19/10/2016 ● Agricoltura
Agricoltura italiana: fine o inizio di un sogno?
Il settore agricolo nazionale, contadini compresi, visto nell'ottica
produttiva è più morto che vivo. Pensare, lottare nel poter cambiare qualcosa,
in ultima analisi è servito a poco, forse neanche a sognare. Quello che è
avvenuto negli ultimi 15 anni nel nostro Paese nei confronti del mondo agricolo
è impressionante, sa dell'inverosimile.
Ministri, forse l'ultimo, quello vero, è stato Giovanni Marcora (l'uomo del
fare), e rappresentanze sindacali non hanno rappresentato che solo chiacchiere.
Forse a quello che dicono non credono manco loro.
Un mondo agricolo per sempre diviso (voluto) in balia del... chi può arraffa e
"usato, depredato e svenduto," sempre come merce di scambio per altri fini dalla
politica; da tempo immemore a vantaggio della speculazione finanziaria.
Una puntualizzazione.
Le importazioni nel 2015, sempre maggiori, hanno riguardato il 56% di latte, il
45% di grano duro, il 73% di grano tenero, il 60% di carne bovina, il 66% di
carne suina e salumi, il 76% di olio d'oliva, etc mentre alcune nostre
produzioni in buona parte restano a marcire nei campi o, come quest'anno per il
grano duro a causa del prezzo basso (15-17 euro) tanti, molti appezzamenti non
verranno seminati, quindi non entreranno in produzione, andando così a sommarsi
ai già non produttivi 700.000 ettari circa degli anni scorsi.
Si può lavorare ancora così per poi rimetterci?
Quando "i soloni" parlano di ripresa del settore, di trend positivo o di PIL
agricolo forse pensano di parlare di realtà o riferimenti che non rasentano
minimamente la nostra nazione o, sbagliando, corrispondono si all'aumento ma dei
debiti accumulati dei contadini.
Ma si rendono conto del prezzo del grano duro ai minimi storici (prezzi di 30
anni fa) del prezzo del latte, dell'olio di oliva, delle barbabietole da
zucchero (ormai fuori produzione), delle pesche, delle arance, del pomodoro da
industria? Colture che non riescono minimamente a pagare manco i costi per
produrle!
Provengono da altri Paesi a prezzi stracciati, di dubbia salubrità vista le loro
normative fitosanitarie meno restrittive delle nostre, dei costi di produzione e
dei differenti oneri previdenziali.
Una tonnellata di pomodoro triplo concentrato cinese, di media qualità, costa
all'importatore italiano 500/600 euro a tonnellata. Arrivata in Italia e si
concretizza in ben otto tonnellate di concentrato italiano; a detta di alcuni
interessati risulta essere perfino un anticancro. Il concentrato nostrano costa
dai 1.100 ai 1.200 euro a tonnellata.
Come si può competere in tali condizioni? Si può parlare di concorrenza leale
visti i diversi parametri di confronto su accennati?
Ma di cosa parlano quando si riferiscono a redditi aumentati per gli
agricoltori? Forse a quelli europei, non certo a quelli italiani.
Quando parlano di Pil agricola (produzione interna lorda) o dati ISTAT di segno
positivo per caso si riferiscono a quei parametri "all'italiana" dove, chi
mangia cinque polli, chi ne mangia uno, chi nessuno, alla fine gli italiani
hanno mangiato due polli a testa?
Ma di cosa si sta parlando? Quale crescita? Si sono accorti che da anni ci sono
aziende agricole, grandi o piccole che siano, che giornalmente chiudono? O,
quelle svendute o, peggio, quelle "trattate" per pochi spiccioli alle aste,
nelle stanze dei tribunali?
Questa è la realtà. Basti pensare che dall'anno 2000 al 2010 hanno chiuso i
battenti ben il 32%. Oggi è peggio.
Questa è l'agricoltura nazionale, lasciata sola in balia delle derrate importate
a prezzi, per noi, da dumping o della presunta salubrità delle stesse (ad es. il
grano canadese o americano seccato col glifosato).
Si è di fronte ad una guerra commerciale di livello internazionale e peggio sarà
con il TTIP agricolo, un patto scellerato che i nostri vogliono pure accettare,
dove il settore agricolo italiano rischia di essere espropriato del bene-terra e
la nazione stessa vedersi rubare addirittura la sovranità alimentare.
Questa è la tanto agognata competitività globalizzata, gareggiando ad armi
impari? Quando "gli specialisti" disquisiscono nei convegni, nei tavoli di
concertazione di crescita agricola a cosa si riferiscono?
Sanno degli indebitamenti, della insopportabilità contributiva previdenziale
INPS, dei tributi-capestro sempre più esosi ed inacettabili dei consorzi di
bonifica visti nel rapporto costi-benefici, dei costi di produzione? Dov'è
questa tanto conclamata "uscita dal tunnel", della vitalità delle aziende
agricole, della loro redditualità?
Per caso, per ripresa s'intende ri-prendere, alias spennare ancora fino al punto
tale che l'azienda viene ripresa per debiti accumulati dagli
sciacalli-prenditori o dall'Equitalia?
La verità, sfortunatamente, è che il settore è in costante sofferenza e continua
a confrontarsi in maniera impari senza alcuna tutela, con grandi difficoltà e
problemi lontani anni luce dall'essere almeno dibattuti. I volponi stanno
depredando il Made in Italy senza che qualcuno faccia qualcosa, nel silenzio più
assoluto, dovuto forse a complicità, scarsa volontà ad imporsi, sudditanza,
menefreghismo. Certo è che il problema resta.
Logica conseguenza è poi il falso made in Italy, gli Ogm (che tra qualche anno
verranno imposti come le sementi brevettate), la filiera corta (come la tela di
Penelope: si parla per poi concretizzare nulla), i bluff del primo insediamento
e dei PSR (piano di sviluppo rurale), la cooperazione, le OP (organizzazioni dei
produttori).
Di autocritica istituzionale nemmeno l'ombra. Tutti autopromossisi a pieni voti.
In Italia criticano la politica UE mentre a Bruxelles l'assecondano. Quando
devono difendere provvedimenti utili alla nostra agricoltura restano zitti o
fanno finta di dire qualcosa. Diventano solidali quando votano a favore delle
importazioni di derrate extraeuropee, concorrenziali alle nostre produzioni
mediterranee. Ad esempio, il grano duro importato dal Canada non paga tasse di
entrata in Italia; al contrario della nostra pasta esportata nello stesso Canada
che sopporta la tassazione dell'11%.
Coerenza italica con accordi bilaterali a nostro svantaggio. E questo per tante
altri prodotti.
Il mondo agricolo, quello vero e non quello di Oscar Farinetti, sta morendo e
proseguendo su questa strada non si potrà che assistere ancor di più alla
consegna delle aziende a personaggi che avranno lo scopo di sfruttarle
assoggettandole al land grabbing e all'italian sounding.
Vedere i sacrifici di generazioni andati in fumo è la cosa peggiore che possa
capitare ad un contadino perché, dopo la famiglia riversa il suo amore per quel
"suo" pezzo di terra, grande o piccolo che sia. Dispiace dirlo: è la sua
sconfitta ma senza colpa alcuna.
E' ora di svegliarsi facendo presente, e altri devono ricordarselo, che
l'agricoltura con i suoi contadini custodi della terra, non è solamente
produttrice di cibo ma sentinella a presidio del territorio, a salvaguardia
della biodiversità e a tutela dell'ambiente per l'intera umanità.
Valori, intesi come bene comune. E, di questi tempi, non è poco.
E' ora che in Italia si applichi la clausola di salvaguardia utile, qualora un
prodotto sia importato in quantità tali da provocare prezzi in dumping, a
tutelare i produttori nazionali dalle gravi distorsioni di mercato e alla loro
economia, adottando misure idonee al punto tale da arrivare al blocco delle
importazioni.
Il sogno.
Creare un'alleanza strategica e trasparente tra contadino, produttore di cibo
salubre, e consumatore informato, attento negli acquisti, in modo tale da
favorirsi entrambi. Strada utile, poi, per stimolare la politica, quella
attenta, a far quadrato, a prenderne atto ed operare di conseguenza per la
tutela del vero made in Italy, a garanzia quindi del valore aggiunto produttivo,
garantito dalla tracciabilità ed etichettatura.
La salute è prioritaria, difendiamola. E questo, per il bene di tutti.