e cioè : la mancata redditualità? Si ripete volutamente perché
quando “alcuni”, per prima, mettendoci la faccia, iniziano a parlare della
guerra del grano “irrorato” col glifosato, dei consorzi di bonifica, dei
“contratti capestro” di filiera, “gli altri”, ignorano, fanno finta di nulla per
poi, aspettando il momento a loro favorevole del vento che tira, “salgono” sul
cavallo di turno facendo credere, sbagliando ancora, di essere pure precursori?
E' ora che si faccia chiarezza e ci sia concretamente la volontà di tutelare,
tutti insieme, il bene terra ed i suoi lavoranti, al di là delle bandiere o
partiti politici.
Una domanda in conclusione.
A monte di tutta questa dottrina neoliberalista, controproducente visti i
risultati, andando avanti di questo passo, se diventa normale il lavorare ed
essere sottopagati o produrre senza reddito alcuno, dove si andrà a finire?
All’addomesticamento della fame come i domatori di leoni fanno per rendere
docili le fiere: affamarli fino alla sottomissione?
Giorgio Scarlato - Comitato spontaneo agricolo “Uniti per non morire”