17/1/2017 ● Cultura
Quanto dell’umano resta al tempo dei cyborg
Il titolo, probabilmente di scarsa attrattiva nei confronti dei potenziali lettori di questo articolo, l’ho scelto poiché , sono convinto ,rifletta l’attuale significativo spostamento della nostra coscienza dalla sensibile materialità del reale di cui è impregnata la nostra quotidianità e con cui interagiamo, verso l’altrettanto sussistente impatto della realtà virtuale sulle nostre vite. Una dicotomia, quella tra reale e virtuale , che oggi nella nostra epoca informatica di massa è passata dalla forte, asimmetrica ,irrilevanza dell’epoca preinformatica ( solo qualche decennio fa ) al veloce , ma oramai inarrestabile slittamento di una parte sempre più significativa del nostro tempo vita nell’accattivante dominio del virtuale, a scapito , per sottrazione, dell’ interazione attiva del corpo sul nostro intorno concreto, quello a portata di mano , a portata di voce , a portata d’orecchio , a con-tatto con le persone, con le cose ; più semplicemente a portata della nostra percezione sensoriale immediata. Ciò spiega l’irrigidente stallo dell’umano ,così declinato dal Devoto-Oli :”umano , proprio dell’uomo dal punto di vista biologico ( il corpo umano, il genere umano”, insidiato dall’ l’implementazione del cyborg “ ovvero di “tutto ciò che l’uomo attraverso la cultura e l’ambiente intelligente ha costruito “ ; l’inciso è desunto da” la mente estesa “di M. Di Francesco , Giulia Piredda; e, anche tu ,lettore, poiché stai utilizzando un supporto informatico sei un Cyborg (avresti la stessa connotazione , solo più debole, anche qualora tu utilizzassi carta e penna per lasciare appuntato , a poca distanza dal tuo cervello, su un foglio un tuo pensiero , il far di conto !) A, seguito del recente sbalorditivo sviluppo della scienza e della tecnica ,tra la persona umana e la sua naturale espressione nell’ambiente lavorativo, ricreativo, familiare … di tutti i giorni , si è interposto il variegato mondo delle cose artificiali, “intelligenze inerti “e ,spesso sempre più, anche mobili , create dall’uomo di cui in tanti facciamo un largo, indispensabile, impiego quotidiano secondo un grado di complessità sia strutturale che funzionale che segue l’evoluzione storica dell’”innaturale” ambiente artificiale in cui viviamo : dal meccanico, all’elettrico , passando all’elettronico , tant’è che oggi il grado di benessere di una famiglia non si misura solo con il Pil ( classico , ma oramai quasi superato , indice economico) bensì anche con la quantità di elettricità consumata (non è pensabile che un clochard , benché racimoli qualche soldo in elemosine e quindi possa essere associato al circuito cittadino più basso della miseria sociale possa essere anche consumatore di energia elettrica!) . Oggi , partecipi coevi della nostra cultura ,utilizziamo correntemente i suoi strumenti come fossero delle protesi bioniche ; opportuni ed oramai indispensabili prolungamenti dei nostri sensi sull’ambiente ,che possiamo liberamente espandere in vastità, quanto desideriamo e vogliamo , puntando dalla nostra piattaforma fissa o mobile personale , diramando informazioni ( e, ricevendole) dal nostro villaggio locale al villaggio globale del mondo interconnesso .Penso al telefono, al videotelefono, , alla Televisione , al telefonino, allo smartphon al computer :” strumenti e macchine intelligenti ” che oggi riteniamo indispensabili per rendere più confortevole la nostra vita . Tuttavia sia per lo spazio a disposizione sia per la complessità dell’argomento non intendo soffermarmi sulla variegata strumentazione elettronica interattiva : un armamentario elettro-elettronico di dispositivi di rete che oramai per la loro diffusione su larga scala possono dirsi “domestici “ (in questi giorni ricorre il primo collegamento internet in Italia datato un trentennio fa ) il cui impatto, in termini di controllo socioculturale, sugli utenti meno avvertiti, complice talvolta l’anonimato o la sostituzione di identità , può avere effetti individuali e sociali imprevedibili . Pertanto, avendo io acquisito in modo tardivo ( per una semplice datazione biografica ) l’ambiente digitale , sono maggiormente ancorato alla concreta materialità delle cose; diffido da innovazioni fascinose ed accattivanti che materialmente hanno la finalità di mantenere l’utenza attivamente incollata di fronte ad uno schermo, rubandogli quote sempre maggiori del suo tempo- vita . A volte, con un eufemismo chiamiamo lavoro , il tempo passato a smanettare sul computer, mentre sappiamo che è solo intrattenimento , ( così tanto per ammazzare il tempo ,prima che il tempo ammazzi noi );” lavoriamo” per giustificarci ( ed assolverci) dalla evidente temporanea perdita del contatto con il reale intorno . Pertanto , anche , per via delle problematiche complesse poste dalla virtualità più spinta , mi occuperò brevemente dei media che dovrebbe riuscire più facile tenere sotto controllo ,facendo un ‘intelligente zapping per la tv o la radio ,ma anche per le arti oggi, purtroppo in declino , come il cinema e il teatro ( l’opzionalità vale anche per la scelta dei film in proiezione nei cinema o delle rappresentazioni teatrali in cartello ) e, dalla scelta fatta trarne spesso anche un soddisfacente arricchimento culturale , nonché talvolta un tonificante gradimento estetico. Perché è più facile tenere sotto controllo i contenuti della radio,della televisione, del cinema? Per la semplice ragione che essendo medium unidirezionali, ovvero prevedendo solo la ricezione da parte dell’utente è più facile difendersi dalla loro pervasiva intromissione nelle nostre vite , evitandole .In particolare mi riferisco alla popperiana “cattiva maestra” che è diventata la tivù, quindi intervenendo sul medium , selezionando i contenuti , che possono essere sia formativi che disinformativi e possono riflettere pertanto il segno positivo o negativo della loro influenza , poiché spesso in modo distratto ne subiamo il loro condizionamento ignorando che” il mezzo è anche il messaggio” ( Marshall Mac Luhan,). Un messaggio, spesso subliminare , che non dobbiamo dimenticare , è sempre un prodotto economico progettato e confezionato ad arte per orientare o riorientare i nostri bisogni ,i nostri desideri , per ammaestrarli. Se sposassi in toto l’atteggiamento radicale adottato da quel godibilissimo attore che è stato Graucho Marx rispetto alla televisione : “quando qualcuno ,accende la tivù io cambio stanza e mi metto a leggere un libro” ( al tempo in cui espresse tale astiosa resistenza al mezzo , il televisore stava, con invadenza ,surrogando il cinema ed era avversato soprattutto dalla casta Hollywoodiana , poiché sottraeva folle di spettatori appena conquistati dalla settima arte : la cinematografia , riportando gli spettatori sociali dalle sale di proiezione all’interno delle loro mura private domestiche)) potrei passare per un inveterato nostalgico dei tempi andati , allorché il controllo ambientale era “ a vista”, trascurando quanto oggi la nostra mente sia estesa nell’ambiente a noi vicino e lontano da una molteplicità ( ridondante) di protesi digitali : macchine intelligenti con cui più volte interagiamo nell’arco della giornata e perfino di notte , sulle cui circuiterie depositiamo pensieri,idee, appuntamenti, frammenti delle nostre vite ed importiamo con altrettanta “nonchalance” frammenti delle vite degli altri, non tenendo conto del fatto che le memorie esterne su cui archiviamo poco o tanto delle nostre idee , concetti … non appartengono più solo al chiuso del nostro cervello ( sotto il controllo della nostra volontà) bensì sono alla eventuale mercé di una loro incontrollabile ed incontrollata moltiplicazione ( o delezione ) e talvolta, perfino della loro artata manipolazione per finalità che a noi possono sfuggire , ma che, com’è nella natura umana, possono essere sia volte a fin di bene , come anche essere utilizzate per finalità malvagie . Riprendendo una considerazione già accennata prima circa l’utilizzo , spesso disinvolto, dei nuovi media , insisto su questo tema perché sono preoccupato per me che non essendo un “nativo digitale” secondo l’accezione di Giuseppe Riva ( 2014) ritengo di poter ancora rintuzzare l’invadenza dei media più penetranti e che maggiormente interferiscono sulla mente delle persone ,spesso condizionandole .Soprattutto, oggi m’ importa arginare l’incipiente sostituzione della vita reale con quella virtuale : una lenta ,ma inesorabile transizione quotidiana sapientemente impacchettata nei format che strutturano i palinsesti di ogni programmazione mediale dai super pagati gestori delle reti , opportunamente distillata per fasce orarie nei loro programmi, che al di là delle, spesso mendaci, dichiarazione d’intenti, sempre benefiche e tonificanti per il fisico e per la mente , tuttavia non riescono a occultare interamente la loro vera natura che ne pervade i contenuti , quali che siano, ridotti , complice una sottile persuasione occulta o ricondotti a pubblicità che è ” l’anima del commercio “ ed è la pubblicità , correntemente una delle direttrici dell’economia che portano al denaro, cui i dirigenti delle reti , a quello si , sono sicuramente interessati , pena la perdita dei privilegi, qualora diminuisse l’audience dei loro format presso gli utenti .Enucleando dai mezzi di comunicazione potenzialmente passivizzanti prima citati il cinema che proprio in ragione della sua specificità di linguaggio , meno degli altri si presta ad integralismi o coartazioni poiché , soprattutto quello indipendente è maggiormente attento ai contenuti, alla specificità del messaggio, alla visione critica delle tematiche trattate , aspetti che comunque direttamente o indirettamente veicola .E, per far ciò, ripensando a quanto il cinema abbia influito sulla mia visione del mondo, correggendola , talvolta per induzione , rimodellandola , ( poiché un film è pur sempre un “non luogo” delle idealità in cui , attraverso le maschere degli attori vengono ricostruite frammenti di realtà, al fine di trarne un senso ) recupero dalla mia memoria qualche rapido flasch-back ( per stare al linguaggio filmico) per delineare qualche traccia di alterità rispetto a quella che sia ieri che oggi continua ad essere la filmografia commerciale dominante . Recupero alcune pellicole del cinema “ formativo e di critica” che le persone più avvertite si aspettava (in tempi in cui le idealità avrebbero voluto avere un peso nel prefigurare il futuro) che i registi , concordi i produttori. realizzassero. Parto dai primi due film visti nei cinema d’Essai; e, proprio perché è un film a me assai caro , mi piace ricordare Eraserhead “ la mente che cancella”: un lungometraggio del 1977 ; scritto e diretto da David Lynch ( cui fece seguito il più famoso Elephant man ), film cult , girato in bianco e nero in cui già il sottotitolo ( e la sua proiezione a mezzanotte in punto) : un sogno oscuro e inquietante” rimandava al suo contenuto underground , denso di avvenimenti esistenziali forti, destinati ad avere un ‘indiscutibile valenza critica sulla condizione umana dell’esistere, nella mente dello spettatore .Un ‘altro film , che mi piace richiamare alla memoria , ancora in bianco e nero (appena restaurato) è “ Nel corso del tempo” di Wim Wenders - Un film che conclude la sua trilogia della strada ( e, come qui , non dar conto di altro film della trilogia :“Falso movimento”!) , in cui si snoda un’ambientazione americana pensando , però, in modo trasposto , alla nostra Europa . Un film che ha per tema il viaggio attraverso lo scorrere delle vite dei protagonisti. Infine, un film piuttosto recente (del 2013 ) Philomena diretto e coprodotto da Stephen Frears , tratto dal romanzo di Martin Sixmith, pubblicato da Ed. Piemme , con lo stesso titolo , magistralmente interpretato da Judi Deuch. Una biografia , quella filmata, tormentata e violata che apre uno squarcio e sollecita meditate riflessioni su istituzioni che , a prescindere ,dovrebbero escludere il male . Quello ,ricordato è un percorso , non so quanto virtuoso , che prevede una scelta da parte dello spettatore , poiché lo impegna personalmente : paga un biglietto per la visione, si sposta fisicamente in uno spazio che favorisce una motivata disponibilità alla ricezione , scegliendo di non essere scelto in quanto utente ( come avviene invece con la televisione, quando a campione si viene contati , per la stima dello share), ma facendo valere un proprio filo rosso nel seguire un percorso filmico tra i tanti possibili . Ci si chiederà , a questo punto , quanto c’entri l’essere cyborg con la citazione di una molto parziale serie di film. Sono i film , quelli citati, che oggi, ripensando a ieri, potrei definire dell ” Apettando Godot” : frammenti della vita scritta o riscritta da altri , impresse su una pellicola . Opere d’arte , molto , ma molto vicine al reale per l’attendibile qualità della ricostruzione degli ambienti , dei dialoghi , dei monologhi, della complementare partecipe complicità della musica , per gli storicizzanti flasch-back… Materiale filmico che pur essendo fissato su supporti inanimati , quindi cose , paradossalmente quando si animano hanno una vita propria , fin dalla loro creazione ; e, in quanto depositari di accadimenti sia pure virtuali , continuano a vivere nella memoria dello spettatore o di coloro , che ,rivisitandoli in tempi diversi, vorranno rivivere le stesse suggestioni scorrendo quell’ora e passa di finzione filmica . Che nei film si tratti di vite importanti, di vite di scarto, di vite insipide … , non è sempre di primaria importanza . E’ la verosomiglianza con la realtà che invece ci intriga ; talvolta , i film ci sembrano , al di là delle maschere degli attori , delle attrici , sia per gli argomenti che trattano sia per gli scorci situazioni di cui sono intessuti, realizzazioni talmente umane , tanto umane da somigliare talvolta alle nostre, facendoci dimenticare il cyborg che anche il cinema in quanto medium supporta. Dopotutto l’ambientazione filmica è un metambiente realizzato da umani versus altri umani . E’ in fondo la recitazione di una parte della nostra vita che avremmo voluto, che ancora, vorremmo vivere , che poiché , accade ad altri da noi, sullo schermo, con disgusto e riprovazione rifiutiamo ed è per ciò che il film è anche terapeutico e catartico.