2/8/2018 ● Agricoltura
Agricoltura molisana in crisi, cosa resterà dei campi?
Questa lunga e grave crisi, pare senza fine, che sta attraversando il settore
agricolo ha determinato per tanti coltivatori monoreddituali quell'assenza di
reazione e allo stesso tempo di rassegnazione che, unita sicuramente alla
mancanza di reddito ha influito negativamente sulla stessa vita civile.
Lo si nota, e questo da tempo, ancor di più, percorrendo le varie strade
provinciali e regionali del Basso Molise. Si scorgono centinaia e centinaia di
ettari di terra non più interessati da colture irrigue; quest'ultime che di anno
in anno diminuiscono ad essere prodotte e, sfortunatamente, si iniziano ad
intravedere campi lasciati addirittura in abbandono.
Questa terra che qualcuno continua ancora a coltivare per affezione e per
necessità, "questa terra" che da sola riusciva a far vivere in tranquillità le
famiglie contadine, a mandare all'universita' i figli del "cafone", ora non
riesce manco a far portare al proprietario una fetta di pane alla propria
famiglia. Sa dell'inverosimile ma è proprio così.
Non entrando minimamente negli irraggiungibili PSR, l' agricoltura basso
molisana sta perdendo sempre più colpi dovuti ai costi sproporzionati di
produzione in rapporto ai ricavi prodotti, spesso inesistenti per non dire quasi
sempre in perdita, dovuti alla concorrenza sleale dei prodotti agricoli
importati ( che ogni anno aumentano sempre di più ) ed ai prezzi delle derrate
prodotte fermi a 30 anni fa, a causa quindi delle gravi distorsioni di mercato
che nelle aziende agricole hanno prodotto solo deflazione. Il grano duro ed il
pomodoro da industria ne sono l' esempio.
Il solo pensare che un tempo si riusciva a vivere, a fare investimenti aziendali
mentre oggi si rasenta la fame, fa davvero rabbia.
Ormai si sta rafforzando l'idea, e molti "soloni teorici" del settore la stanno
divulgando che: <<Di solo agricoltura non si vive più e dovete farvene una
ragione. L' agricoltura che verrà dovrà essere concepita come secondo lavoro.>>
Si chiede: ma il primo quale dovrebbe essere?
In quelle terre che prima c'erano vigneti, oliveti, frutteti, ortaggi,
barbabietole da zucchero, mais, gli stessi pomodori da industria, ora, sempre
più, si coltivano colture povere quali il grano duro, le foraggere o, peggio,
restano incolte.
Come esempio prendiamo la coltivazione del pomodoro da industria. I suoi costi
di produzione sono diventati insostenibili (dai 7.000 ai 7.500 euri ad ettaro
quando va bene).Di contro, il prezzo di vendita è fermo a quello di oltre 30
anni addietro. Facile comprendere la sproporzionalita' e quindi la convenienza
(?) a produrre.
Non è minimamente concepibile che il pomodoro italiano costi il 20% in più
rispetto a quello prodotto in Spagna o addirittura competere con il triplo
concentrato prodotto in Cina o da altri Paesi "convenienti".
Con queste prospettive si è fuori mercato e rimane una cosa sola che molti hanno
già fatto: non produrlo più. Precedente molto amaro già conosciuto in regione
per la barbabietola da zucchero.
Di questo passo sarà la fine del pomodoro molisano e italiano ed il nostro Paese
sarà "conquistato" da prodotto estero a basso prezzo ( e forse di bassa qualità
)?
Il Centro Studi di una nota Organizzazione agricola nazionale, visto l'accordo
2018 sul pomodoro (circa 8 cent/kg al Nord e 8.7 cent/kg al Sud) lo critica in
quanto stima i costi di produzione sui 12 cent/kg.
Se il pomodoro viene venduto a 8 - 6 - 4 cent/kg, dov'è la convenienza a
produrlo?
E, peggio, allargando al fattore acqua irrigua dei consorzi di bonifica con i
relativi costi sperequati tra costi fissi e variabili, tra i vari lotti anomali
del comprensorio, le molte perdite lungo le condotte o addirittura dalle stesse
vasche di raccolta ed unito al costo di energia elettrica, diventa addirittura
proibitivo il suo uso.
Quindi, quali i benefici reali al consorziato obbligato? Nessuno. Anche su
questa annosa vicenda la Regione, come ha fatto per decenni, non può restare
impassibile
Ritornando alla questione dei prezzi infimi delle derrate, ha preso piede il
concetto di filiera ( "strozzatrice" ?) del cosiddetto " contract farming " (
contratti agricoli ) che dietro la difesa della biodiversita' e qualità dei
prodotti impone agli agricoltori dei modelli di produzione insostenibili con un
potere contrattuale messo sempre più in discussione a favore di una
valorizzazione dell' industria agroalimentare in cerca di materia prima
indifferenziata ed a basso costo.
Alcuni mesi addietro incontrai un agricoltore pugliese che mi disse:《 Ascoltami,
sono una persona che amo profondamente il lavoro che ho sempre fatto. Non sono
un fallito; e se sto per gettare la spugna è solo perché non sono più disposto
ad " essere munto", a vendere a prezzi da fame le mie derrate ai " (im)
prenditori " di turno. Preferisco chiudere che continuare in questa agonia.》
E qui, con una digressione, bisogna allargare il tema.
Questa economia neoliberista, come si può ben vedere nella concretezza, ha
totalmente fallito. Ha prodotto un capitalismo sempre in guerra, una
globalizzazione senza regole alcune e portando solo violenze, ha acuito uno
scontro mortale tra i vari popoli del Globo. Non può continuare così. Il
concetto di neoliberismo racchiuso nel guadagno a tutti i costi, nel rendere
schiavi i lavoratori rubando la libertà e del rendere un mito il progresso
infinito è giunto alla resa dei conti. È miseramente fallito portandosi dietro
fallimenti e suicidi.
Visti i risultati negativi che ha prodotto, bisogna rivedere il tutto. È giunto
il momento per un radicale cambiamento. Sbagliare è umano, ma perseverare è
diabolico. E la politica deve interessarsi, augurandosi, visti i tanti
precedenti negativi, che, chi di dovere, non consumi solo ossigeno.
Il mondo agricolo non può morire, non può più aspettare.