26/7/2008 ● Cultura
È ora di eliminare le circoscrizioni estero
Dopo le elezioni nazionali italiane del 13 e 14 aprile scorsi urge cambiare profondamente la
legge elettorale, perchè il voto per corrispondenza nelle quattro circoscrizioni
estero presta il fianco ad illegalità ineliminabili e non ne garantisce la
segretezza, un obbligo costituzionale. Si vorrebbe passare ad uno scrutinio da
esercitarsi nelle sedi consolari o, per chi vive lontano, per corrispondenza
dopo esplicita richiesta scritta del votante. Lo scopo è quello di far votare
gli ‘italiani veri'. Comincia ad emergere il buon senso.
Fermo restando il diritto/dovere costituzionale di ogni cittadino italiano al
voto, gli emendamenti alla legge Tremaglia hanno il merito di fare una cernita
tra chi è italiano e desidera mantenere un rapporto concreto con l'Italia e chi
è italiano per semplice ius sanguinis e poco o nulla sa del paese dei suoi
antenati di cui non parla spesso neppure più la lingua.
Va sottolineato che nella tornata elettorale del 2008, quasi il 60% ,ossia 6
elettori su 10, NON hanno votato! E nella maggior parte dei casi gli eletti lo
sono stati con il 30% del 41%, una frazione irrisoria. Un esempio. Basilio
Giordano è stato eletto al Senato per la circoscrizione America Centr/ Nord con
circa 13.000 voti. Quanto veramente rappresentativi della diaspora italiana sono
i 12 deputati ed i 6 senatori? È una domanda legittima che, però, si scarta con
la mano, anche se in realtà costituisce il problema di fondo del voto passivo
all'estero.
Ben vengano quindi le modifiche e sia salvaguardato il diritto di voto
all'estero. Ma quale voto? Quello passivo, che elegge i 18 vessilliferi dalle
‘colonie' italiane, o quello attivo che permette di votare per le circoscrizioni
di origine o di ultima residenza in Italia? Il nocciolo della questione da
affrontare e da risolvere è proprio questo. Gli eletti all'estero hanno la
pretesa di conoscere i problemi e di rappresentare gli interessi degli italiani
delle quattro circoscrizioni appositamente create.( Ma non è questo anche il
ruolo del corpo diplomatico, dei COMITES e del CGIE?). Ripeto e sottolineo:
hanno la pretesa perchè nella realtà dei fatti detta pretesa non corrisponde, né
può corrispondere, a verità, data l'enorme estensione territoriale di ognuna
delle circoscrizioni ed il tasso risicato di partecipazione al voto. I 12
deputati ed i 6 senatori che vanno a Roma e dicono di rappresentare i veri
interessi degli italiani all'estero non fanno altro che vendere fumo e lo sanno
perfettamente, come perfettamente lo sanno i vari partiti. Il voto passivo
all'estero è in effetti una madornale presa in giro a cui si cerca di dare un
crisma di legittimità, mentendo. Si abbia finalmente l'onestà di riconoscerlo e
di dirlo e si traggano le dovute conseguenze. Ma dirlo significa nuotare
controcorrente ed inimicarsi tanti galoppini, portaborse o tanti veri e propri
professionisti dell'emigrazione.
Il voto passivo ha, inoltre, un altro gravissimo difetto: quello di imporre il
principio della territorialità italiana sulle innegabili prerogative
territoriali e nazionali dei diversi paesi. Il diverbio non ancora risolto tra
governo canadese e quello italiano sulla liceità della extraterritorialità
italiana, dovrebbe far riflettere sia i costituzionalisti che i legislatori
italiani quando si appresteranno- e lo facciano al più presto- a modificare la
legge elettorale Tremaglia. Tra l'altro le infrazioni innegabili da parte dei
diversi candidati ed anche degli eletti durante la campagna elettorale appena
conclusasi all'accordo firmato tra i due governi e capillarmente monitorato
dalle autorità canadesi, costituiranno una più che plausibile giustificazione
per impedire il diritto di voto passivo, e forse anche quello attivo, nella
prossima tornata elettorale nazionale in Italia. Mi risulta che il Primo
Ministro canadese Stephen Harper durante il suo incontro qualche giorno fa a
Roma con il suo omologo italiano, Silvio Berlusconi, ha affrontato la questione
sottolineando alcune anomalie giuridiche del voto passivo. Difficile dire a
questo punto come verrà risolto il contenzioso che tuttavia rimane intero.
Il diritto di voto passivo,- le candidature dall'estero per intenderci -, va sic
et simpliciter eliminato. È una anomalia legislativa impossibile da giustificare
giuridicamente nei vari paesi in cui risiede la diaspora italiana ed ha anche il
grave difetto di mettere in discussione la lealtà di appartenenza al paese in
cui si vive e si è anche nella maggior parte dei casi cittadini. Questo è un
principio volutamente occultato dai diversi candidati durante la campagna
elettorale.
Va invece mantenuto e difeso il diritto di voto attivo - principio garantito da
tutti i paesi che ammettono la doppia cittadinanza,come il Canada - e va
accettata la possibilità di candidature dei residenti all'estero sul territorio
italiano. Questa sì che sarebbe una novità, una vera rivoluzione nel modo in cui
si concepisce l'italianità e darebbe concretezza al significato che un italiano
ha parità di diritti e doveri ovunque egli risieda o viva. Il diritto di voto
attivo va esteso a tutti i livelli, (referenda, elezioni europee, nazionali,
regionali, provinciali e comunali). Con quali conseguenze? Quella di garantire
pienamente il diritto/dovere di voto, ( cosa che la legge Tremaglia non fa
perchè esclude la possibilità di votare a livello europeo, regionale,
provinciale e comunale. È quindi un diritto monco che è stato concesso, cosa che
i difensori del voto passivo volutamente ignorano quando lo difendono). Un'altra
conseguenza, ancora più importante, sarebbe quella di contare veramente nella
realtà italiana.
Il pericolo, soprattutto nelle regioni piccole, è di essere inondati da un ‘voto
estero' che potrebbe ribaltare quello espresso dai residenti in Italia. Ma
proprio in questo rischio consiste la novità da accettare perchè definisce la
complessità e specificità dell'identità italiana rispetto ad altri paesi, in
parte risultato di una componente emigratoria durata oltre un secolo. Chi si fa
interprete del timore del ‘ribaltamento' deve tenere presente questo principio:
il voto attivo degli italiani residenti all'estero si eserciterebbe nelle
regioni di origine per cui un lombardo voterebbe in Lombardia, un molisano nel
Molise, un sardo in Sardegna e così di seguito. L'appartenenza al territorio
verrebbe a costituire un principio sacrosanto e l' anello di congiunzione tra
residenti all'estero ed in patria.( É quello che i vari politici regionali
sottolineano con tanta foga e retorica quando vanno all'estero ed incontrano i
loro corregionali. Se sono loro a dire che noi siamo i migliori figli della
terra a cui appartengono sia loro che noi, com'è possibile negare poi questa
verità nei fatti? Evidentemente quando si tratta di mettere in gioco la propria
poltrona è immancabilmente la difesa del proprio utile che prevale).
A guardar bene anche politicamente il rischio il rischio del voto attivo si
riduce a ben poco. Una volta assorbito lo choc della novità del voto 'estero',
si farà una campagna elettorale mirata ad ottenere il consenso dei residenti
all'estero. I risultati elettorali delle elezioni del 2006 e del 2008 hanno
dimostrato che le preferenze di fondo di chi vive fuori dal territorio italiano
non si differenziano di molto da quelle espresse dagli italiani residenti in
Italia. Va soprattutto tenuto conto di questo dato: il tasso di partecipazione
dei residenti all'estero si aggira sul 35-40% e con gli emendamenti proposti
scenderà ancora di piu'.Voterà plausibilmente circa il 30% dei circa 3,5 milioni
dei possibili elettori dall'estero. Diventerebbe così una variabile di circa il
2% di cui tenere che potrebbe essere assorbita nelle piccole regioni a rischio
di ‘ribaltamento' permettendo ad esponenti qualificati delle comunità regionali
più numerose di essere candidati.
Il pericolo del ribaltamento del voto espresso dai residenti italiani si
ridurrebbe ancora di più se venissero create le 12 macro-regioni raccomandate
dalla Fondazione Agnelli qualche anno o gli 8 compartimenti in cui l'ENEL divide
il territorio italiano e venissero eliminate le province. La riduzione del
numero delle regioni in compartimenti di-6-8 milioni ognuno ad eccezione della
Sardegna, modifica veramente auspicabile, avrebbe il merito di ridurre di molto
il costo della politica e di essere in sincronia con il riemerso discorso sul
federalismo e sulla sussidiarietà economica che il risultato positivo della Lega
Nord obbligherà a fare in tempi brevi.
Info: http://www.newsitaliapress.it/pages/dettaglio.php?id_lnk=3_821