10/11/2017 ● Cultura
Il mito del duce Benito Mussolini nella lettera di una madre guglionesana
Nel libro "Duce! Tu sei un dio!" (sottotitolo "Mussolini e il suo
mito nelle lettere degli italiani") di Alberto Vacca, pubblicato nel 2013
nella collana "I saggi" dell'editore Baldini & Castoldi", si leggono
alcune lettere che rimandano al culto della patria e al mito del duce da parte del suo
popolo, una parte degli italiani.
"Durante il Ventennio gli italiani - si legge nella scheda di
presentazione del volume - scrissero al duce milioni fra lettere, telegrammi
e cartoline. Migliaia di tali missive sono oggi custodite presso l'Archivio
Centrale dello Stato, in un fondo che stranamente è stato poco o per nulla
esplorato dagli storici. Eppure, considerando il loro carattere disinteressato,
quelle lettere ci rivelano quanto sia stato pervasivo il mito e il culto del
duce in una parte del popolo italiano e come sia stato da essa vissuto nel
periodo 1930-1943. C'è l'ammiratore che mette a disposizione il suo naso qualora
il Duce ne avesse avuto bisogno dopo un fallito attentato; i parroci che
salutavano in lui il "difensore della civiltà romana e cristiana"; i piccoli
balilla, le suore, e i genitori che offrono il loro figlio appena nato come
futuro braccio al servizio del Duce. Frutto di una inedita ricerca d'archivio,
questo libro è una testimonianza di come eravamo, e ci fa capire, più di molti
saggi accademici, come e perché gli italiani hanno creduto alla più grande
illusione del Novecento."
Tra le lettere delle "madri per la patria" Alberto Vacca pubblica una missiva
inviata, al duce Benito Mussolini, da Guglionesi, nel XV anno dell'era fascista.
"Guglionesi (Campobasso), 22 giugno 1937-XV
Duce:
nell'apprendere la morte gloriosa del mio figlio Rosito Luigi, avvenuta sul
fronte di Guadalajara il 27 marzo u. s., il mio cuore di mamma sanguina ma il
mio pensiero che il mio sangue è morto per il trionfo della Fede, per la
grandezza del Fascismo, mi sorregge e invoco da Dio la vittoria delle nostre
armi.
Duce! Anche gli altri due figli Felice e Gaetano, che si trovano in Africa
Orientale, quali volontari, dopo aver combattuto tutta la guerra Etiopica, sono
pronti a dare il loro sangue per la Patria e, se è necessario, anche l'ultimo,
Antonio, Avanguardista di 16 anni, potrà indossare la gloriosa divisa di Milizia
per vendicare suo fratello caduto.
Con la più perfetta osservanza e devozione.
Costanza De Sanctis Vedova Rosito."
La signora Costanza abitava in una stanza dell'antico palazzo ducale di Guglionesi.
Nel libro "L'ultimo raggio di sole al tramonto" di Mario Moccia
(disponibile in versione ebook) si legge un racconto "dei tempi andati, dove
si respira un clima di serenità e al tempo stesso si manifestano le difficoltà
che vivevano le famiglie, strette tra la lotta quotidiana per sopravvivere e gli
avvenimenti storici che incombevano sulle scelte e la visione del futuro,
condizionandole. La trama si svolge lungo un ventennio, partendo da poco prima
degli anni trenta del millenovecento fino alla guerra, e vede come protagonisti
Nicolino, costretto ad emigrare in America per evitare l'arruolamento per la
guerra in Etiopia in prossimità delle nozze, e la giovanissima Elvira, prima
promessa e poi sposa per procura. La vicenda è tuttavia un espediente per
l'autore per rappresentare il film del “come vivevano” i suoi antenati non
lontanissimi in questo paese di collina, fondato dai profughi albanesi che vi si
erano rifugiati nel lontano 1400. Moccia evidentemente molte cose le ha vissute,
direttamente o attraverso il racconto di genitori e nonni, e presenta con
precisione ed attenzione i fatti dell'epoca, compresi alcuni episodi salienti
dell'ultima guerra."
Tra gli episodi l'autore racconta del mito di Mussolini, tra ostilità e
boriosità, con le seguenti parole, citando un episodio della guerra sul Carso.
"A dirla tutta, Giovanni era stato già più volte sollecitato da Saverio,
fratello di suo cognato, a partecipare attivamente alle attività del Fascio: si
era defilato la maggior parte delle volte, invocando le scuse più svariate,
anche se aveva dovuto pur sorbire ogni tanto le noiose adunate generali e per
questo suo tentennamento era ritenuto un elemento poco affidabile. Ma in
famiglia tutti sapevano della sua ostilità al regime e, nelle rare volte in cui
si era parlato di politica, i parenti lo avevano sentito sibilare: "Ah quel
Carso! Ha straziato tante vittime innocenti ma ha risparmiato il caporal
Mussolini!". Si sapeva, infatti, che nel febbraio del 1917, Mussolini era stato
ferito nelle retrovie del Carso ed era stato trasportato a spalla nel più vicino
ospedale da campo da un soldato suo commilitone che era originario di
Guglionesi. Questi era diventato un eroe per i suoi compaesani, che lo esibivano
in ogni occasione come un trofeo di cui andare fieri e lo facevano sfilare, in
prima fila, in ogni parata ufficiale".
Resta, tra i più anziani di Guglionesi, il ricordo dell'eroe commilitone di Mussolini, un tale Mastromonaco
[cfr Fuoriportaweb (7/8/2013): "Giuseppe
Mastromonaco, l'amico di Mussolini"].