2/5/2018 ● Cultura
Ricchezze storico-culturali: le istituzioni non impediscano le manifestazioni
I recenti fatti della Carrese di San Martino impongono a tutti, non solo ai
soggetti e alle istituzioni direttamente interessate e coinvolte, una
riflessione ad ampio raggio sugli stretti rapporti e sulle inevitabili
ripercussioni tra comunità locali, responsabilità amministrative, libere
associazioni, sensibilità culturali diverse, storia, cultura, tradizioni e
devozioni popolari.
La fede di ogni comunità, consolidata e tramandata da secoli, si incarna nel
vissuto quotidiano e assume tutte le forme culturali in cui si esprime la vita
del popolo, profondamente legata ai ritmi delle stagioni, al lavoro della terra,
al rapporto simbiotico con gli animali, fedeli collaboratori nelle attività
quotidiane, fonte di reddito, essenziali e meritevoli di attenzione e cura dai
nuclei familiari di cui sono componente costitutiva.
Nel succedersi delle generazioni questo humus profondo non si perde ma si
rinnova e si riattualizza coniugando l’essenziale con le esigenze della
modernità, con i cambiamenti epocali e le norme che le istituzioni devono
predisporre affinché quel nucleo culturale, autentico, identitario venga
conservato, vissuto, celebrato tenendo fermo l’obiettivo di favorire i valori di
cui, nelle sue forme tipiche, quella particolare comunità vive.
Allargando lo sguardo (e anche il cuore) non possono, a questo punto, non
sorgere interrogativi su specifici rapporti tra uomo e animale, istituzioni ed
eventi culturali locali, manifestazioni pubbliche e sicurezza, ideologia e
genuine tradizioni culturali, interrogativi che sollecitano risposte concrete e
chiare perché non si smarrisca il fine ultimo di eventi che sono tappe annuali
vitali per una comunità. A tale proposito, papa Francesco nella esortazione
apostolica Gaudete et Exsultate pubblicata nei giorni scorsi, afferma al
paragrafo 6: “Non esiste identità senza appartenere a un popolo”.
Da sempre le nostre comunità locali hanno vissuto a stretto contatto con gli
animali, per il lavoro, per l’alimentazione, per la compagnia, e anche per
esprimere e vivere momenti di festa e di devozione. Le generazioni che ci hanno
preceduto hanno vissuto in rapporto simbiotico con la natura: la terra, il
clima, le stagioni, le colture, gli animali, ben consapevoli che dentro questo
rapporto era garantita la loro sopravvivenza e il loro futuro se esso non veniva
stravolto, violentato.
Gli animali sono stati rispettati, amati, anche temuti, curati, custoditi
gelosamente, gestiti secondo le loro esigenze naturali, perché membri a tutti
gli effetti delle famiglie e delle comunità. Il lavoro dei campi, unica fonte di
sostentamento, dipendeva dalla fatica insostituibile degli animali; per questo
spesso venivano affidati ai santi perché li proteggessero e li conservassero in
salute. A sottolineare queste sinergie la Chiesa, “ab immemorabilis”, benedice
gli animali e celebra le ROGAZIONI e le TEMPORA delle stagioni.
La realtà quotidiana della comunità ha sempre richiesto norme e prescrizioni per
il bene comune; queste mutano con il mutare delle epoche e il sorgere di nuove
esigenze, di ritmi diversi, di sensibilità diverse. Così sono intervenute
regole, obblighi e divieti, che determinano anche, positivamente, i rapporti con
la natura, con il terreno, con le piante, con gli animali. Le pubbliche
amministrazioni, da quelle centrali a quelle periferiche, adeguano le normative,
impartiscono nuove prescrizioni, provvedono alla loro osservanza, predispongono
protocolli e ordinamenti man mano che sorgono nuove problematiche, specie
riguardanti la sicurezza, il bene delle persone direttamente coinvolte, il
rispetto di cose ed animali. Ma, certo, lo scopo di tutto questo è la
conservazione della cultura e della storia di una comunità, e per favorire un
corretto e sicuro svolgimento di eventi e manifestazioni, non dimenticando che
la norma è per l’uomo, come l’evangelico “il sabato è per l’uomo e non l’uomo
per il sabato”.
Se la norma si limita a reprimere, sopprimere, proibire, in questi casi viene
meno alla sua genuina finalità; il legislatore sa molto bene che non può e non
deve lasciarsi condizionare da pregiudizi ideologici, di qualunque natura, nei
confronti di pubbliche espressioni di popolo che da secoli sono retaggi
culturali che rafforzano i suoi valori fondanti, ma deve far sì che questi
possano esser riaffermati pur dentro un adeguato quadro normativo, anzi proprio
grazie a questo.
L’auspicio è che da parte di tutti ci sia sempre la volontà di procedere con uno
stile di reciproco ascolto, di condivisione effettiva, di rispetto delle
esigenze di tutti, evitando pregiudizi, sguardi ideologici, chiusure preventive,
decisioni improvvise calate dall’alto, in un clima di pacata ragionevolezza.
Le singole comunità sono invitate non a rinunciare alla loro cultura e alle
tradizioni, ma ad elaborare progetti e ‘sognare prospettive’ proprio in vista
della conservazione e della continua rivitalizzazione delle loro ricchezze
storico-culturali, pretendendo che le istituzioni non impediscano le
manifestazioni, ma dialoghino con le parti in causa per la buona riuscita delle
manifestazioni stesse”.