14/10/2016 ● Cultura
Come mosche sui vetri
Potrebbe il mio richiamo indirizzarsi ad altre metafore altrettanto efficaci:
quella del plastico ad esempio, strumento tanto caro a Vespa. Tanto più che il
riferimento alla plastica, quale materiale idoneo a rappresentare il concetto
della modernità post boom economico, è appunto consacrato in alcune locuzioni -
ex: mondo di plastica - evocanti proprio l’artificialità in contrapposizione al
realismo-naturalismo. Nell’età contemporanea, poi, le possibilità fornite dalla
telematica hanno consentito l’ingresso del concetto di realtà virtuale nella
quotidianità, dunque nel linguaggio comune, sdoganando tuttavia una dimensione
con cui l’uomo da sempre convive. A scuola scoprii che un tizio, tale Platone,
circa 24 secoli fa già spiegava, elaborando il celebre Mito della caverna, che
la realtà a cui ha accesso l’uomo comune è una sorta di ombra proiettata da
quella autentica, non pienamente percepibile in virtù del nostro limitato stato
di consapevolezza: solo una mente illuminata riesce ad avere immagini
maggiormente nitide del reale. “Esse est percipi”, affermava un altro tizio,
ovvero ciò che chiamiamo realtà materiale esiste solo in quanto la percepiamo.
Ma non è di filosofia in senso stretto che intendo discorrere ... ovvio. La
virtualità del vissuto che intendo evidenziare è quella che riguarda
essenzialmente l’esperienza di vita di noi contemporanei. Dunque nessun richiamo
neppure alle moderne teorie della fisica quantistica che, in stile Matrix,
descrivono la realtà quale un ologramma nelle cui singole parti risiede l’intera
informazione (l’Uno e il Tutto trovano reciproca corrispondenza, ovvero ciascuna
entità è interconnessa con le altre: niente di nuovo per gli antichi): la nostra
mente agisce come un software che letteralmente crea quel prospetto grafico
chiamato realtà, che dunque non esiste in termini oggettivi. Complicato? E
infatti scartiamo tutto ciò e facciamo finta che la realtà in cui viviamo sia
potenzialmente un dato oggettivo e non un inganno dei sensi. Almeno in quanto
illusione, la realtà è un prodotto genuino? Poniamo attenzione, ad esempio, agli
eventi più importanti della cronaca contemporanea, quelli di cui ci troviamo a
discutere al bar o nei social, e rispetto ai quali di certo tutti ci siamo fatti
un’opinione: terrorismo, immigrazione incontrollata, l’imminente referendum,
ecc.. Riusciamo ad approcciare tali eventi con un certo qual grado di
oggettività oppure la nostra percezione è inquinata?
In quanto antenne indirizzate per captare la realtà come fosse un segnale –
perdonate la metafora un po’ burina -, decodifichiamo questo in maniera
approssimativa. La nostra mente, educata alla concezione lineare del tempo,
tende a ricostruire i fatti secondo lo schema causa-effetto. Nella realtà,
tuttavia, spesso è l’evento a creare l’antefatto (Borges asseriva che è la porta
che apriamo a sceglierci), oppure, come sosteneva Carmelo Bene - ispirato dal
Lorenzaccio - l’atto domina nel reale, relegando antefatti ed eventuali
motivazioni pregresse ad una condizione di assoluta precarietà, al punto da
annullarsi nell’atto che, solo, fa ingresso nel reale (con buona pace della
storiografia e dei processi in uso nel mondo dell’informazione). Roba alquanto
astrusa, lo so. Mettiamola così: il futuro retroagisce cambiando il passato più
di quanto avvenga in direzione contraria. La storia la scrivono i vincitori,
recita una frase fatta. E la vittoria è appunto l’evento che irrompe nella
realtà modificando la percezione del passato: a Cuba vincono i barbudos e
Batista, e gli USA che lo sostenevano, diventano “mierda”: se quella rivolta
fosse stata soffocata nel nascere, anche Cuba si troverebbe oggi in piena fase
di orgia capitalistica. Il passato, il batistismo, da allora è invece descritto
come esercizio di imperialismo americano nei confronti del popolo cubano.
La nostra memoria pure, e ce lo dice la scienza, pare essere poco obiettiva,
ricostruendo avvenimenti con una buona dose di creatività. Nella dimensione
collettiva, poi, la memoria si identifica proprio nella funzione attiva e
ricostruttrice di quei ricordi mediante i quali un gruppo costruisce la propria
identità. Insomma, pare proprio la realtà essere qualcosa di sfuggente, ovvero
che non vi siano manifestazioni della stessa comprensibili con una sufficiente
dose di genuinità ... che l’oggettività sia dunque una chimera. Allora il nome
della nostra specie è una sorta di ossimoro? Homo sapiens sapiens ... uomo che
sa che sa. Sapere, conoscenza, coscienza ... consapevolezza. Ci autodefiniamo
esseri consapevoli. Ma lo siamo davvero? O meglio – a parte i disturbi di
segnale appena descritti - questa nostra consapevolezza può condurre ad una
rappresentazione autentica, vera della realtà? Ad esempio gli avvenimenti prima
citati, topici della contemporaneità, come li consapevolizziamo?
A questa domanda si può, con la psicologia, rispondere con maggior
appropriatezza ma in modo accademico, oppure si può trovare una risposta di tipo
empirico.
La prima risposta, complicata, è il frutto di un percorso di studi che parte da
Freud per arrivare a Lacan. La psicanalisi ci spiega che la Verità, la vera voce
dell’individuo, risiede nell’Inconscio, mentre il Sapere riguarda l’Io. Sapere
ed Io sono rappresentazione, dominio di un oggetto, mentre il dato originario
psichico è l’Inconscio, il solo ad aver accesso immediato alla realtà. A
corredo, segue parentesi narrativa. All’origine c’e il cd. “stadio dello
specchio”: a partire dall’età di sei mesi il bambino può riconoscere la propria
immagine riflessa. Questa identificazione costituisce la matrice di tutte le
altre, la più importante delle quali è rappresentata dalla figura della madre.
Verso di essa si dirigono i desideri più autentici, provenienti dall’Inconscio.
Tra le due figure viene tuttavia ad interporsi quella del padre – cd.
“interdizione dell’incesto” ... ricordate il complesso di Edipo? – che
rappresenta la Legge, l’ordine simbolico, la civiltà. L’ordine simbolico, che si
manifesta nel linguaggio, si forma dalla scissione tra conscio ed inconscio, e
segna l’accesso alla cultura, al sapere. Insomma, i simboli risiedono
nell’inconscio ma, nel momento in cui il soggetto intende conferir loro un
significato, egli è costretto ad accentrarsi in un’unità immaginaria, il Me.
Ecco che l’uomo diventa eccentrico, ovvero perde la sua unità interiore “Io” per
riconoscersi nell’immagine esteriore “Me”. Ricomporre Io e Me è impossibile,
quindi il reale in sé non sarà più raggiungibile (il legame con la
madre-inconscio è sempre interrotto dal divieto paterno-simbolico), quindi siamo
destinati a desiderare ciò che non si ha, il reale, scopo irraggiungibile che
perpetua il desiderio in eterno. La spiegazione da emicrania ci dice, in estrema
sintesi, che non possiamo cogliere la realtà non avendo con essa un rapporto
diretto ma mediato: il nostro sapere è solo una rappresentazione della realtà. E
infatti l’arte, quella autentica, è più reale della realtà perché dialoga col
nostro inconscio (nel teatro l’apertura del sipario rappresenta proprio
l’accesso simbolico a questa nostra dimensione).
Questa cervellotica spiegazione è necessaria per comprendere che la realtà in
sé, la Verità, è in partenza qualcosa di irraggiungibile. Ok. Dunque i fatti non
esistono in quanto accadimenti oggettivi, ma sono interpretabili nella misura in
cui sono narrati. Un filosofo, nonmiricordoquale, definiva l’uomo come “un point
de vue sur la ville”: ciascuno osserva la realtà da una particolare angolazione,
così che essa possa definirsi come la sommatoria di tutte le opinioni dei
potenziali osservatori. Siccome sto indugiando nel più volte rimproveratomi
difetto di dilungarmi, procedo all’utilizzo di metafore. Per nutrire la nostra
consapevolezza ci serviamo del mondo dell’informazione, lo strumento principale
che ci racconta il reale. I mass media, però, usano tecniche in stile “cavallo
di Troia”: forniscono dei tasselli-informazioni che ci portano a ricostruire un
puzzle-realtà deformata. L’abilitá nel disinformare sta proprio nel dare solo
falsi indizi per indurre la gente a farsi un opinione sì personale, ma sbagliata
perché basata su presupposti errati (ciò accade in quanto l’informazione,
diventando essa stessa un Potere, collabora col re anziché denunciare la sua
nudità. L’Iliade rappresenta appunto una metafora del sapere, che dovrebbe
essere la sintesi che viene operata dal confronto di tesi diverse. Essa narra
dello scontro tra due saperi, due mondi – Occidente ed Oriente (che la
psicanalisi interpreta a sua volta come lo scontro/incontro tra i due emisferi
cerebrali, l’“ingegnere” e il “poeta”). Tutti conosciamo però il finale: per 10
anni le due culture si confrontano, ma finirà con l’ingresso della simulazione
nel reale, l’inganno di Ulisse. Nell’era digitale, come anticipato, la
simulazione è diventata pane quotidiano, entrata com’e anche nella realtà del
vissuto relativo ai rapporti interpersonali. Insomma, in quanto esseri dotati di
consapevolezza, quale abilità mostriamo nell’utilizzo di tale strumento?
Arriviamo finalmente alla mosca che osserviamo sbattere di continuo contro il
vetro, producendo quel fastidioso ronzio che pare un urlo, la denuncia dell’incapacitá
di comprendere il motivo del mancato accesso a ciò che i suoi occhi indicano
come reale ... già, perché essa non ha contezza dell’ostacolo. Per non fare la
fine della mosca - dunque credere di avere consapevolezza, ostacolati invece nel
relativo accesso da una barriera a noi invisibile - occorre dirigere le nostre
superiori facoltà, il sapere, verso l’individuazione degli impedimenti. Esposta
la teoria, come procedere con la pratica? Metafora da scuola guida a parte,
stavolta non occorrono dritte filosofiche, psicanalisi o altre astrusità. Basta
aver seguito uno dei tanti serial polizieschi o narranti indagini di
qualsivoglia natura, giornalistiche, mediche ecc.: l’importante, per ricostruire
pezzi di realtà, è farsi le giuste domande. Per saggiare la coerenza di una
ricostruzione dei fatti occorre passarla al vaglio delle giuste domande. Magari
non si giunge a ricostruire l’esatta realtà dei fatti ma almeno capiremo se ci
raccontano stronzate, se siamo mosche capaci di individuare la presenza del
vetro: le versioni fornite su terrorismo, immigrazione ecc., sono dunque
attendibili? A tal fine potrebbe tornare utile rivolgersi a Holden, celebre
personaggio letterario ... ma questa è un’altra storia: (ai pochi pazienti di
seguire strade sì tortuose) ce la raccontiamo prossimamente.