In risposta
all’anonimo autore dell’articolo su Risorgimento e Papato apparso
sul quotidiano NUOVO MOLISE di domenica 10/09/2000
Sono
stati i "ragazzi" del Meeting (così li ha bonariamente
definiti il sen. Andreotti durante il dibattito condotto in TV da Gad
Lerner la vigilia della beatificazione di Pio IX) a far scoppiare,
nella torrida estate, il caso Risorgimento attraverso una
documentatissima mostra. Eugenio Scalfari, con la solita spocchia da
trombone pluridecorato, ha sputato zolfo sul fuoco della polemica,
impartendo lezioni della solita storia dalle colonne del suo
quotidiano e allertando i Papa-boys contro le possibili
strumentalizzazioni della loro ingenua militanza cattolica. Come se i
giovani italiani avessero bisogno di un tutore nazionale, magari di un
vegliardo dalla candida barba protettiva. Fino al bel giorno in cui,
anche nell’ultima provincia dell’Impero, questo strano Molise in
cui la terra frana ancora meno delle intelligenze che lo abitano, si
è finalmente destato il Leviatano sonnecchiante. Ed è sempre così,
quando i cattolici pretendono di immischiarsi in faccende che esulano
dagli affari di sacrestia.
Io
non so chi sia, ma giuro che vorrei proprio incontrarlo di persona l’anonimo
estensore dell’articolo apparso su Nuovo Molise domenica 10
settembre. Per studiarlo. Mi sembra un caso interessante. Il suo
articolo (non firmato) mi ha impressionato per almeno due motivi: uno,
perché, nonostante la sua incontenibile superbia, non aggiunge nulla
(proprio nulla!) in termini concreti alle argomentazioni della
storiografia ufficiale sul cosiddetto Risorgimento; due, perché è
incredibile come oggi resista ancora di fatto in Italia una sorta di
"partito piemontese" che, ad ogni occasione e persino dalle
regioni del Sud, vomita la stessa identica retorica senza capo né
coda. C’è da compatirli, poveri epigoni scalfariani: cresciuti a
libro Cuore e Pinocchio (i due capisaldi della propaganda
post-unitaria), forgiati nella scuola di Stato quando non addirittura
nell’esercito (persino Totò, per darsi un tono, ricordava alla sua spalla
di aver fatto tre anni di militare a Cuneo), sbarcato noiosamente il
lunario di una vita nell’impiego statale ricevuto in dote dall’onorevole
o dall’azzeccagarbugli locale, non hanno mai guardato in faccia la
realtà, neanche quella del proprio campanile!
Caro
il mio altezzoso intellettuale di provincia, lo sa che la realtà è
più grande del suo capoccione grigio di anni e di inutili rimorsi?
Mettiamola così: io credo che i Papa-boys non abbiano paura della
verità, e anzi sono andati a Roma per guardarla in faccia. Al
contrario, è evidente che i papà dei Papa-boys la temono ancora.
Fino a buttarle addosso, dal segreto della propria stanzetta, il fior
fiore de cliché "repubblicani"(alla Scalfari, s’intende).
E perché? Perché la storia ha giudicato dal suo tribunale le vicende
del passato, e non bisogna ardire di ficcare il naso nelle carte
processuali. Non è così? Riepilogando: Giovanni Paolo II ha
sbagliato a fare santo il Papa del Sillabo. Secondo il nostro anonimo
cultore dei periodi manzoniani (la pompa letteraria è la stessa del gran
lombardo, ma gli esiti, ahimè, nemmeno paragonabili!) Giovanni
Paolo II avrebbe dovuto ricambiare in modo migliore la magnanima e
secolare ospitalità accordata alla Santa Sede dallo Stato italiano
dopo la breccia di Porta Pia.
Sempre
secondo il nostro sforbiciatore della domenica, il Papa, con il suo
irriguardoso comportamento, avrebbe costretto gli stessi Papa-boys a
fare un passo indietro nelle loro coscienze rispetto ai veri valori
ricevuti dall’educazione dei padri e (qui la lacrimuccia scappa di
sicuro!) dai nonni, per barattarli con i valori discutibili
proposti dalla Chiesa.
Perché
non farlo, questo benedetto passo indietro, se la posta in palio è la
verità vera di quei valori che, sebbene digeriti dai nostri
nonni e dai nostri padri, a noi oggi risultano alquanto indigesti alla
luce degli studi più recenti e di un esame attento delle
testimonianze dell’epoca? Forse appunto perché si ha paura. Paura
che il nostro mondo progressista, così sollecito nell’inviare
contingenti umanitari in aiuto delle democrazie in pericolo, riveli
improvvisamente tanti scheletri negli armadi da far impallidire i
miliziani serbi e kossovari. Paura di cercare la verità. Quella
verità scomoda che, a furia di essere ritenuta assurda da tutti,
sembra divenuta definitivamente impossibile. Se lei, anonimo estensore
dell’articolo, è volentieri disposto a rinunciare alla ricerca
della verità accontentandosi di quello che i vincitori di allora (e
vincitori ancor oggi) hanno ritenuto giusto far conoscere alla
posterità, io mi rifiuto. Non mi accontento di aver ricevuto in
eredità il giudizio della storia, e non ne faccio il pre-giudizio con
cui prendere a randellate gli avvenimenti presenti. Ho studi
universitari alle spalle, e quindi dovrei già essermi abbandonato
alla corrente (non ci sono più tanti maestri, in giro per l’Italia,
che introducano i giovani allo studio della realtà storica e alla
ricerca della verità); tuttavia ho avuto tempo di leggere qualche
libro, e, tra mille difficoltà, sono andato a cercarmi anche i titoli
che la storia ufficiale ha contribuito a cancellare dalla memoria. Di
scoperte ne ho fatte tante, e comunque le vicende di quegli anni mi
sono risultate alla fine più complesse di quanto non riferiscano i
manuali di storia. Legga quei libri (potrei segnalarle una corposa
bibliografia, e lo farò, se me lo permetterà): sarebbe costretto a
cambiare idea. Ma qui viene il bello. Perché per cercare la verità
bisogna compiere una operazione previa, che è come dire: avere una
disponibilità iniziale: piegare il proprio giudizio, accettare l’evidenza
della realtà, amare la verità più dell’idea che se ne ha; cioè
amarla più di sé stessi.
So
che dalla sua parte c’è la maggioranza degli intellettuali, dei
professori, degli storici, degli studiosi, dei cittadini di questo
Paese. Ma questa massa di gente perbene non vale la mia libertà. E
gli italiani, contrariamente a quanto insegnano gli illuminati di
destra, di centro e di sinistra, non sono gregge. La libertà
consiste nel guardare e affrontare la realtà (tutta la realtà)
cercando la risposta a quel desiderio di verità, di bellezza, di
giustizia, di felicità che c’è nel nostro cuore da sempre. La mia
libertà non ha prezzo. E la sua?
Cerchiamola,
quella verità. L’Italia fu fatta contro gli italiani. Dalle
insorgenze antigiacobine del 1799 in poi, e fino all’unità d’Italia,
il popolo italiano, quello vero, si ribellò ai francesi e ai
giacobini, si ribellò ai carbonari, ai piemontesi (che con i francesi
avevano più di una parentela culturale) e ai liberali, si ribellò a
Garibaldi. L’Italia fu fatta dai padri della patria contro
il volere degli italiani, contro il popolo, contro la
realtà. Leggere gli scritti dello stesso Cuoco sulla rivoluzione di
Napoli del 1799 (presagio di ben più funesti avvenimenti) senza
i paraocchi, fa venire più di un dubbio sulle certezze da lei
sbandierate a proposito delle glorie presunte della nascente Italietta.
Anche Eleonora Pimentel Fonseca, nobile giacobina, nel febbraio 1799
si chiede con stupore sul Monitore Napoletano: "[...] ond’è
poi surto un tanto subitaneo furore che la plebe insurga da per tutto,
atterri gli alberi di libertà, e si scagli accanita contro tutti i
Civili?". Sembra domandarsi: "Ma da dove vengono
questi?". È la scoperta del popolo "reale", che "[...]
per fintanto che una migliore istruzione non l’innalzi alla vera
dignità di Popolo, bisognerà continuare a chiamar plebe". Tra
questa plebe ci furono, solo negli anni delle Insorgenze antigiacobine,
non meno di sessantamila morti, dato impressionante se lo si confronta
percentualmente con la popolazione dell'epoca: un genocidio. Così
avvenne anche negli anni in cui si fece l’Italia (dimenticandosi
degli italiani). Cosa dice dei plebisciti che decretarono l’annessione
delle regioni al nuovo regno, viziati dai brogli, dalle violenze e
dagli arresti degli oppositori? E del fenomeno del brigantaggio, Mi
dirà che il popolo non era stato ancora rieducato a dovere, e i
tutori di allora lo forzarono a seguire la retta via. E pensare che i
cattolici non erano affatto contrari ad un processo unitario, anzi.
Non furono più d’accordo quando venne allo scoperto in tutta la sua
ostilità verso il popolo cristiano il progetto unitario della cupola
piemontese. Il Gianicolo, l’epica lotta di porta S. Pancrazio,
ecc. ecc. insegnano a tutti noi che chi combatte e muore ha quest’unica
giustizia da insegnarci: quella di aver dato la vita per un ideale. Ma
quale ideale? Quello di Cavour. E lei lo sa che Cavour era il capo
della Massoneria italiana? Sa che Mazzini, Garibaldi e tanti altri
celeberrimi personaggi del nostro Risorgimento erano massoni? Nessuno
Scalfari insorse a mettere in guardia i tanti giovani repubblicani,
Goffredo Mameli in testa, dalla strumentalizzazione che subivano
mettendo la propria vita a servizio di questi personaggi. Quando a
insorgere in difesa della gente fu il Papa, allora sì che si fecero
vivi i mestatori di ogni risma. E ancora oggi si sentono in dovere di
gridare allo scandalo. Lei sostiene che Pio IX invocò l’aiuto di
armi straniere per rallentare la corsa del progresso democratico. E,
mi dica: per le "plebi" napoletane e meridionali l’esercito
piemontese non era altrettanto straniero? E con quali soldi il re
piemontese e il Cavour comprarono i generali dell’esercito borbonico
per permettere il successo della gloriosa spedizione dei Mille (si
immagina: soli mille uomini che arrivano indisturbati dalla Sicilia
fino alle porte di Napoli, e in virtù di quale straordinaria virtù
militare)? Forse con i soldi delle casse del Regno sabaudo (in rosso
da tempo)? Con i soldi e i buoni uffici della massoneria inglese,
prestito poi restituito con gli interessi dal neonato Regno d’Italia
grazie anche alla rapina attuata ai danni dei beni della Chiesa.
Se
Pio IX ricordò e ribadì a tutto il mondo che mai la Chiesa avrebbe
fornito l’alibi religioso e umanitario ad una scellerata conquista
coloniale, e si schierò decisamente dalla parte di quel popolo che i
carbonari, i massoni, i borghesi liberali intendevano ri-educare per
asservirlo ai propri scopi, come giudicarlo, noi pusillanimi
reggimoccolo delle peggiori ideologie, indegno degli altari? Una
sparuta minoranza illuminata, sostenuta da referenti politici quali
Lord Henry J.T. Palmerston, potentissimo esponente delle logge inglesi
ai vertici del Governo di Sua Maestà Britannica per diversi decenni e
artefice di una formidabile copertura internazionale per tutti i
gruppi rivoluzionari attivi nei paesi cattolici: ecco chi fece l’Italia!
Un’oligarchia economica, politica e industriale, la stessa che oggi
vuole un’Italia statalista e centralista, cioè senza libertà.
Caro
Mister X, non ci annoi con il ritornello patriottico che anche noi
abbiamo dovuto imparare fin dalle elementari della scuola di Stato! E
mi stia bene a sentire: niente Garibaldi-boys, per quanto mi riguarda,
né Mameli-boys, né celebrazioni al Gianicolo il 13 febbraio. Dirò
questa sera, anche se non dovesse gradirla, una preghiera sincera per
lei e per me. Perché ai nostri figli, io e lei, non neghiamo mai la
libertà di scoprire la verità. Fosse anche diversa da quella che ci
attendiamo.
Torna
sopra
Fuori
Porta
La proprietà
fotografica e letteraria appartiene ai legittimi proprietari
Web Design: ARS
idea studio