3/11/2016 ● Cultura
Come mosche... [2]
L’altra volta ho fatto notare come la psicanalisi, la filosofia idealista e
la fisica quantistica concordino tutte nel suggerire l’ineffabilità, oltre che
del trascendente, anche di ciò che chiamiamo realtà che, in fondo, è a tal punto
illusoria da rendere assolutamente pretenzioso l’appellativo che ci siamo
attribuiti come specie: sapiens sapiens ... ma de che? La fisica quantistica si
spinge oltre, arrivando a sbalorditive conclusioni circa la nostra coscienza:
più che meri osservatori passivi della realtà materiale saremmo artefici della
stessa, potendo interagirvi al di là dei vincoli spaziali o temporali: il bosone
esiste se c’è un osservatore. Ma in attesa di una dimostrazione matematica
attestante il nostro status di divinità, credo sia la letteratura ad aver
fornito un quadro maggiormente suggestivo della realtà, e in particolare l’opera
di Pirandello. Analogamente alla divinità, egli identifica l’uomo quale uno e
trino. D’altronde l’etimo di persona deriva dall’etrusco “maschera”: dunque
interpretiamo più ruoli. Ciascuno di noi vive una triplice dimensione,
relativamente alla visione che si ha di se stessi, a quella che gli altri hanno
di noi e a come crediamo di essere visti dagli altri: siamo UNO nel primo caso,
CENTOMILA nel secondo e, ahimè, NESSUNO nel momento in cui ci si rende conto che
chi crediamo di essere, ovvero la maschera a cui attribuiamo quelle fattezze con
cui ci piacerebbe essere visti dagli altri, non è mai identica all’immagine che
gli altri si fanno di noi. È, quest’ultima, una sensazione che ciascun individuo
ben conosce. Questa rincorsa affannosa verso la costruzione di una “reputazione”
assume poi una dimensione amplificata nell’era dei social: saliti sul
palcoscenico, esterniamo opinioni su tutto per comunicare “questo sono io”,
nella speranza che corrisponda al “sono come tu mi vuoi”.
Insomma, se il mondo è illusione, tutti noi pratichiamo l’illusionismo.
Ma questa è solo l’ampia cornice entro cui si colloca il problema che intendevo
porre, che è di carattere ben più pratico, riguardando la quotidianità del
nostro vissuto: ognuno compone un personale quadro della realtà attingendo a
varie fonti di informazioni.
Occorre al riguardo premettere che stiamo vivendo un’epoca particolare. Il
progresso tecnologico non segue un andamento lineare come quello culturale, ma
esponenziale. A tal proposito c’e chi ha coniato la definizione di “legge dei
ritorni acceleranti”: nell'ambito dell'evoluzione tecnologica ogni nuovo
progresso rende possibili diversi progressi di livello più elevato anziché uno
singolo e, coerentemente a ciò, ogni anno un maggior numero di invenzioni e
scoperte utili vengono effettuate rispetto all'anno precedente (si è anche
elaborata la teoria della singolarità tecnologica, una sorta di punto di non
ritorno nello sviluppo della civiltà, coincidente col momento in cui il
progresso tecnologico accelererà oltre qualsiasi capacità di comprensione degli
esseri umani). Vabbè, congetture a parte, sta di fatto che la realtà in cui
siamo immersi diventa sempre più incomprensibile.
E alla scarsa comprensibilità si associa la nostra impotenza ad interagire con
la realtà. L’attualità evidenzia come la politica - dunque il popolo - sia stata
esautorata da ogni responsabilità dacché le decisioni si adottano in altra sede,
ovvero nella sfera economico-finanziaria. Ogni decisione motivata con un “ce lo
dice l’Europa” va a scalfire la sovranità popolare, dunque la nostra capacità di
incidere nella storia. E, paradosso nel paradosso, le uniche volte che si
utilizza uno strumento di democrazia diretta quale il referendum, sarebbe a
volte il caso di non ricorrervi. Si è visto con la Brexit, col nucleare, le
trivellazioni ... fra poco con il prossimo referendum, che in futuro potrà
magari avere ad oggetto decisioni sulle staminali o gli OGM. Al popolo si chiede
di effettuare scelte dalle importanti conseguenze pur non avendo le conoscenze
necessarie affinché questa sia pienamente consapevole, cosicché le opinioni
degli individui non potranno che basarsi sulla pura suggestione, indotta xlo+
dai partiti in virtù di indicazioni suggerite per mero opportunismo politico.
Sul referendum imminente, ad esempio, osservo sui social una generalizzata
adesione al no. Da laureato in giurisprudenza, quindi (teoricamente) in possesso
degli strumenti culturali specifici per giungere ad un’opinione ponderata, credo
di poter escludere che la maggioranza degli italiani sia in grado di scegliere
in piena consapevolezza ... a meno di voler sacrificare un po’ di tempo, merce
rara per noi moderni, allo studio specifico della problematica. Non so voi che
opinioni abbiate maturato di fronte, ad esempio, riguardo al nucleare. In TV
ascoltai due esperti in materia che esprimevano tesi contrapposte e ... boh, a
me pareva avessero entrambi ragione.
Ed è soprattutto in tema di fonti di informazione che stiamo vivendo un’epoca
particolare.
Alla fine del secolo scorso siamo diventati la “società dell’informazione”: resa
immateriale ed automatizzata, essa non è più ostacolata da spazio e tempo nella
trasmissione, dunque prolifera a dismisura. Se la realtà è dunque narrazione, i
narratori e le storie si sono moltiplicate fino all’inverosimile. Navigando sul
web ciascuno di noi si imbatte in sirene di varia natura che tentano di sedurci
col loro canto.
Finora scienza e tecnica ci hanno resi api e formiche: riguardo al sapere, in
ossequio al cd. “riduzionismo”, ci è stata richiesta la specializzazione in
singole branche del sapere; a sua volta il capitalismo, sull’assunto che il
progresso nel lavoro si attua mediante la specializzazione delle mansioni, ci ha
consegnati alla catena di montaggio (il cd. modello fordista). Oggi, tuttavia, è
in atto una radicale trasformazione: una mole spropositata di informazioni si
offre a chi voglia, mediante conoscenze/competenze trasversali, giungere ad una
visione d’insieme della realtà. Insomma, “Dio è morto”, ma all’uomo si
spalancano opportunità mai conosciute prima ... una nuova era, in cui il nostro
sapere – e, di riflesso, la nostra visione del mondo – sarà oggetto di un cambio
di paradigma. E la vera peculiarità, si badi bene, riguarda il carattere
universale di questo cambiamento, poiché la trasversalità non è la classica
novità introdotta da un’avanguardia culturale ma, provenendo dal basso,
costituirà una vera e propria evoluzione. Invece, in tema di capitale e lavoro,
per l’attualità qualcuno ha coniato la locuzione “economia della conoscenza”:
dopo che l’algoritmo avrà fatto piazza pulita del lavoro manuale, non potremo
che essere “knowledge worker”, cioè le nostre mansioni prevederanno un
prevalente utilizzo dell’intelletto.
Ricapitolando, Gesù ci invita alla Conoscenza, e così Freud (quale necessario
presupposto per la guarigione), Marx (la coscienza di classe quale presupposto
per la conquista e l’esercizio del Potere da parte del proletariato), il bosone,
l’economia ... beh, a dire il vero quest’ultima palesa due contrapposte esigenze
a seconda dei ruoli sociali che ricopriamo: se dal lavoratore oggi pretende
conoscenza, il cittadino lo gradisce “disinformato”. Nonostante questi abbia a
disposizione un mare di informazioni e possieda una o più imbarcazioni per
esplorarlo in lungo e in largo lo si vorrebbe, turista da crociera, affrontare
itinerari sicuri suggeriti da una fantomatica agenzia viaggi. Pardon, ma la
metafora è d’obbligo se si considera la navigabilità della Rete e l’Ulisse
dantesco, navigatore per seguir la conoscenza, prototipo dell’uomo moderno che
fa della sua conquista lo scopo dell’esistenza.
Tornando alla questione principale, come percepiamo i principali eventi
dell’attualità - terrorismo, immigrazione ecc. - sulla base di quanto narratoci?
Come già anticipato, per vagliare la veridicità della versione fornitaci dai
mezzi di informazione occorre “indagare”. L’etimo della parola, che deriva dal
solito latino, la dice lunga: dare la caccia. E sì, ché le versioni cd.
ufficiali sono un’autentica giungla entro cui muoversi col machete e,
liberandosi degli intralci, poter braccare il dato reale. Abbiamo, a tal
proposito, un’arma efficacissima per cacciare la preda, ovvero l’intelligenza
(alludo a quella speculativa, assumendo l’intelligenza molteplici forme). Anche
in questo caso l’etimo viene in soccorso: leggere dentro o saper scegliere ...
cioè discernere, saper valutare, in questo caso se quel che ci viene narrato è
verosimile, attendibile (la celebre invettiva di PPP, “io so”, è al riguardo
eloquente). Dunque, come fanno i veri giornalisti, occorre individuare le giuste
domande da porsi.
Poco più che adolescente lessi un libro che in USA è stato un cult per la
generazione del dopoguerra - e, inoltre, l’unico classico che le scuole USA
prevedono nel programma - ma lo trovai tutto sommato deludente: “Il giovane
Holden”. Un romanzo formativo, mi si diceva, ma in questo ragazzo - che, espulso
dal college, decide di trascorrere tre giorni in giro per la Grande Mela prima
di far ritorno a casa - non intravedevo particolari qualità. Fu solo in età
matura che compresi quale fosse la dote di Holden. Al riguardo vi sono due
passaggi importanti, sebbene all’apparenza insignificanti. A Central Park chiede
al custode dove andassero le anatre d’inverno, quando il laghetto è ghiacciato;
in seguito, alla domanda della sorellina su cosa gli piacerebbe fare da grande,
le risponde: "quello che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che
cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale". Premesso che dal
romanzo si evince una visione negativa del mondo adulto, dal protagonista
giudicato “ipocrita”, nei due frangenti il ragazzo dà sfoggio della sua
particolare attitudine alla vita. La sua dote è non fermarsi a contemplare la
superficie della realtà, ma coglierne le più intime sfumature, scavare alla
ricerca di quel che si cela dietro l’apparenza, itinerare il pensiero al di
fuori delle strade già battute, avventurarsi in territori che dimorano oltre le
convenzioni e le regole.
Nel nostro mondo così omologato, in cui crediamo a tutto ciò che proviene
dall’alto, Holden resta un personaggio da emulare nonostante la sua non più
giovane età ... e provo ad immaginare cosa si chiederebbe assistendo ad un TG
che parla di terrorismo o immigrazione. Oppure, volendo ricorrere ad una figura
più familiare, pensiamo alle domande che si farebbe il protagonista di un
qualsiasi altro poliziesco che intendesse vagliare la veridicità delle versioni
forniteci dal mondo dell’informazione ... e ne riparliamo.