6/9/2017 ● Cultura
Perché in Italia la grande musica è sempre più trascurata?
Alcune risposte si trovano leggendo il formidabile <<Altri canti di Marte>>
di Paolo Isotta (466 pagine, Marsilio editore). La colpa va ricercata dalla
scuola alla televisione, fino ai grandi quotidiani, dal momento che la lirica,
eccellenza italiana nel mondo, viene sempre più relegata in un angolino. Oltre a
ciò, Isotta ci riserva frecciate imperdibili. Come quella su Carlo Fuortes che,
nominato sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma, si voleva occupare di
tutto : <<un egolatra che si compiace di un suo giro di direttori di serie Z >>,
con il risultato di togliere dalla scena romana Riccardo Muti, che non ha più in
Italia un luogo dove poter dirigere, salvo che a Ravenna nel festival
organizzato dalla moglie. Inoltre, parlando di Isotta e del suo libro sopra
indicato, non si possono dimenticare le pagine su Franco Alfano. Isotta così
scrive: <<Se definivo il più grande compositore italiano del Novecento, adesso è
per me uno dei più grandi compositori del Novecento assolutamente>>. Franco
Alfano è colui che completò la Turandot dopo la morte di Puccini. Secondo Isotta
il finale alfaniano non solo non è inferiore allo spartito pucciniano, è
addirittura superiore. Perché <<la musica del Novecento non si conosce per
intero se si ignora la vera attività di Alfano, sommo compositore di musica
strumentale oltre che teatrale>>.
Per i lettori che non conoscono Paolo Isotta dirò brevemente che nel 1974 viene
assunto come critico musicale al neonato “Il Giornale” di Indro Montanelli. Nel
1980, passa al Corriere della sera, dove continuerà la sua attività di critico
fino al 2015. Nel 2013 pubblica un articolo fortemente critico verso Daniel
Harding e, indirettamente, Claudio Abbado, a seguito del quale Stéphane Lissner,
sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano, lo dichiarava “persona non
gradita”. Il 16 ottobre 2015, annuncia sulle colonne del Corriere il suo ritiro
dall’attività di critico musicale : <<Torno a essere un musicista e null’altro
che questo. Col presente articolo si chiude la mia attività di critico musicale
svolta per più di quarantadue anni>>. Ha dichiarato che intende dedicarsi d’ora
in avanti solo allo studio e alla scrittura di nuovi libri. Attualmente scrive
anche di musica su Il Fatto Quotidiano (cfr. Wikipedia).
La Norma al San Carlo di Napoli. Paolo Isotta “Il Fatto Quotidiano”, 26.II.2016.
(Sintesi dell’articolo). “Al San Carlo di Napoli va in scena in questi giorni la
Norma di Bellini. E’ l’occasione per fare alcune osservazioni forse abbastanza
nuove : perché dimenticate. La prima sul podio c’è Nello Santi, che dirige con
una straordinaria unione di musicalità, autorità e senso pratico derivantegli
dall’esperienza : inoltre adopera un’edizione corretta contenente la seconda
parte del coro Guerra, guerra, mancante anche nel recente allestimento della
Fenice, che vedeva sul podio un giovane promettente e già rivelatosi annegato
nella praticaccia (…) Oggi in grado di dirigere la difficile partitura
altrettanto bene ci sono solo, non in Italia, al mondo, Elio Boncompagni,
prossimo a compiere gli ottantatrè, Gabriele Ferro, prossimo a compire i
settantatrè, Gabriele Ferro, prossimo a compiere i settantanove, Riccardo Muti
(specie se corregerà gli errori di scelta dell’edizione), che a luglio compirà i
settantacinque, e Donato Renzetti, che a Gennaio ne ha fatti sessantasei.
Nessuno fra quelli venuti dopo ha la cultura, la tecnica e l’esperienza per
affrontare uno dei vertici dell’intero teatro musicale. La difficoltà tecnica e
stilistica di partiture come la Norma, che i non italiani non immaginano
nemmeno, rende inetti allo scopo anche maestri che in Wagner e Strauss fanno
benissimo (…) Il ruolo della protagonista è quella di soprano drammatico di
agilità. Questo, al quale debbono essere affidati i ruolo di Verdi dal Nabucco
ai Vespri siciliani (quindi passando non solo per il Trovatore e la Traviata, ma
anche per quella povera Giovanna d’Arco colla quale si è voluto inaugurare la
stagione della Scala), oggi non esiste addirittura più. I grandi esempi del
Novecento sono stati Claudia Muzio, Gina Cigua, Magda Olivero, Anita Cerquetti,
Maria Callas, Elinor Ross, Rita Orlandi Malaspina, Renata Tebaldi avrebbe
potuto, se avesse voluto, ben affrontare tutti i ruoli del drammatico di
agilità, a cominciare dalla Norma, ma non volle (…)”. In chiusura desidero
ricollegarmi brevemente al problema del perché in Italia la grande musica è
sempre più trascurata. Il repertorio sinfonico in particolare soffre da tempo.
Come già detto in altra occasione condivido l’opinione di Alex Ross, critico
musicale del ‘New Yorker’ : <<Per costruire il pubblico del futuro, le
istituzioni classiche dovrebbero creare più legami tra generi diversi >>.
Insomma una Bohème capace di parlare ai ventenni di oggi mantenendo intatto il
fervore con cui Puccini descriveva i giovani del suo tempo. Ma una cosa mi sento
di dire a proposito de“Il Volo” : è un gruppo pop-lirico ma nulla più.
Equiparali a dei mostri sacri della lirica, quali Alfredo Kraus, Luciano
Pavarotti, Placido Domingo, Josè Carreras (per citare) è un errore.
Nell’intervista alla prima moglie di Pavarotti in occasione del concerto che si
terrà stasera (6 settembre 2017)all’Arena di Verona ha sottolineato <<Luciano
avrebbe voluto essere ricordato come cantante d’opera. Di questo sono certa, il
resto non conta>> (cfr. la Repubblica).