25/8/2017 ● Cultura
Homo-logo: l'inarrestabile avanzata dell'uomo medio
Chissà quale locuzione utilizzeranno i nostri posteri per definire la nostra
specie? Ah, già … dimenticavo. Parto dal presupposto che noi contemporanei siamo
animali radicalmente diversi dai nostri avi. Per svariati secoli loro hanno
vissuto in una società basata su valori xlo+ simili, intessendo rapporti
interpersonali ispirati ad un modello forgiato dal lungo decorso del tempo. È
accaduto poi che nel secondo dopoguerra si sia accelerato quel processo di
stravolgimento iniziato tempo prima e, in quanto “animali sociali”, è maturata
un’autentica mutazione antropologica: l’uomo, dopo aver tenuto uno stile di vita
pressoché immutato nei secoli, si è trasformato da un punto di vista
sociologico. Per sintetizzare brutalmente il concetto non posso che ricorrere ad
una metafora spicciola: come l’adolescente maschio, nella cui mente un’idea
fissa prende corpo in vece dell’ordinario avvicendamento di indistinti pensieri,
nella veste di un ininterrotto loop … tromba tromba tromba … l’uomo moderno è
diventato nella sua essenza un consumatore, ovvero un automa a cui è stata
innestata una sola istruzione … compra compra compra. Bauman, autore di “Consumo
dunque sono”, lo ha definito homo consumens. Questo nel caso in cui abbia le
risorse per farlo, altrimenti si trasforma nel suo alter ego difettoso, l’homo
sacer, l’escluso dal rito dell’acquisto compulsivo. In ogni caso è – per dirla
con Marcuse - un “one dimensional man”, avendo questa sua maschera preso il
sopravvento su tutte le altre possibili da interpretare.
Se si volesse, come d’abitudine, ergere una precisa coordinata storica a simbolo
dell’intero processo, questa non può che essere l’ormai demistificato ’68, non
in quanto relativa data d’inizio ma quale unico fallito tentativo di opposizione
alla deriva etica collettiva. Destinatario di una sorta di revisionismo
all’incontrario – frutto dell’ordinaria ricostruzione degli eventi come prodotto
della narrazione dei vincenti -, il fenomeno è stato ridimensionato alla luce
del suo fallimento. Eppure, nel ventaglio delle rivoluzioni di gattopardesca
definizione – “occorre cambiare tutto affinché nulla cambi” – il ’68 emerge in
tutta la sua genuinità, in quanto autentica spinta dal basso per sostituire allo
status quo, la società borghese, una concezione di società alternativa. Deleuze
ne ha parlato in termini di “irruzione della realtà nella storia”, ovvero di un
genuino convincimento del popolo di cambiare in meglio il mondo … evento più
unico che raro. Un sunto delle dinamiche storiche che hanno partorito questo
abominio di società è il seguente: la seconda rivoluzione industriale, grazie
alla produzione di beni in larga scala consentita dalle innovazioni
tecnologiche, ha dato inizio alla società di massa. Le due guerre hanno
temporaneamente interrotto quel processo di omogeneizzazione di gusti ed
aspirazioni, che negli anni ‘50 è ripartito a vele spiegate. Trascorsa poi la
parentesi della Contestazione, negli edonistici anni’80 ha ripreso
quell’abbrivio che ha condotto all’attuale società di “diseredati” … di quei
valori fondanti la società dei nostri avi. La civiltà contadina, portatrice di
quei valori che da sempre hanno garantito la coesione della collettività – che
chi, come me, ha vissuto in provincia, ha potuto constatare essere il
piedistallo su cui si ergeva la statura morale dei nostri padri -, è stata
spazzata via dalla sete di arrivismo di una nuova classe di squali che – siano
stramaledetti – hanno forgiato una non-società in cui l’individualismo sfrenato
la fa da padrone. Il ’68 e gli anni ’70 hanno appunto rappresentato il tentativo
di vomitare il fiele che si stava insinuando nelle menti dei nostri padri,
convinti della bontà della promessa di essere trasformati tutti – con l’unica
differenza della relativa statura - in piccolo medio alto borghesi. Tra gli
infiniti mondi illusori in cui vivere, abbiamo dunque scelto questo, facendo di
ogni cosa un prodotto, noi stessi compresi.
Se si volesse, sgombrando il campo dai preconcetti, valutare la bontà o meno di
tale trasformazione, è d’uopo compiere quello che per ogni ricerca intellettuale
rappresenta il primo imprescindibile passo: consultare il vocabolario. Alla voce
“consumare” troviamo: dissipare divorare esaurire ingurgitare usurare limare
ecc. … che è esattamente ciò che quotidianamente tutti noi, più o meno
consapevolmente, facciamo. In un pianeta che è un perfetto sistema chiuso,
offrendo risorse per poi autorigenerarsi, abbiamo deciso di vivere, così, contro
natura … praticamente come i virus. E allora fare l’amore oggi è consumare un
rapporto sessuale, come pure si consumano (anziché, con un processo di senso
contrario, “coltivare”) i rapporti interpersonali sui social, nei quali i più
propongono una versione di sé capace di guadagnare like e condivisioni che, come
i voti in politica, si chiedono, si scambiano o … ahimè, si comprano. Dunque
esiste ben poco al di fuori della logica del redde rationem, del do ut des.
Ognuno è l’imprenditore di se stesso e la società, il mondo, è il posto da
depredare per soddisfare il proprio sfrenato egotismo.
Acclarato che l’evoluzione non controllata del modello capitalistico ha prodotto
l’involuzione della società, è giunto il momento di formulare la domanda
retorica: a chi spettava il compito – e la pedissequa responsabilità - di
preservare la società dall’assalto degli officianti di quella che PPP definiva
la “religione del nostro tempo”? La politica, ovvio! Come altrettanto ovvio è
registrarne il relativo fallimento. Che, ad esser precisi, ha assunto svariati
contorni. È mia personale opinione, ad esempio, che la discesa a capofitto si
sia accelerata negli anni’80 anche a causa di una cultura politica impoveritasi
in seguito alla deliberata rinuncia al ruolo dell’intellettuale, sino ad allora
cardine nei partiti, in particolare in quella sinistra che della
“intellighenzia” aveva fatto la principale attrazione. Senza la sua capacità di
individuare lo “zeitgeist” (spirito del tempo), e dunque di avvertire le
tendenze positive da preservare, la politica si è privata della possibilità di
comprendere in anticipo le dinamiche sociali, abdicando di fatto al suo scopo
istituzionale: definire il modello di società da edificare per le generazioni a
venire. Oggi registriamo i risultati di tanta miopia. L’uomo forte di una
sinistra che esprime un liberismo da destra conservatrice ci ha sedotti al grido
di “rottamare”. Un urlo, che sembrava diretto solo nei confronti della pratica
italiota di fare della politica una professione, si è rivelata una generale
invettiva verso un passato di cui ci si vuole sbarazzare. Si fa leva su alcune
negatività per buttare, come si suol dire, l’acqua sporca compreso il bambino. E
infatti si rivolge al ‘900 con lo stesso spirito critico che anima chiunque
riveda le foto dell’album dei ricordi, cogliendone il lato ridicolo … ma come
eravamo vestiti … e che taglio di capelli! Magari si riuscisse a coglierlo nella
contemporaneità! … dote appunto degli intellettuali. Potremmo intuire quanto
saranno ridicoli gli anni “doppio zero” agli occhi dei nostri posteri. Non so
voi, ma io nutro un’opposta consapevolezza riguardo alla seria difficoltà di
individuare qualche contemporaneo in possesso di una statura umana e culturale
la cui elevatezza sia lontanamente comparabile a quella che ha contraddistinto
alcuni grandi uomini del secolo passato. Quale contemporaneo si consegnerà alla
storia? Siamo di fronte ad una politica che ha rinunciato a governare, che ha
abiurato il passato perché, in fondo, non gli interessa il futuro. Perché?
Perché questa società ci invita a mettere in campo soluzioni e risposte per
soddisfare le nostre personali esigenze, quelle di un presente che è l’unica
dimensione temporale che si offre al consumo immediato … i nostri figli si
arrangiassero! Consuma consuma consuma. E se non ci si preoccupa di partorire
una valida visione della società futura, beh, allora si rinuncia a fare la
storia. In fondo, le opposte ideologie di cui oggi si narra il tramonto non
rappresentano altro che il differente atteggiarsi verso le due dimensioni
temporali entro cui è costretto il presente. La Destra ha identificato da sempre
le forze reazionarie, impegnate nel mantenimento dello status quo; al contrario
la Sinistra, lontana dall’adorazione acritica del passato, anela a più o meno
profonde riforme per modellare un diverso futuro della società. Dunque la
rispettiva visione prospettica del futuro è differente nella misura in cui
ciascuna è proiezione di una differente visione del passato. Proprio in questo
consiste la novità degli ultimi governi: il rifiuto di governare, di condurre il
Paese ad una precisa visione della società … ponendosi fuori dalla storia.
E allora, come definire questa razza di uomini che sta lasciando il mondo in
balìa dei poteri economici? Tutti potenzialmente affetti dai disturbi del cd.
fregolismo, quella sindrome che fa percepire gli altri individui come fossero
tutti uguali, con volto e voce uguali. E già, perché in fondo tutti abbiamo
l’aspirazione di vivere secondo i canoni del modello occidentale: pensare
americano, mangiare cinese, vestire italiano, parlare inglese ecc. Per
comprendere quanto potente sia la spinta all’omologazione, basti considerare i
pericoli che sono disposti a correre i migranti pur di raggiungere questo stile
di vita. Nemmeno uno su dieci viene per fuggire da situazioni di effettivo
pericolo, questo è assodato. In ciò consiste il falso problema
dell’integrazione: non esiste alcuna società a cui integrarsi poiché non vi sono
valori positivi verso cui mostrare adesione. Non è la cultura occidentale ad
attrarli … tutt’altro. Sono anzi a tal punto calamitati dal nostro stile di vita
– che si identifica con le cose/servizi di cui amiamo circondarci, e che viene
propagandato nei loro Paesi dai trafficanti, che descrivono loro l’Occidente
come il Bengodi - che sono disposti a tollerare quella cultura a loro aliena,
che mai condivideranno. Dunque siamo i primi contemporanei della storia a vivere
tale dimensione in maniera aberrante, appiattiti in un eterno presente, vivendo
il proprio tempo in maniera passiva, vittime di esso. Fatti a Sua immagine, in
quanto sapiens sapiens dovremmo essere homo-logos … “in principio era il Logos`
… oggi invece siamo diventati “homo-logo”, tutti uguali e disposti a fare di noi
stessi il brand da collocare sul mercato. Il noto sociologo Fabri Fibra,
evidenziando il lato spettacolare di cui è oggi intriso ogni aspetto della
nostra esistenza, soprattutto virtuale, ci definisce “fenomeni”. Viviamo il
presente come se non esistesse null’altro. Ma appartenere al proprio tempo con
una totale adesione è circostanza aliena al concetto di contemporaneità. Un
tale, Giorgio Agamben, in un recente libello intitolato “Cos’e il
contemporaneo”, spiega appunto che «é davvero contemporaneo chi non coincide
perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo
senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo,
egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo». E infatti,
ribaltando la visuale, può essere più contemporaneo un intellettuale del passato
che sia riuscito a cogliere meglio di noi moderni le Verità del nostro tempo …
PPP, nell’esempio già evidenziato. I cd. Classici – che studiamo, appunto, in
classe – sono quegli uomini, dalle rarissime doti intellettive, la cui opera si
colloca al di fuori del tempo, è universale, ponendosi perciò sempre come
contemporanei.
In fondo, gira e rigira, dedico di tanto in tanto parte del mio tempo a
collezionare una bottiglia dietro l’altra, infilando in ciascuna il medesimo
messaggio. Le consegno all’oceano del Web, ai potenziali destinatari che
utilizzano la Rete come pescatori anziché rimanervi imbrigliati quali prede
altrui. In definitiva, sto ribadendo le considerazioni espresse da ultimo,
riguardo al nostro punto di vista sul mondo in cui viviamo, che oscilla
continuamente tra realtà e finzione nella misura in cui consiste in una
personale narrazione costruita sulla base delle narrazioni altrui. L’homo-logo è
l’uomo medio, che ingrossa le fila di quella maggioranza di pigri mentali che si
uniformano ad una visione del mondo servita dai principali canali di
informazione come menù del giorno, uguale per tutti. L’affermazione di uomini
liberi – il Vangelo di Giovanni insegna - passa dunque dalla
conoscenza/consapevolezza. Diventa vitale dunque esercitare la critica, quale
attività di individuazione consapevole dei limiti entro cui è costretta la
nostra esistenza. Al di fuori di questo ambito, si è nella prigione del “credo”,
sia esso religioso o meno. Quale magnifico strumento di controllo, grazie al
quale al Potere non occorre mettere in campo alcuna forza di oppressione: contro
questa si architetterebbe comunque una resistenza, invece nell’altro caso ci si
consegna volontariamente al proprio carceriere.
Tutti i clic che ti hanno condotto a queste precise parole spero ti servano a
comprendere, nel caso non ci fossi già riuscito, che è questa quella libertà che
nessuna canzone avrà abbastanza parole da musicare. Un’app o un navigatore
satellitare potranno fornirci le coordinate spaziali del posto in cui ci
troviamo, ma è solo il nostro intelletto a poterci aiutare a comprendere il
posto in cui viviamo e ad avere una voce ed un volto differente da tutti quelli
che galleggiano supinamente in quel mare indistinto che chiamiamo “modernità”.