5/11/2018 ● Cultura
Socialmente accettabile
Certo, è una locuzione un po’ astrusa, in cui è raro imbattersi. Del relativo
concetto potremmo invece rilevare l’onnipresenza. Se ne fa un respiro quotidiano
e, come la respirazione, è un automatismo. Insomma, il riferimento è a cose che
la nostra mente dà per scontate, sovrastrutture mentali. Tale è tuttavia la
varietà di circostanze, fatti e comportamenti riconducibili alla categoria che
fornirne una definizione univoca è faccenda complicata. Chiara e cristallina è
tuttavia la seguente constatazione logica: definire come tale un qualcosa nel
presente sottintende la pregressa non accettabilità. A questo processo di
“sdoganamento” sovente corrisponde un comportamento schizofrenico dell’attuale
società. In ogni caso sorgono spontanee alcune domande: innanzitutto, quale
ameno meccanismo consente all’intera società di cambiare opinione, spesso in
maniera repentina, circa comportamenti in precedenza ritenuti inaccettabili o
quantomeno inappropriati poiché contrari all’etica o alla ragione? È un processo
spontaneo o indotto? È un fenomeno tutto contemporaneo o già conosciuto dai
nostri avi?
Ho appena fatto cenno alla mancata consapevolezza che caratterizza un concetto
che dovrebbe al contrario esserci familiare. E in questo caso “familiare”
risulta doppiamente pertinente. Da adolescenti indirizziamo i nostri “perché”
proprio verso bersagli familiari … genitori fratelli zii, gli adulti insomma …
occorrendo individuare quei binari da seguire quando verrà l’ora di “uscire di
casa”, alla scoperta del mondo, facendone esperienza diretta. A volte però gli
interrogativi restano inevasi. Sono proprio i casi sopra evidenziati, in cui gli
adulti esercitano un’adesione passiva. Accade così che sia l’elementare logica
del fanciullo a farli inciampare nel fino ad allora impraticato terreno della
consapevolezza. Richiamati alla loro funzione pedagogica, dalla quale non
possono evadere, ergono un muro di gomma che assume i contorni di quell’arcana
risposta diventata un luogo comune: “quando sarai grande capirai”. A ben vedere
è una non risposta, la versione paracula della più onesta: “quando sarai grande
imparerai che non c’è niente da capire”.
Eh, ‘sti adulti! Tocca citare nuovamente un personaggio oggetto di una recente
riflessione: ne “Il giovane Holden” l’omonimo protagonista etichetta il mondo
adulto facendo frequente ricorso alla locuzione “phony people”, espressione
approssimativamente traducibile come “gente ipocrita”. Le sovrastrutture mentali
degli adulti sono, agli occhi di un adolescente, insegnamenti su cui riporre
fede incondizionata, non rispondenti ad un perché e spesso in contraddizione con
altri insegnamenti. Certo non tutti gli adulti sono così … solo la stragrande
maggioranza. Posti di fronte al socialmente accettabile, i dotati di pensiero
debole prendono la scorciatoia: anche se in possesso di un intimo convincimento
difforme, non lo esternano. D’altronde perché contrastare il pensiero dominante?
Che, appunto, diventa dominante proprio per l’arrendevolezza che i portatori di
pensiero debole mostrano di fronte alle verità calate dall’alto. E, si badi
bene, la debolezza consegue alla pigrizia mentale e non ad innata stupidità …
“stupido è chi stupido fa”.
Per una più immediata comprensione procedo ad un esempio, che scelgo per
pertinenza ed attualità. Le istruzioni pedagogiche familiari che un ragazzo
riceve oggi circa il tema dell’omosessualità contrastano decisamente con quanto
appreso nell’ora di religione o dall’analisi del classico per eccellenza:
l’”Inferno” dantesco. In pochi anni si è passati dall’ostracismo ai Gaypride.
Due millenni di cattolicesimo hanno sentenziato senza appello: l’omosessualità è
contro natura. È fatto noto a tutti però che nella Grecia classica la formazione
degli adolescenti fosse affidata a singolari pedagoghi: oggi solo pochi li
definirebbero pederasti, e quasi tutti certamente pedofili. Vabbè, di certo la
pedagogia scolastica fornirà chiari punti di riferimento ai nostri ragazzi!
Macchè, solo input contrastanti: da un lato il prof di filosofia potrà accennare
alla normale bisessualità dei tempi classici, dall’altro quello di religione
alla condanna morale di costumi sessuali che minano anche la stabilità
dell’istituzione familiare, mentre la letteratura italiana, alla lettera “d”,
offre un saggio di schizofrenia morale nel passaggio da Dante a D’Annunzio. Ma
allora è un tabù o no? Tornati a casa i ragazzi passano la patata bollente
magari al genitore di turno. Questi sa, in cuor suo, di dovergli impartire quel
che l’odierna morale indotta predica: le preferenze sessuali non vanno
giudicate, l’importante è amarsi. La forza di persuasione insita nel socialmente
accettabile è tale che si indottrina un bambino su nozioni di omosessualità
quand’ancora gli è difficile comprendere il concetto di eterosessualità, se non
nei termini metaforici utilizzati nel luogo comune dell’ape, del fiore e
dell’impollinazione … metafora dagli esiti paradossali se si intendesse
utilizzarla per spiegare l’omosessualità: il fiore sparirebbe, costringendo
l’ape ad impollinare una sua simile. Mantra a parte, comunque lo sdoganamento è
giunto solo di recente e in maniera così repentina che un qualunque maschio,
posto di fronte alla eventualità che il proprio figlio pratichi opposti lidi,
ripeterebbe il tormentone di un celebre personaggio di Melville, Bartleby lo
scrivano, “preferirei di no”. Ipocrita, appunto.
La questione non è essere o meno a favore del cambiamento (a cui sono spesso
favorevole, come nel caso della libertà sessuale), ma è la tempistica con cui si
attua ad essere pregiudizievole. Le conquiste culturali non indotte abbisognano
di tempo, dovendo la società metabolizzare il mutamento in atto, progredendo
così in maniera consapevole. Dunque è la rapidità con cui avviene il processo a
suonare come nota stonata, a dar luogo a sospetti circa il possibile utilizzo di
strumenti di persuasione poco leciti. E infatti occorre in via generale
distinguere tra la persuasione “gentile”, una sorta di seduzione intellettuale,
e quella “occulta”. Nel primo caso l’intenzione è manifesta e si utilizzano
strumenti di tale finezza, come l’oratoria, che qualcuno un tempo definiva
un’arte. Se gli antichi erano avvezzi alla prima, noi moderni siamo bersagli
dell’altra. Verso tale strumento, in virtù di un precoce utilizzo, la Chiesa –
mi spiace tirarla in ballo per fatti non sempre nobili – ha mostrato la consueta
perizia. D’altronde ha sviluppato talento in un ambito che coincide da sempre
col suo scopo sociale: fare proselitismo o, per meglio dire, evangelizzazione.
La religione ha vissuto la concorrenza ben prima del capitalismo, quindi una
certa efficacia nell’attrarre consenso è dote imprescindibile per chi persegue
il fine di diventare la religione con più fedeli al mondo. E così nel Seicento,
con l’istituzione del dicastero pontificio “de propaganda fide”, manifesta
l’obiettivo da perseguire utilizzando un termine che parla da sé: la fede deve
essere diffusa! E per conseguire tale imprescindibile scopo tutto è lecito: far
leva sul senso di colpa, agitare lo spettro della paura … risultato: 1,5
miliardi di cattolici su 2 miliardi di cristiani. E se appunto ai cattolici non
si può comunque biasimare l’uso di strumenti non edificanti in vista di un bene
superiore, la deriva di certa politica ed economia va invece condannata: ce lo
dice l’Europa, anzi gli investitori o forse lo spread! Abituati, come gli
stupidi computer, a ragionare in termini dualistici, per catturare il nostro
consenso non occorre per forza magnificare le virtù della parte da scegliere,
basta tratteggiare la controparte come nemico da contrastare. E se il nemico in
realtà non esiste, tocca inventarlo. Nella Bibbia non si parla del Diavolo e
dell’Inferno, ma nessun prete si esime dal citarli. Il comunismo reale è stato
sconfitto? Il terrorismo islamico è oggi il nemico dell’Occidente.
Vabbè, sono uscito per poco dal seminato unicamente per evidenziare che il
meccanismo sovrastante il socialmente accettabile è lo stesso. E per
individuarlo basta far caso, negli esempi concreti, all’uso ricorrente di alcune
tecniche di persuasione. Prima di parlarne, infilo d’acchito una considerazione
un po’ indigesta: nonostante siamo sapiens non una ma due volte, perché ci
facciamo infinocchiare così facilmente e, soprattutto, in massa? Una possibile
risposta l’ho appresa da un gruppo di etologi, che hanno individuato nella
specie umana tanti punti in comune con le specie animali addomesticate. Che
siamo animali è pacifico, e il fatto che abbiamo le stesse caratteristiche degli
animali domestici non significa che siamo mansueti (ché non lo siamo affatto) ma
che abbiamo in comune una figura: l’ammaestratore. Tranquilli, se anche così
fosse questa era solo la notizia cattiva che precede la buona: pare che nessuna
specie animale addomesticata si sia mai estinta. E questa, personalmente, la
ritengo più sorprendente della prima: se avessi dovuto scommettere, avrei
puntato sull’estinzione della razza umana.
Facezie a parte, vado al dunque. Come sempre, dopo che la mia mente punta il
faro su una questione che vale la pena approfondire, mi accingo appunto a
scavare. Ovviamente utilizzo Google, la pala digitale. L’attività di scavo viene
premiata dopo pochi secondi, col ritrovamento di un reperto recente: la
“Finestra di Overton”. Negli anni ‘90 tale Overton illustrò dettagliatamente il
meccanismo di ingegneria sociale con cui è possibile indurre la società a
ritenere accettabile un’idea in precedenza non giudicata tale. Il processo
consta di varie fasi, grazie alle quali siamo progressivamente ammaestrati a
ritenere accettabile qualsiasi precedente tabù, consentendone l’emigrazione
nella patria del consentito, al grido di “si può fare”. Overton stesso sceglie
un esempio nell’ambito dell’alimentazione umana, un tema molto attuale visti i
vari “credo” oggi in voga (vegetariani, vegani, fruttariani, respirariani …
esponenti del moderno fenomeno delle “ideologie deboli”, tema che merita un
capitolo a parte), postulando che nel giro di pochi anni potrebbero convincerci
della legittimità della pratica del cannibalismo. Come? Seguendo un preciso
schema. Si parte dal grado zero, ossia dall’assoluta negazione del
comportamento, che va a toccare qualcosa di sacro e inviolabile, per passare al
grado 1, in cui qualche studioso inizia ad avanzare alcune riserve: da tabù
diventa dunque “vietato ma con riserve”. Nel grado 2 un numero progressivamente
maggiore di studiosi del fenomeno asseriscono che non si può proibire una tale
pratica a priori … e, in fondo, chi siamo noi per giudicare in maniera negativa
chi ha questi gusti? E poi l’uomo, agli albori della civiltà, non praticava
forse il cannibalismo? Da questa fase, di generica accettabilità, si passa alla
terza: è ragionevole/razionale comportarsi così! Del resto ognuno è libero di
essere ciò che vuole e di comportarsi di conseguenza. Da questa fase in poi è
tutta discesa: il comportamento diventa socialmente accettabile in virtù di
favorevoli input provenienti da ogni direzione. Grazie dunque a film, programmi
di informazione, dibattiti televisivi, canzoni, si passa alla fase successiva:
dalla conquista dell’opinione pubblica al consenso politico il passo è breve.
Ultima fase: legalizzazione. Sembra assurdo? Eppure se ai nazisti è venuta
l’idea di trattare gli ebrei come rifiuti a cui tatuare un codice a barre per
facilitarne registrazione e trasporto, per poi farne saponette, pensate non
avrebbero potuto con legge autorizzarne la macellazione per l’alimentazione
umana? Probabilmente è stata solo mancanza di fantasia. E pensate che allora
c’era un solo uomo che arringava la folla. Ma gli è bastato dipingere gli ebrei
come nemici e sfruttare l’eugenetica (nata in Inghilterra) per fornire un
supporto pseudoscientifico al fatto che si potesse ritenerli non appartenenti a
pieno titolo al genere umano.
Su quel balcone oggi non un uomo, ma una pluralità di soggetti ci arringa su
cosa sia giusto o sbagliato. E l’inevitabile piccola frangia di oppositori? I
pochi che hanno l’intelligenza per capire e il coraggio per dare voce ad
un’opinione minoritaria sono destinatari di forme moderne di ostracismo. Anche
su questo versante si registra un’evoluzione: niente metodi tradizionali, ovvero
confino, lager, carcere ecc. Sei contrario all’antropofagia? Sarai additato da
tutti come “antropofobo”. Sei contrario a qualcuno dei diritti riconosciuti di
recente agli omosessuali … tipo sposarsi ed avere figli? Sei contro il
progresso, dunque reazionario e “omofobo”. Sei tu che non hai le rotelle al
posto giusto!
Come sempre ho percorso una mezza maratona per traguardare il seguente tema
ricorrente. Poiché sono un fautore – e ci mancherebbe – della libertà di
pensiero e di espressione, sui singoli temi presi ad esempio non esprimo alcuna
opinione personale. L’interpretazione della realtà, dunque l’esistenza stessa di
ciascun individuo all’interno di una società, deriva dagli schemi culturali che
una collettività ha in dotazione. Se questi schemi non si formano genuinamente,
ma seguendo fattori di influenza preventivamente pianificati, diventano gabbie
mentali. Sebbene viviamo nella forma più evoluta di democrazia, ovvero quella
pluralista, in cui sono sacre ed inviolabili le minoranze e le opinioni
minoritarie, l’impronta maggioritaria delle stesse non consente all’individuo di
emanciparsi dalla “dittatura del consenso”. E così un pensiero debole – tale
perché contrario all’etica o alla logica – attecchisce, grazie ai fattori
esponenziali evidenziati da Overton, in una maggioranza di portatori di pensiero
debole, finendo per diventare il pensiero dominante, reso forte dai numeri … un
“ismo”. Diventato un ismo, anche la più debole delle verità proposte diventa un
dogma. L’esempio più eclatante è il darwinismo, un movimento di pensiero
addirittura introdotto nell’insegnamento scolastico con la patente di
scientificità. E oggi gli ismi proliferano, diventando vere e proprie ideologie,
deboli ma pur sempre tali. Quando assisto ad iniziative in cui giovani
animalisti tendono agguati ad attempati cacciatori della domenica al grido di
“assassini”, oppure vegani accusare i carnivori di necrofagia, mi torna in mente
il “paradosso della tolleranza” formulato da Popper: per quanto “aperta”, una
società dovrebbe ripagare gli intolleranti con la stessa moneta. Ma questo è un
capitolo a sé.
Come sempre mi accade, il tema affrontato mi porterebbe a dilungarmi oltremodo,
dunque mi fermo. Non prima di un’ultima precisazione. Quando si punta il dito
verso l’alto, parlando di una superiore volontà, oggi si viene tacciati di
complottismo. È la generalizzazione di un fenomeno davvero esistente. In alcuni
casi però è solo l’uso strumentale a fini argomentativi utilizzato da chi
argomentazioni vere non ha. Per confutare una tesi si dovrebbe entrare nel
merito della questione e non screditare chi ne è sostenitore adducendo
considerazioni personali. In ogni caso, negli USA hanno denominato con
precisione quel terreno a cui ho appena fatto riferimento, e che non può essere
tacciato sbrigativamente come complottismo: “deep governement”. Al di là della
semplice traduzione letterale, la locuzione indica il complesso di cose che
stanno sotto quei fatti che la gente crede di sapere. Noi moderni parliamo di
libertà in termini di conquista fatta dai nostri avi, che sono giunti a
sacrificare la vita per garantirla alle generazioni future. Tra gli ideali, per
inciso, è il più importante, imprescindibile perché senza di essa ogni altro
ideale sarebbe utopia. Tuttavia è un concetto di rapporto, atteggiandosi come
“libertà da” nella dialettica intrattenuta col Potere. Dunque è sempre una
conquista. E il primo passo per definire una conquista è essere consapevoli dei
rispettivi confini di appartenenza. Dunque mi ripeto per l’ennesima volta: per
muoversi in questa zona della consapevolezza, su cui sono in pochi a puntare i
fari, dobbiamo far uso della nostra capacità critica, che è appunto ciò che ci
consente di scoprire i limiti che la società impone alla nostra libertà.
Abdicare da tale dovere significa rinunciare a svolgere il principale compito a
cui è chiamato un individuo all’interno della società: consegnare un mondo
migliore alle future generazioni.