31/10/2016 ● Cultura
"Funere Mersit Acerbo": la nuova democrazia guglionesana dei luoghi di rito...
[FUNERE MERSIT ACERBO: la nuova democrazia guglionesana dei luoghi di rito che accompagnano i defunti]
Non si è mai pronti, per morire ( e non aiutano molto i fuorvianti eufemismi
dell’ ” è venuto a mancare”…” è tornato alla casa del Padre…” ecc.) ciò,
nonostante la confortante preparazione avvolgente , mitigante , accompagnatrice
, che spesso si snoda lungo tutta una vita, con cui la religione sacralizza
l’accadimento (qui il sacro, al fine di individuare ed imparare a riconoscere i
luoghi che lo caratterizzano , viene dato nel senso inteso da Mircea Eliade,
ovvero come quell’aura speciale degna di considerazione, rispetto e devozione
circoscritta all’interno e nell’immediato intorno dei luoghi di
culto”consacrati”: ambiti di ieratica sontuosa solennità facilmente
riconoscibili rispetto alla vastità laicizzata dei territori che li accolgono ,
poiché verosimilmente in quei luoghi, l’ovvia materialità delle cose : altari ,
croci lignee , statue, icone … si sacralizzano trascendendo la scontata ,
persistente presenza della stessa materia di cui sono costituite quando altrove
danno forma e sostanza sia ad opere d’arte che ad altri oggetti d’uso comune) .
Siamo soli , di fronte all’unico irreversibile evento certo che in quanto
viventi ci appartiene e ci distingue dagli altri animali per l’esatta coscienza
che abbiamo oggi del suo prodursi a venire nel corpo e nel suo doloroso
esternarsi agli altri , investendo dell’evento la famiglia , le famiglie
allargate del defunto , un paese un territorio e, talvolta perfino ,una nazione
a seconda del “peso “sociale, culturale del defunto ( è vera in parte la
constatazione , di per sé oggettiva, che le morti nella loro ineluttabilità sono
tutte uguali , ma è altrettanto vero che la “morte sociale”di un individuo può
avere tempi di estinzione nella memoria collettiva perfino millenaria . Al fine
di supportare la veridicità dell’assunto si pensi all’assassinio di Cristo : un
crudele fatto di sangue terreno , ben radicato nella nostra memoria di oggi ,
benché dalla crocifissione del Salvatore ad oggi siano trascorsi più di due
millenni . Non solo siamo impreparati nell’affrontare la morte , ma preludendo
la nostra , restiamo smarriti perfino nell’affrontare la morte altrui. Non era
preparato ad accettarla neppure Giosuè Carducci (nel 1906, primo italiano
insignito del Premio Nobel per la letteratura ) colpito dal dolore per la
repentina morte del suo caro “pargoletto” Dante avvenuta a soli tre anni . Non
si rassegnava inel constatare l’ indifferenza della Morte di fronte alla
tenerezza dell’età del figlio e al dispiacere struggente che la stessa gli
avrebbe indotto , tanto da fargli mettere in versi il suo immenso sconforto per
quel corpicino esanime che per lui era diventata una consustanziale parte di sé
, del suo “carnale” futuro , ora destinato a marcire sottoterra, facendo , al
ricordo, di nuovo sciogliere il poeta in un “Pianto antico” : Sei ne la terra
fredda , Sei nella terra negra , Né il sol più ti rallegra , Né ti risveglia
amor . Da un’altra poesia del Carducci , pure in memoria del figlioletto, ho
tratto il titolo dell’articolo ( a sua volta mutuato da Virgilio) a suggello
dell’evidenza del fatto che qualunque morte al di là dell’età del deceduto è
sempre prematura . E, venendo alle nostre consuetudini paesane : è parte della
nostra costruzione sociale locale , quando si ha notizia di una morte annunciata
o di un lutto che si è già consumato , che i parenti, le famiglie parentali
allargate, i compaesani , chiunque, anche del circondario abbia coltivato
rapporti di amicizia ,fosse stato semplicemente un conoscente o fosse stato in
affari con il defunto, con la sua famiglia… colpito dalla morte imminente del
proprio caro , dell’amico, del conoscente , si senta in dovere di fargli visita
, per porgergli un ultimo saluto di conforto , se ancora in vita , per
manifestare personalmente anche ai parenti del morente i’ affetto ,la
considerazione che gli aveva portato in vita . Al fine di meglio inquadrare la
caratterizzazione sociale della morte rispetto ad altri eventi , si può
osservare oggi, come accadeva in passato come le case private familiari
difficilmente si aprivano oltre che ai parenti anche ad altri, conosciuti e
sconosciuti . Non accadeva né in occasione delle nascite, di battesimi e ,
neppure nei matrimoni, pur connotando tali eventi tappe esistenziali importanti
nella vita di un individuo , generalmente altalenanti tra sacro e profano . In
occasione di una morte imminente di un decesso, invece, seguendo un’antica
tradizione , coloro che sono motivati a farlo convengono a casa del morente o
del defunto senza che da parte dei famigliari, con gratitudine accoglienti, vi
sia alcun filtro o invito , spinti da quell’immediato istintivo “sentire”
collettivo di compartecipare il lutto, attivando la forte l’empatia dello stato
d’animo prevalente nel visitatore nei confronti del morente o del defunto e
della sua famiglia di appartenenza . Specie in passato (oggi, per una sorta di
discrezione forse dovuta al prevalente individualismo dominante ,sempre meno,)il
morente si andava a visitarlo in casa per manifestargli con la propria presenza
l’affetto, la riconoscenza, la considerazione per l’esserci stato in quanto
persona a questo mondo , ciascuno secondo le sue capacità ; per avere nel corso
della sua vita almeno un po’ improntato di sé (se non per altro perché il
defunto è stato per un tempo breve o lungo contemporaneo con il visitatore ),
con la sua cultura pratica , teorica o comunicativa … che fosse, la comunità
tutta . Una condizione quella del nostro vissuto con più efficacia esplicitata
dal filosofo F. Savater ”nascendo portiamo nel mondo qualcosa che non c’è mai
stato ,morendo ci portiamo via quello che non ci sarà mai più”
È una variegata composita compagine di persone , oggi sempre più attempata,
quella che spontaneamente si aggrega in occasione delle esequie del defunto ,
che riunendosi in corteo: una cerimonia in passato più e meglio ritualizzata
rispetto ad oggi , dopotutto, quello delle onoranze funebri è un trascorso
,tutto sommato a noi prossimo , quando, a dare maggiore solennità alla cerimonia
precedevano e facevano ala al defunto corone di fiori offerte dai parenti ,
amici … segno , ai più ignoto, di una potenzialità procreatrice oramai conclusa
( i fiori sono gli organi sessuali delle piante superiori, se recisi, non
svolgono più alcuna funzione impollinatrice) ma che vive rigogliosa nelle
freschezza delle generazioni cui probabilmente il defunto ha dato luogo in vita
( l’omaggio floreale ha un’interpretazione similare indiretta anche per i
defunti che non hanno avuto discendenza poiché attraverso il loro altruismo
hanno rinforzato , con eventuali lasciti ereditari , con la semplice cura
parentale di coloro con cui hanno convissuto in linea diretta la discendenza dei
parenti stretti incrementandone il successo sociale ed eventualmente anche
procreativo ). Alla luce di quanto scritto sopra appare pertanto quantomeno
fuorviante la frase che in epigrafe a volte si legge sui manifesti listati a
lutto : “non fiori, ma opere di bene” . Viene da chiedersi: ma quale opera di
bene potrebbe ritenersi di maggior conto rispetto alla procreazione o
all’altruismo familistico dei defunti che non hanno procreato e ,ancor più
,quello disinteressato verso l’Altro, anonimo ? Si può forse dubitare di coloro
che per un tempo più o meno lungo sopravviveranno al defunto non si comportino
in modo similare seguendo o avendo già seguito l’indole biologica di specie a
moltiplicarsi o i canoni dei diritti reali della società di appartenenza o
semplicemente il caritatevole donare disinteressato ? . Nella nostra comunità in
genere Il tempo della veglia e delle esequie del defunto è un tempo sociale
speciale , in particolare lo è per la famiglia che accoglie e vive quel lutto ;
una veglia funebre che oggi è diventata davvero impropria poiché, sempre più
dipendente dagli orari di apertura e chiusura degli obitori degli ospedali:
luoghi delle ultime sofferenze di pazienti terminali , in cui con frequenza
altissima oggi si muore . Pertanto si configura una “veglia” che si limita alle
poche ore diurne che intercorrono tra il decesso e le esequie . Tuttavia,
nonostante ciò oggi la veglia rappresenta ancora un tempo aperto ad una
socialità improntata al conforto per la perdita , alla meditazione sulla morte ,
al ricordo degli episodi di vita salienti del morto . Una sintesi , talvolta,
perfino ricordata durante la messa funebre in cui nell’omelia , la materialità
del vissuto del defunto si coniuga con la trascendenza nella fede che lo ha
supportato in vita nella speranza di una resurrezione che in chi crede verrà.
Dopo l’aspersione e benedizione della salma il corteo, mesto , si instrada
all’uscita della chiesa , per via Roma e , al limitare di Castellara i parenti ,
i convenuti porgono l’ultimo saluto di Paese al defunto , per poi dirigersi
verso la Chiesa dei Cappuccini dove ricevono le condoglianze dei partecipanti
alle esequie . In passato , il corteo funebre con in testa i parenti più
diretti, al dissolversi alla vista degli astanti del carro funebre con il
feretro che lentamente prendeva per la strada delle “ferriere” , con un rapido
dietrofront ,accorato , frettoloso,con andatura svelta, si dirigeva verso
l’abitazione del defunto per ricevere le condoglianze . Durante il percorso ,
quale che fosse la sua lunghezza, un po’ strascicato ,si udiva solo lo
scalpiccio altalenante delle scarpe dei partecipanti sull’asfalto , talvolta
commisto ad un mormorio sommesso , sottovoce . Oggi, come si è accennato prima,
con minor frequenza capita di far visita al defunto in casa , vuoi perché le
morti avvengono sempre più negli ospedali: luoghi dell’ultimo soffrire sempre
più reso anonimo , forzato e specialistico “dall’industria sanitaria , nelle
case di riposo dei paesi del circondario , nell’Hospice e pertanto per questioni
pratiche e organizzative il defunto né viene più vegliato in casa e, neppure
esce più defunto dalla sua abitazione , ad eccezione di qualche caso fortuito .
Pertanto in un lasso di tempo breve ( accadeva correntemente solo qualche
decennio fa, anche qui da noi) è sostanzialmente mutato il paradigma rituale
della morte . Alla maggior parte dei defunti, benvenuta, si applica oggi una
nuova democrazia che avendo accentuato l’esternalità delle esequie pubbliche
riconduce di fatto tutte le morti ad un denominatore comune il cui itinerario di
rito è piuttosto similare . Il corteo funebre, costituito da coloro che lì sono
convenuti per accogliere l’arrivo della salma ,si forma di fronte alla chiesa
del SS. Rosario, procede portandosi verso la Chiesa S. Maria Maggiore : la
chiesa in cui prevalentemente viene officiata la messa funebre, per poi
ripercorrere, a scendere, la stessa strada, dirigendosi appena la salma si è
instradata per il cimitero per le condoglianze presso la Chiesa dei Cappuccini .
Perché , parlando del rito sociale dei defunti , mi riferisco ad una nuova
democrazia , rispetto alla ritualità del passato che vedeva la maggior parte dei
decessi ( come le nascite) avvenire in casa; allora si aveva esperienza di un
commiato confortato da una coralità familiare che si inscriveva nella cornice
ambientale dell’abitazione in cui il defunto aveva declinato una parte
significativa della sua quotidianità ; in un luogo in cui anche i muri erano
impregnati del vissuto respirato del defunto ; una cornice familiare nota in cui
la componente privata dell’abitazione anche attraverso la sua struttura:
catapecchia, stamberga, abitazione comune o signorile , anche da morto associava
con immediatezza nel bene o nel male (offrendo spesso distraenti spunti
pettegoli a qualche onnipresente necrofilo ) gli ambienti di vita allo status
del defunto . Oggi , quantomeno quest’associazione , seppure sussistente e
supponibile viene superata da una più equa “livella” ( Totò ) perché è a tutti
evidente come formandosi e sciogliendosi i cortei funebri con modalità pressoché
simili per la maggior parte dei defunti ciò abbia di fatto esteso nei
comportamenti collettivi la democrazia della morte riconducendola alla sua
essenza : un evento della vita ancora avvolto nel mistero , ma inesorabilmente
ed irreversibilmente uguale per tutti . Un protocollo simile per tutti i
defunti, pertanto, in quanto segno dei tempi, spazza via d’un colpo
considerazioni sulla miseria sulla povertà, sull’agiatezza sulla signorilità
presunta o reale del defunto eliminando così alla radice anche quel tarlo nostro
tipicamente provinciale di spettegolare anche nelle occasioni in cui il doveroso
rispetto per il defunto richiede una dignitosa composta riflessione sul nostro
destino ultimo terreno . Di necessità e non tanto per convinzione, favorito
dalle distanze dell’abitazione del defunto dai luoghi di culto, come possono
risultare il quartiere S. Margherita , le Case Fiat, le abitazioni della
campagna limitrofa al paese , si livella il censo , la pretenziosità eventuale
della casa di abituale dimora del defunto riconducendo in tal modo il defunto
all’essenzialità della sua condizione umana . Tutti nasciamo nudi ( e meno male
che nessuna “camicia” veste il nascituro); dopotutto la nascita , come la morte
definiscono gli estremi del nostro calendario biologico : un segmento vita che
rimanda alla naturalità del parto . alla naturalità della morte ; eventi
cifrati, sulle pietre tombali (sui documenti) che rimandano al calendario
cosmico cui si accordano le nostre vite , che all’ interno del segmento
temporale che ci è dato , senza alcuna discontinuità racchiuderà tutta la nostra
esperienza di una vita . Per meglio rendere l’emotiva contraddittorietà con cui
la nascita e la morte vengono accolti all’interno delle comunità umane ,
indipendentemente dalle diverse geografie in cui tali eventi avvengono prendo di
nuovo a prestito le parole di F. Savater “ veniamo al mondo accolti dalla
felicità dei genitori , ce ne andiamo via tra grida strilli e pianti “. Tutti
nasciamo nudi e ci congediamo da questo mondo indossando un vestito: la nostra
seconda pelle sociale: riepilogo dell’acquisita civiltà ; un vestito senza
tasche , secondo la tradizione tedesca,perché non servono. Nulla porteremo
nell’aldilà ( posto che sia ipotizzabile un aldilà della nostra già complicata
realtà ), ma lasceremo in eredità un passato : corrente , banale o speciale che
sia stato , che si inscriverà per un tempo più o meno lungo nella memoria di
chi, avendo convissuto con noi o in modo più ampio ed impersonale avendo con noi
condiviso lo stesso territorio , con generosa continuità vorrà ancora portare
con sé qualcosa di noi ( ciò non è affatto straordinario , già avviene perché
comunque siamo contemporanei a tanti cui in parte socializziamo il nostro
vissuto ) nel suo cervello nei luoghi della memoria comune , per le strade del
nostro paese , in ogni altrove in cui il ricordo potrà suscitare nostalgia o
possa eventualmente servire da esempio e testimonianza ad altri .
Arcangelo Pretore 30 ottobre 2016