7/3/2018 ● Politica
Aspettando Godot : perché le amministrative non porteranno al cambiamento
Ad ogni torno elettorale delle “Comunarie” le diverse anime politiche locali
s’infervorano , si agitano distillando , euforici, a destra e a manca , perle di
una rinnovata saggezza politica : questa volta è veramente la volta buona !
Buoni propositi, ottime idee programmatiche , candidati che più candidi non si
può. Soprattutto candidati giovani , come se l’età di per sé fosse una garanzia
di capacità politiche. Ma tant’è , oggi , come in passato i noti, abituali
imbonitori politici locali hanno da più versanti iniziato a tessere i loro
complessi orditi . Il passaparola locale ha già messo in giro nomi, simboli e
abbozzi di liste rigorosamente civiche com’è è d’uso da quando i partiti ,” motu
proprio “, sono implosi lasciando orfani gli elettori delle passate generose
Weltanschauung ( visioni del mondo) che pure erano collaudati, rassicuranti
palliativi per lenire l’ umana ansia connaturata all‘oggettiva imprevedibilità
del proprio e dell’altrui futuro esistenziale (specie se riferito a ciò che
ciascuno ha di più caro) che prende taluno più, tal’altro meno , favorendo, nel
tentativo di stemperarne il disagio, in molti casi la collettiva affiliazione ad
un sindacato, ad un partito, ad una chiesa … Di fatto le elezioni al di là dei
diversi sistemi elettorali con cui si vota in genere offrono a coloro che vivono
una determinata epoca storica l’opportunità di decidere la rappresentazione del
sociale prossimo venturo desiderabile, che si spera , secondo programma. dopo le
elezioni gli” attori-eletti”, coerenti , dovrebbero essere tenuti a mettere in
scena nei rispettivi segmenti di competenza delle istituzioni statuali che sono
chiamati a governare . Per cui , paradossalmente, mentre a livello locale è al
ribasso , se non inesistente qualsivoglia attività civica partecipata ( non ho
notizia di problematiche cittadine extraistituzionali oggetto di interesse
collettivo né di costituiti né di costituendi comitati civici spontanei!) . In
paese è tutto un fiorire di liste civiche ( ad oggi se ne contano quattro, se
non cinque, in attiva formazione ) che poi presumibilmente fuse, accorpate,
daranno vita , come in passato , alle due o tre liste che verosimilmente
parteciperanno alla competizione elettorale delle Amministrative locali. Una
cultura del civismo che , almeno a Guglionesi, non è riscontrabile con
continuità nel sociale vissuto , che tuttavia in tempo di elezioni rimarca la
sua cifra : l’essere apartitica, come se oggi , come ieri d’altronde , fosse
possibile fare politica senza conoscere almeno per sommi capi la storia delle
dottrine politiche e simpatizzare più per l’una che per l’altra ideale visione
che le stesse offrono della società, posto che le teorie sociali che le
sottendono in modo diretto o indiretto, comunque, improntano l’economia e
pertanto connotano e condizionano la nostra vita individuale e per ampliamenti
successivi quella dello Stato, delle Nazioni . l’appartenenza politica , che
fosse democristiana, comunista , socialista , liberale …, solo ieri, creava
identità ; oggi , al contrario crea disagio ( di fatto il civismo d’occasione è
solo un espediente furbesco per acchiappare più voti sapientemente sterilizzati
, ingrigiti al limite del qualunquismo) . Un simile atteggiamento critico verso
i partiti, al di là dell’opportunismo politico di oggi ,trova comunque
giustificazione ed una qualche ragione nell’ avvenuta decomposizione dei partiti
storici che pure nel nostro Paese hanno dato corpo e sostanza ad una delle
migliori ( e più belle) Costituzioni d’Occidente. Ma tant’è, un tale
atteggiamento che aborrisce i colori politic i( come i tori nella corrida)
rispecchia lo stato di atomizzazione sociale e, sconfortante prefigura una
preoccupante tendenza all’ anonimato e alla numeralizzazione individuale ( C.d’I.
tessere, pin vari, targhe…) che la globalizzazione utilizza attraverso la
diluizione omogeneizzante di quella che rimane comunque la nostra percezione
della realtà faticosamente costruita (e in parte da noi acquisita) attraverso
quel poderoso processo di accumulo di conoscenze nel corso di alcuni millenni
che correntemente chiamiamo civiltà. Un sapere che oggi fluttua , disperso e
lucrante nell’oceano (la società liquida di Zygmunt Baumann) incontrollato e
incontrollabile dell’economia mondiale . Guglionesi alle amministrative negli
ultimi vent’anni ha visto un fantasioso alternarsi di liste civiche rispondente
ad un neppure dissimulato camuffamento apartitico che non hanno prodotto
alcunché di stabile nelle formazioni che si sono avvicendate alla guida del
paese tranne, forse, le figure sindacali che solo per “anzianità” di servizio
hanno dovuto cedere il passo ad altri . Un ventennio (che tristezza i ventennii!)
che ha visto sapientemente coniugare e comporre politicamente stabilità apicale
e instabilità interne alle coalizioni segnate da avvicendamenti e defezioni ;
una conflittualità interna in epoca recente spinta fino al commissariamento
dell’Ente locale . Ma tornando al tema di fondo: “ perché Guglionesi non può
attendersi alcun realistico cambiamento dalle amministrative a venire?”. In modo
preliminare si può rispondere che attualmente , purtroppo, non mi sembrano oggi
parte fondante del nostro sociale quei parametri utili e necessari per far si
che l’ Amministrazione futura, quale che sia , possa giovarsi di quella
entusiastica giusta spinta che non sia solo genericamente morale ma anche
materiale ( la nostra economia reale) e, pertanto, oggettivamente, il “motore”
favorente qualsivoglia cambiamento . Mi limiterò a citare alcuni di tali
prerequisiti che ritengo essere importanti per il rilancio o, declinato al
ribasso , quantomeno, per una meno pretenziosa normalizzazione amministrativa,
anche rispetto ai paesi limitrofi che seppure a fatica una “non sopita” gestione
della cosa pubblica pure l’hanno trovata .
Primo : la microeconomia locale langue in tutti i settori che dovrebbero
costituire il tessuto economico produttivo del paese ; qui nello specifico mi
riferisco all’ Agricoltura, al Commercio , all’Artigianato , all’Edilizia (
purtroppo a breve la crisi interesserà anche il comparto industriale
territoriale), al vasto, per larga parte sovrabbondante , e immobile ( se mi si
consente il bisticcio di termini) mercato immobiliare di settore e a quant’altro
contribuisce all’economia complessiva della nostra comunità . Senza entrare in
merito al diverso contributo all’economia locale dei singoli comparti produttivi
utilizzo un parametro efficace che seppur generico li ingloba : il reddito
pro-capite che a Guglionesi si attesta sui 13.560 euro per un numero di 3475
contribuenti , in linea rispetto al passato recente . Non ci si lasci ingannare
dall’apparente stabilità del reddito pro-capite registrato negli ultimi anni
poiché maschera un fenomeno detrattivo operante sul reddito reale ormai
consolidato e perfino in via di accentuazione. E’ infatti a tutti evidente, in
termini di quantizzazione reddituale, un aspetto che invece sfugge alle indagini
statistiche ufficiali, ovvero, il contributo alla formazione del reddito locale
degli emolumenti prodotti e spesi altrove , quindi in larga parte indisponibili
per essere utilizzati nell’economia locale . Pertanto tali redditi pur essendo
localmente statisticamente aggiuntivi , di fatto dovrebbero essere detratti ; di
conseguenza il reddito pro-capite così perequato risulterebbe inferiore e
sarebbe indice dell’effettivo, reale, percepito depauperamento dell’economia
locale . E vengo ad una più puntuale analisi del fenomeno . Molti giovani
guglionesani , attivi dal punto di vista occupazionale , pur avendo conservato
la residenza anagrafica a Guglionesi , vuoi per nostalgia vuoi perché ancora
all’interno del nucleo familiare d’origine o , per motivi personali, sono
domiciliati altrove , ovvero, là dove lavorano e percepiscono un reddito .
Domicilio in cui consumano una buona parte del loro reddito che va ad
incrementare il reddito pro-capite altrui ( è indifferente calcolare il Pil
tenendo conto degli stipendi , dei salari… o dei consumi …) contribuenti che ,
tuttavia , dichiarano i loro redditi ancora, in modo congiunto con i propri
familiari o in modo separato nel comune di residenza ; tuttavia , in entrambi i
casi contribuiscono a determinare a livello locale un reddito pro-capite
complessivo che è parte del reddito reale di altre economie . Presumibilmente
,anche tale improprio contributo al reddito complessivo del comune di
appartenenza è solo transitorio , poiché in futuro tenendo conto della
stabilizzazione extraterritoriale del posto di lavoro e dalle scelte di vita
definitive che gran parte dei nostri giovani residenti , farà il nostro reddito
pro-capite probabilmente si ridurrà in modo significativo ( poiché non potrà più
essere statisticamente spalmato sui residenti locali privi di reddito )
Secondo . il persistere a livello locale di un’aristocrazia terriera ben
si coniuga con la concezione patriarcale della famiglia e quindi della
conseguente permanenza di inossidabili clan familiari che spesso , designando un
candidato interno rappresentante, di fatto, quota parte, determinano e orientano
i “pacchetti di voti” che detengono e controllano (cui si aggiungono capibastone
politici locali , magari , senza terra , che in modo similare detengono e
orientano ad ogni tornata elettorale consistenti pacchetti di voti ). Perdurante
tale situazione, confortata , rafforzata e “naturalizzata” dai vincoli di
parentela, non sembra possibile dall’oggi a domani destrutturare e riorientare
in senso veramente libero , democratico e incondizionato il controllo
paternalistico di una parte ragguardevole del voto locale, di modo che la scelta
di voto, quale che sia , guardi in toto al cosiddetto , generico “ bene comune “
( mai come oggi l’efficace locuzione di derivazione cattolica “ J. Maritain “ ha
avuto un uso così inflazionato ) e non miri a consolidare e rinsaldare gli
interessi interni ad un sottoinsieme sociale o a qualche suo referente in
pectore .
Terzo . La distribuzione della conoscenza all’interno della nostra
comunità è diseguale e spesso divaricante ( nonostante la residua frammentata
condivisione del dialetto!) quanto lo sono i redditi individuali e familiari e
come questi ultimi tende ad un preoccupante decremento, almeno per alcuni
aspetti sociali che sono sotto gli occhi di tutti. In primis , la massiccia
migrazione in altre regioni o, anche emigrazione all’estero ,di giovani nostri
conterranei con una formazione terziaria ( universitaria ) delle conoscenze,
spesso anche specialistica; quest’ultima una “professionalizzazione” che attiene
direttamente alla socializzazione secondaria, quindi al ruolo sociale , che
invece tornerebbe utile alla nostra comunità ,sempre più povera di competenze ,
ciò qualora le competenze specifiche dei giovani potessero essere spese in loco
. Tale fenomeno rappresenta un depauperamento non solo della conoscenza
ascrivibile al patrimonio sociale locale , ma anche una mancata” restituzione
sociale” dell’investimento materiale che i genitori hanno fatto sui propri figli
sostenendoli negli studi , posto che il capitale umano che purtroppo è costretto
ad emigrare altrove in parte è stato formato con i proventi economici familiari
locali. Tale operazione di “ restituzione etica e l’utilizzo delle competenze
acquisite al territorio di appartenenza sarebbe stata realistica qualora Noi,
sonnacchiosi e sprovveduti residenti di lunga data ( egoisti senz’alcuna
immaginifica idea politica da cantierare per la nostra società locale futura ) ,
fossimo stati in grado in passato di creare per i nostri giovani delle
opportunità concrete di occupazione confacenti alla loro futura formazione e
alle loro aspettative. Non solo le Università o gli istituti di formazione
secondaria dovrebbero programmare l’incontro tra conoscenze e mondo del lavoro ,
ma soprattutto dovrebbero attivarsi le istituzioni presenti sul nostro
territorio che qualche leva di economia politica pure manovrano . In tal caso li
avremmo visti attivi nel nostro contesto territoriale sia dal versante lavoro
sia dal versante sociale perché in qualche modo sarebbero stati indotti a
restare ed a metter su casa , se non in loco, quantomeno nella nostra regione (
che tra qualche decennio pare conterà solo 210.000 abitanti ! ) A fronte di
questa consistente emorragia di cervelli che non mettono in loco a frutto le
loro conoscenze impoverendo di fatto la comunità ve n’ è un altro simmetrico
dello stesso segno che consiste nell’ampliamento della platea degli anziani
pensionati che oggi rappresenta circa il 24 % della popolazione residente che
per età hanno dismesso i loro saperi in precedenza “ lavorati “ negli anni in
cui hanno svolto le loro mansioni, s’intende retribuiti , nelle istituzioni o
nelle attività lavorative private . Ex lavoratori di fatto improduttivi o
indirettamente , scarsamente produttivi . Restano a difendere la redditività “
attiva” del paese oltre agli occupati nelle istituzioni di supporto alla
corrente, abituale vita associata che detiene una differenziata acquisizione e
utilizzo nella pratica quotidiana delle conoscenze, cui, oltre ai lavoratori
locali del nucleo industriale , si aggiunge, corposo, un rilevante stuolo di
agricoltori che nel possesso delle conoscenze, in quanto a qualità si attestano
su una tranquilla, neutra, medietà : una conoscenza professionalizzante di
seconda socializzazione in genere detenuta da coloro che volenti o nolenti sono
in qualche modo quasi “obbligati” a lavorare in agricoltura perché , sussistente
, bisognosa di essere lavorata, la terra degli avi pressante li richiama a tale
occupazione. Agricoltori di necessità che esprimono una conoscenza tuttofare ,
non specializzata, ( non me ne vogliano i miei compaesani che generosamente per
tradizione continuano ad impegnarsi in questa attività , ma è così ! ) perché,
al di là di dell’esaltazione bucolica della vita dei campi, la formazione degli
addetti all’agricoltura è comunque a basso contenuto di conoscenze (
l’agricoltore in genere non si forma a scuola) e ciò è ben dimostrato dal fatto
che l’agricoltore, il bracciante generico , nel corso della sua giornata
lavorativa può cambiare tipo di lavoro più volte ; più volte nel volgere delle
stagioni e, perfino più volte nel volgere degli anni, stabilendo comunque ( e
questo rappresenta , proprio in ragione della loro presenza attiva sul terreno,
l’aspetto più importante e pratico nel controllo reale del territorio )
quell’utile connubio con l’ambiente , con gli attrezzi di lavoro , a molti, in
modo eccessivamente romantico noto come “ tradizione contadina” : un’evidente
molteplicità dell’attività lavorativa che tuttavia ha scarsa incidenza
sull’economia complessiva sia in termini occupazionali che reddituali , in
questa nostra epoca in cui la divisione del lavoro rappresenta la norma nella
nostra organizzazione sociale e l’iperspecializzazione : un sapere per pochi ,
spesso fonte di lauti guadagni, oltre che vanto e gratificante successo sociale,
ne rappresenta anche la cifra innovativa .
Quarto : la crescente “delegittimazione politica” ( con un eufemismo
chiamata disaffezione) delle Amministrazioni presso la popolazione chiamata a
votare una delle formazioni civiche che esprime il Sindaco e gli amministratori
e, per quota parte, i tre amministratori dell’opposizione : questi ultimi ,
paradossalmente nel caso in cui le liste in competizione fossero tre ( com’è già
accaduto alle elezioni Comunali del 2008 ) l’opposizione , rappresentando i due
terzi dei votanti; esigua nell’organo di governo locale , sarebbe maggioranza
nel paese ! A tal riguardo le cifre sono di per sé , eloquenti . Infatti alle
elezioni del 13 e 14 aprile 2008 i votanti sono stati 3769, pari al 70,7% degli
aventi diritto. L’esito delle urne assegnò alla Lista” Guglionesi nel cuore “il
33,6% ( 1228 voti); “Costruire per Guglionesi) il 33,3% ed a “Continuità per il
futuro” , il 33,1%. Invece i risultati del 2013 ( votanti il 63%) vedono
vincente la lista “ Guglionesi nel cuore”, con 1700 voti. Ovviamente la
delegittimazione politica non è affatto formale! Ci mancherebbe! Ma rimarca un
trend decrescente di consensi accordati a chi amministra il comune facilmente
deducibile dalla diminuzione del numero di votanti e quindi dal numero
complessivo di consensi sul totale degli aventi diritto dati alla lista vincente
.
Quinto punto : l’inclusione degli stranieri residenti nella vita politica locale
. Oramai , qui a Guglionesi da anni procede, sostenuta , l’operazione di
sostituzione della popolazione residente con una quota significativa di
stranieri residenti che assommano al 6% della popolazione ( percentuale che
raddoppia aggiungendo il sommerso che rappresentano un po’ l’indotto umano a
traino degli stranieri residenti ). Gli stranieri residenti possono essere
elettori ed eletti ( non possono essere designati alla carica di Sindaco )
purché chiedano di essere inclusi nelle liste speciali che dovrebbero essere
operanti in ogni Comune che includa residenti stranieri) . Piaccia o no gli
stranieri residenti a Guglionesi fanno parte del “corpo sociale”della nostra
comunità e forse / forse!) avrebbero diritto ad un’inclusione a pieno titolo ,
con diritti e doveri , poiché sono effettivamente già titolari di servizi
offerti dal Comune alla collettività nonché produttori di reddito , ma anche
veicolo di culture ” altre” che sarebbe meglio conoscere per impregnare la
nostra cultura locale con feconde contaminazioni , poiché, purtroppo
misconosciuto , nella società reale questo processo è già in atto , da tempo
I punti che ho qui sommariamente elencati , oscillanti tra distribuzione delle
conoscenze (e della redditività dell’ economia locale) unitamente ad una
frammentazione e diversificazione eccessiva delle stesse nella popolazione danno
conto di uno scadimento complessivo delle linee guida politiche della comunità
che avrebbero dovuto improntare “ il sentire” sociale ; prova ne siano i quattro
o cinque focus ad oggi “accesi” al fine di insediare un Sindaco ! Francamente
troppi! Sono indice dell’incipiente ormai annoso deteriorarsi della democrazia
nella nostra comunità, poiché, qualora le liste civiche in formazione fossero
effettivamente in lizza per la guida del Comune ; posto che le stesse siano
equivalenti nella raccolta del consenso, sarebbero sufficienti all’incirca 700
voti per “mettere il Sindaco” . Ma, c’è da chiedersi : che democrazia sarebbe
quella che non può contare sul 50% più 1 dei votanti . A quale credibile
legittimazione del “corpo” sociale reale attingerebbe? Risposta non c’è, come
potrebbe chiosare la canzone del menestrello Bob Dylan “ blovin’in the wind.”
Che con approssimazione potremmo tradurre : Forse, la risposta sta” soffiando
nel vento” (dei Pentastellati!?)
P.S. Non me ne vogliano gli “attori” protagonisti dell’attuale competizione per
questa mia irruzione nell’ agorà della politica locale , apparentemente alla
finestra ( del computer). Personalmente in passato come amministratore ho già
dato e, poiché in democrazia vale l’alternanza aspetto con fiducia che si faccia
avanti il nuovo e “ ho un sogno” : che il nuovo mi rappresenti .