4/1/2019 ● Cultura
Giuseppe D'Agata, "il figlio del tipografo" e la sua Guglionesi d'autore
Vinse il suo primo premio letterario alla metà degli anni Cinquanta dello
scorso secolo, con il racconto Il tesoro di S. Adamo, il "Premio Pozzale".
Quel racconto dedicato alla sua Guglionesi fu pubblicato tra le pagine del libro
I giorni della speranza (Cappelli, 1978), dove altri racconti furono
ambientati a Guglionesi.
Giuseppe D'Agata, nato a Bologna nel 1927 da genitori guglionesani
(Nicola e Angiolina Rezza), è stato scrittore e sceneggiatore, cinematografico e
televisivo (per la RAI, azienda della quale divenne dirigente); alcune sue opere
sono state tradotte in film e in sceneggiati televisivi di enorme successo, come
Il medico della mutua (con Alberto Sordi), Il segno del comando e
L'esercito di Scipione (cfr.
http://www.giuseppedagata.it). Copiosa la bibliografia e la
filmografia per un autentico talento dallo spessore culturale autorevole.
In un'intervista rilasciata a Gabriella Iacobucci nel 2000, per la rivista Il
Ponte, Giuseppe D'Agata testimoniò la sua Guglionesi.
I primi giorni del mese di gennaio del 1927 i suoi genitori si trasferirono a
Bologna per lavoro, e solo pochi giorni dopo, l'11 gennaio nacque Giuseppe.
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[di Gabriella Iacobucci] - Tra coloro che giorni fa hanno rivisto su La 7 il
film Il medico della mutua, con Alberto Sordi, una fortunata commedia
all'italiana della fine degli anni ‘60, molti forse non sanno che l'autore del
romanzo dal quale il film fu tratto era Giuseppe D'Agata, un noto scrittore di
origine molisana. Mi è tornata in mente l'intervista che gli feci anni fa
durante una delle sue rare visite in Molise e nel frattempo ho scoperto, con
grande dispiacere, che è scomparso nel 2011. Ragione di più per ricordarlo e
farvelo conoscere attraverso quanto lui stesso mi raccontò in quell' intervista
(Il Ponte, 2000).
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IL FIGLIO DEL TIPOGRAFO
di Gabriella Iacobucci (Il Ponte, 2000)
Chi non conosce il film Il medico della mutua, con Alberto Sordi? Una
satira di costume che ha segnato un periodo del nostro cinema. Ma pochi sanno,
forse che l’autore del romanzo da cui fu tratto il fortunato soggetto del fil è
uno scrittore di origine molisana, Giuseppe D’Agata. Il padre Nicola, infatti
era un tipografo di Guglionesi che lavorava nella Tipografia Carunchio, allora
in un locale a pianterreno del Palazzo Ducale di Guglionesi, la madre si
chiamava Angiolina Rezza.
Giuseppe D’Agata, che vive a Bologna ̶ è anche presidente dell’Associazione
Scrittori di Bologna ̶ dopo Il medico della mutua,
Feltrinelli 1964, ha scritto molti altri romanzi di successo pubblicati ancora
da Feltrinelli, da Cappelli, Bompiani…
Tra gli ultimi Il segno del comando, edito da Rusconi nel 1987, e Il
ritorno dei Templari, edito dalla Newton Compton nel 1997.
Alla fine del settembre scorso è stato invitato a Termoli dal Lion Club
Tifernus, che ha organizzato una proiezione del film Il medico della
mutua e consegnato allo Scrittore un premio.
E’ stata l’occasione per fargli alcune domande.
D. I suoi genitori sono di Guglionesi, ma lei è nato a Bologna. Come mai?
R. Per caso, forse. Mio padre viveva a Guglionesi e si era sposato da poco. Era
un tipografo, un bravo compositore, pare, tanto che ebbe la richiesta di andare
a lavorare a Bologna, presso un grande stabilimento tipografico dove si
stampavano giornali e libri. Lui accettò e si trasferì. Era gennaio. Pochi
giorni dopo ̶ i miei abitavano in una camera ammobiliata nel cuore
di Bologna ̶ sono nato io. Ho sempre sospettato che mio padre, un
molisano irrequieto, avesse tutto calcolato per farmi nascere a Bologna: insomma
per darmi un vantaggio nella vita. E poi, non so, lui compositore di libri e io
scrittore, autore di libri… C’era una sorta di legame che andava oltre la
parentela tra padre e figlio. Ma non voglio parlare di predestinazione. E’ vero
però che da ragazzino andavo a trovarlo e mi incantavo a vederlo lavorare. Tanto
che imparai a leggere sul piombo le righe con i caratteri rovesciati che li
componeva e lasciava sul bancone pronte per essere stampate.
D. Che ricordi ha di Guglionesi?
R. A Guglionesi ho soggiornato per periodi più o meno lunghi, sempre d’estate,
fra gli anni quaranta e cinquanta. I ricordi ancora vivi sono i saluti e gli
abbracci con i parenti e gli amici che emigravano, andavano in Canada e negli
Stati Uniti. Avevo la sensazione che fossero delle partenze senza ritorno, anche
se il distacco era mitigato dalla convinzione ̶ soprattutto da parte di chi se
ne andava ̶ che oltreoceano li attendesse una vita migliore. E ricordo il paese
arcaico immerso nella campagna, con le processioni per il santo patrono e
l’acqua che dovevamo risparmiare perché arrivava da fuori: arrivava nelle
botticelle caricate sui muli. E il rispetto e la curiosità che mi circondavano.
Io ero un ragazzo di città, un caso raro perché capivo il dialetto ma non lo
sapevo parlare.
D. Adesso ci torna, qualche volta? Come trova, ora, Guglionesi?
R. Torno a Guglionesi ogni volta che posso, poco per quanto vorrei. Per fortuna
sono ospite di un amico sensibile e colto. Nella sua bella e grande casa trovo
la quiete e il tempo rallentato di quando la vita, la mia e quella dei luoghi
che mi sono cari, aveva il sentore dell’eternità. Il paese si è ingrandito, anzi
si è allargato, e al di là del centro storico ha assunto l’aspetto di una
cittadina. La periferia non la conosco, perciò, passando in macchina per le
nuove strade, mi viene da pensare che potrei anche perdermi come se fossi un
forestiero. In realtà sono diventato forestiero. Rimango sempre colpito
dall’evoluzione dei costumi e degli stili di vita, evidente soprattutto nei
giovani. I ragazzi non sono tanto diversi da quelli di Bologna o di Roma.
D. lei si sente un po’ molisano? E, se sì, in che cosa?
R. Mi sono sempre sentito un po’ molisano e non solo perché i miei genitori in
casa parlavano sempre il dialetto. Del molisano, per lo meno del modello che mi
sono fatto con gli amici, credo di avere alcuni aspetti del carattere: per
esempio orgoglio e riserbo. Da ragazzo ero timido e avevo un certo pudore dei
sentimenti.
D. Cosa la spinse a scrivere il romanzo “Il medico della mutua?”
R. In effetti quel romanzo l’ho scritto sotto la spinta di un sentimento forte:
l’indignazione e di una disillusione amara. Avevo studiato medicina con molta
convinzione e applicazione e dopo la laurea mi ero trovato di fronte a una
realtà che nemmeno lontanamente immaginavo. Parlo della cosiddetta medicina
mutualistica, ovvero dell’esercizio della professione secondo un’ottica del
tutto distorta e sballata. La materia prima per le mie tristi riflessioni la
trovai quando un’estate accettai di sostituire dei colleghi che erano andati in
ferie. Scrivevo già: tre anni prima avevo pubblicato un romanzo, L’esercito di
Scipione, la mia opera prima, dunque conoscevo le tecniche della narrazione.
Dopo quell’esperienza “mutualistica” dal vivo, nel settembre del ’63 mi misi a
scrivere Il medico della mutua. E lo scrissi in quaranta giorni, con poche
cancellature, come se qualcuno me lo dettasse. Forse era Ippocrate, il dio della
medicina, che si vendicava attraverso me.
D. Nel film si vedevano medici che andavano a caccia di mutuati, che
visitavano i pazienti per telefono… Era vero?
R. Purtroppo. E gli episodi e gli aneddoti satirici che conoscevo o mi erano
capitati erano più numerosi. Ma non volevo fare un’antologia. Volevo soltanto
denunciare una realtà per me inaccettabile.
D. Pensa che quel film sia ancora attuale?
R. Partiamo dal romanzo, di cui il film ricalca la sostanza privilegiando la
comicità rispetto alla satira. Nella maggior parte i medici sono, per fortuna,
dei professionisti onesti e capaci e io non ho voluto né generalizzare né
sferrare un attacco indiscriminato contro la categoria. Credo che il film, come
il libro, sia ancora attuale soprattutto nella descrizione dell’arrivismo, una
piaga caratteristica del nostro tempo. L’etica perversa del successo, ottenuto
ad ogni costo e valutato col metro del denaro è più che mai l’indice di uno
squilibrio sociale grave, di un problema che non può certo essere sanato dalla
letteratura o dal cinema.
D. Conosce scrittori molisani?
R. Senza dimenticare Jovine, che è un narratore importante della prima metà del
‘900, anni fa ho conosciuto di persona Giose Rimanelli, lo scrittore di
Casacalenda che da anni risiede a New York. Il suo Tiro al piccione è senza
dubbio un ottimo romanzo. Di recente ho potuto apprezzare delle poesie e delle
prose di Antonio D’Alfonso, uno scrittore ed editore che vive a Toronto ed è
originario proprio di Guglionesi. Ma non sono abbastanza informato, specie p3er
quanto riguarda la poesia.
D. Cosa pensa del Molise oggi, e quale futuro vede per questa regione?
R. Da molto tempo ho notato l’assenza del Molise dalle cronache nazionali, e in
particolare mi fa piacere che machi dalla cronache della violenza e del crimine.
Eppure il Molise confina con due regioni, la Puglia e la Campania, dalle quali
la cronaca nera attinge parecchio. Se la criminalità. in tutte le sue
manifestazioni, da quella comune a quella politico-amministrativa, attecchisce
poco o per niente, vuol dire che la regione, nel suo complesso, è
fondamentalmente sana. Vuol dire che vi sono una mitezza di fondo e un rispetto
della convivenza che provengono da una civiltà antica e consolidata. Se così
stanno le cose, è possibile prevedere uno sviluppo quieto ed equilibrato. Il
Molise non sarà mai una regione alla moda, un territorio di speculazioni
selvagge e repentini arricchimenti. Non ne ha la vocazione. Ed è meglio così.
Personalmente ci vivrei. Non lo faccio perché oramai la mia vita è condizionata
da una serie di rapporti, di lavoro e familiari, di consuetudini e di abitudini
che non mi consentono più dei cambiamenti radicali.
D. Se oggi dovesse scrivere un romanzo ispirandosi al mondo della sanità
italiana, che titolo gli darebbe?
R. Non sento la necessità di scrivere un altro romanzo sul mondo della sanità.
Più volte me lo hanno chiesto e mi sono sempre rifiutato di farlo. Sarebbe una
smaccata speculazione, estranea all’idea che io ho della letteratura, un’idea di
libertà e di purezza. La medicina mi ha tradito e io mi sono rifugiato nella
letteratura. Perché mai dovrei tradire proprio la letteratura?
Gabriella Iacobucci © Tutti i diritti riservati | Pubblicato
da Molise d'Autore, 10 maggio 2017
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