Articolo
tratto da "Made
in Molise" Anno I N.1
Le
chiese romaniche, diversamente da altri oggetti architettonici, non
hanno bisogno di un ambiente tipo, standard, sorgono un pò ovunque.
Appartengono ad un'epoca storica, tra la seconda metà dell'XI e
l'inizio del XII secolo, in cui in Europa la Chiesa non rappresentava
più solo un punto di riferimento spirituale, ma anche e soprattutto
un sistema di potere con una raggiera di alleanze non proprio
liturgiche, non faticava più di tanto a dominare masse di contadini,
mercanti e nuovi borghesi, urtando contro gli interessi e il continuo
espandersi di quei reami sorti dalla frantumazione dell'impero romano
e consolidatisi e accresciuti di potenza con il passare dei secoli.
La
particolare situazione, considerando anche una progressiva
laicizzazione della cultura, rendeva necessario uno svecchiamento dei cliché
comportamentali che reggevano il rapporto con il popolo.
In pratica, tra le altre cose, bisognava iniziare a farsi intendere
dalla gente che non conosceva il latino scritto e da sempre parlava un
volgare che evolveva verso il prototipo della lingua italiana, con un
nuovo linguaggio.
La cultura si prestava a questo scopo. Con immagini sacre o
direttamente riprese dai bestiari medievali il popolo poteva essere
ammaestrato ed ammonito.
Se da un lato appariva l'esempio di personaggi biblici che ormai
popolavano l'immenso paradiso, dall'altro fiammeggiavano draghi e
bestie degli inferi capaci di infliggere atroci tormenti a chi
distoglieva lo sguardo dall'Agnello Crucifero.
Sulle pareti esterne, sui portali, come sui capitelli delle chiese
romaniche, quest'universo astratto, mentale, prendeva corpo ed
otteneva i suoi risultati.
Quegli stessi che oggi, per buona pace di tutti, possono essere
valutati più come artistici che dottrinali.

Nei
territori che compongono l'attuale Molise, le prime serie tracce di
arte romanica risalgono alla metà del XII secolo, periodo in cui
nell'ambito di fluttuanti presenze imperiali si facevano largo piccoli
potentati locali che, nell'eterno gioco degli equilibri tra potere
spirituale e temporale, favorivano e foraggiavano in qualche modo la
nascita di monasteri, cenobi e chiese, chiamando al proprio cospetto
maestranze e scalpellini, per il corredo scultoreo, dalla vita ed
abitudini nomadi.
Le principali vie di comunicazione ed i centri più importanti
conobbero per primi le conseguenze di rotta nella stessa gestione
della cultura.
Prima, la fortuna di una minima ripresa economica ed artistica era
toccata solo a quei territori, si veda San Vincenzo a Volturno, dove
la presenza dei Benedettini era stata massiccia e continua.
Lungo
i tratturi, i veri e propri assi viari dell'età antica dell'attuale
Molise, utili sia allo spostamento di eserciti che di grandi greggi
transumati, sia all'epoca dei Sanniti che nel corso del Medioevo e dei
tempi successivi, per persistere successivamente, e sino a pochi
decenni fa, soltanto come grandi piste verdi della transumanza, furono
erette le prime significative cappelle romaniche, alcune tuttora ben
conservate.
Splendido esempio ne è costituito dalla chiesa di Santa Maria della
Strada in agro di Matrice. Ma anche nei centri abitati non mancò
episodio che potesse testimoniare di un certo risveglio nella
sensibilità artistica.
Le cripte di Guglionesi (San Nicola e Sant'Adamo), quella di Santa
Maria a Mare di Campomarino e di San Casto a Trivento raccolgono
esperienze più che tangibili. Lungo il fiume Trigno, a ridosso di
un'area che era già stata visitata e plasmata dai romani, allo stesso
modo di quanto accade a Matrice ed a Vinchiaturo in località
Monteverde, dove della chiesa di Santa Maria non restano che qualche
traccia e le absidi diroccate, sorse la chiesa di Santa Maria di
Canneto.
Sempre a ridosso del Trigno, su di un colle nei pressi di Civitanova
del Sannio, dove già esisteva dall'anno 1002 una chiesetta
benedettina, fu ingrandito l'edificio di culto dedicato a San
Benedetto de Iumento Albo.
Nel XIII secolo la tendenza fu ancora più nitida, peraltro supportata
da uno stile diventato più maturo.
La chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina è l'edificio
che più di altri ha mantenuto integre le proprie strutture, ma non
vanno tralasciate le chiese di San Nicola a Guglionesi, di San Giorgio
e San Bartolomeo a Campobasso, della Cattedrale e di San Nicandro a
Venafro, di Santa Maria Assunta a Ferrazzano, della badia di Santa
Maria di Melanico in agro di Santa Croce di Magliano.
Altri resti di portali, campanili o semplici capitelli sono visibili
in molte località.
I più rappresentativi sono i portali della chiesa di San Francesco ad
Isernia e di San Martino a Castelpetroso (dove piccoli capitelli,
forse appartenuti ad un ambone, sono visibili, riutilizzati, sul
campanile).
Frammenti pur di un certo interesse sono rilevabili nelle strutture di
edifici sacri in varie altre località del Molise.
Oggi
una svolta nelle politiche di salvaguardia dei beni culturali potrebbe
condurre ad un consolidamento strutturale e quindi ad una rinnovata
fruibilità degli edifici di culto di epoca romanica.
I progetti già intrapresi, dalle Province di Campobasso e Isernia e
dalla Regione Molise, per la sistemazione dei tratturi e le loro
salvaguardia, dopo gli anni bui dell'abuso edilizio e dell'inciviltà
generalizzata, comprese le opere di carattere storico-architettonico
che vi furono costruite accanto nel corso dei secoli, quando gli
eserciti avevano necessità di muoversi con estrema velocità, o i
pellegrini dovevano raggiungere i santuari sacri nelle zone più a sud
della penisola, o quando i pastori annualmente transumavano, danno
già un chiaro segno di possibile schiarita in una situazione che per
vari motivi non può essere trascinata avanti così com'era.

La
ritrovata consistenza delle sculture e dell'apparato scultoreo di un
edificio di importanza storico-architettonica può condurre alla
riproduzione, senz'altro emotiva, di atmosfere medioevali per nulla
buie, anzi tutt'altro.
Quell'atmosfera che, tralasciando qualche discutibile tentativo di
vivacizzazione edilizio-creativa dell'area, si respira tuttora presso
la chiesa di Santa Maria di Canneto, lungo il Fiume Trigno, al confine
tra Abruzzo e Molise, accanto e, in parte, al di sopra delle strutture
di una villa rustica di epoca romana.
La datazione più attendibile dell'edificio, tralasciando ipotetiche
interpretazioni di una ormai illeggibile iscrizione alla base della
lunetta del portale d'ingresso, è riferibile alla prima metà del XII
secolo.
Nella lunetta sono raffigurate testine umane e di animali che
rispondono ad uno stile che ricalca di molto le raffigurazioni
infantili.
Certamente l'opera di uno scalpellino non troppo dotato tecnicamente
che pur restava iconograficamente nella linea del secolo, raffigurando
un confronto tra un agnello crucifero ed un leone alato: l'eterna
lotta tra il bene e il male.
Il maestro realizzò contemporaneamente le sculture dei capitelli
dell'interno, scolpendo foglie ed animali dello stesso tipo della
lunetta.
All'interno della chiesa, terminante in tre piccole absidi, dove un
effetto suggestivo è generato dalla semioscurità e dalla pietra viva
delle pareti, sono di notevole importanza una lastra, attualmente
sistemata presso l'altare maggiore, che raffigura dodici personaggi
intorno ad un tavolo con vivande (per alcuni studiosi è l'ultima a
cena per altri una riunione conviviale tra i monaci del posto e
l'abate di Montecassino) e l'ambone che è posto ai margini della
navata centrale.
Quest'ultimo risente senz'altro di una risistemazione che negli anni
trenta coinvolse, con la perfetta buona fede degli esecutori, l'intero
edificio. Lo si comprende anche da una serie di piccoli frammenti ed
alcune lastre poste ai lati.
Sono originali i capitellini, con raffigurazioni zoomorfe, le basi, e
la parte alta del prospetto che è sostenuta da archetti.
Qui vi sono sette nicchie. Quella centrale è occupata da un'aquila
reggileggio della quale restano solo gli artigli. Invece, accanto, vi
sono figure di monaci e preti. A sinistra una scena liturgica con un
vescovo affiancato da un chierico che regge un messale e da un altro
che maneggia un turibolo, dall'altro lato, l'abate, all'estrema
destra, è preceduto da un frate cercatore e da un orante. L'ambone è
datato 1223.

A
pochi chilometri da Santa Maria di Canneto, all'apice del centro
storico di Trivento, un piccolo comune che osserva dall'alto la
vallata del Trigno, la cripta di San Casto, sottostante alla chiesa
Cattedrale, rappresenta un tipico esempio di riutilizzo di un luogo
sacro romano in epoca cristiana.
Molto probabilmente la trasformazione del limitato ambiente avvenne
nell'Alto Medioevo, anche se i capitelli, caratterizzati da pitture
zooomorfe e creazioni geometriche, sistemati alla buona e secondo
alcuni studiosi appartenenti all'Alto Medioevo, fanno riferimento al
XII secolo.
La cripta fu, comunque, ancora frequentata successivamente,
considerata la lunetta gotica che ancora vi è conservata.
Sicuramente il riutilizzo di elementi architettonici di epoca romana
ed altomedievale ed altre risistemazioni avvenute dopo lo stesso
Medioevo hanno potuto far pensare ad una datazione anteriore al XII
secolo dei capitelli, che, invece, presentano caratteristiche comuni a
tutte le altre opere locali dello stesso periodo.
E'
difficile, proseguendo
verso il Molise centrale ed oltre, verso la costa, individuare , a
livello formale , la presenza di una scuola scultorea che dia
carattere di uniformità all'arte romanica locale. A Campobasso le
Chiese di San Giorgio e San Bartolomeo, entrambe all'apice del centro
storico, nei pressi del castello Monforte, realizzate nell'arco del
XIII secolo, mostrano evidenti differenze artistiche.
La prima, presenta, oltre a lastre erratiche murate lungo i muri
perimetrali, tra le quali sono importanti quelle (raffiguranti un
pellicano, un'umanizzazione del sole ed una testa di toro, la lunetta
del portale centrale con agnello crucifero.
La seconda invece, sempre nella lunetta del portale, mostra
l'ascensione del Cristo in un guscio di mandorla, trainato da angeli
ed attorniato da simboli di profeti e degli evngelisti, che rimanda ad
analoghe raffigurazioni riscontrabili nell'attuale Puglia.
L'agnello crucifero si ritrova in una lunetta riutilizzata presso il
fonte battesimale nella chiesa di santa Maria Assunta a Ferrazzano ,
dove è notevole anche il portale con la raffigurazione di un pavone,
simbolo di eternità.
Gli edifici sacri più importanti della zona, sono comunque quelli di
Petrella Tifernina e Matrice. Il primo è dedicato a San Giorgio
Martire e, stando ad un'iscrizione sulla lunetta del portale
principale, fu eretto, nella forma ancora oggi visibile, nel 1211.
L'intero apparato scultoreo della chiesa, di sicura mano germanica,
riconduce ad echi di un mondo popolato da animali selvaggi,
trasformazioni demoniache (lunetta del portale laterale sinistro),
percorso dalle lusinghe e dalle tentazioni al peccato delle sirene
(capitelli interni).
La raffigurazione senz'altro più importante è quella della lunetta
centrale dove un mostro marino, lontanamente assimilabile al Simurgh
islamico, prima ingoia e poi rigetta il profeta Giona, riproducendo la
simile sequenza della chiesa di Santa Croce ad Aght'Amar in Armenia (X
secolo).
Simile
episodio rientra tra le sculture del protiro della chiesa di Santa
Maria della Strada di Matrice (XII secolo), dove però il drago
mantiene ancora forme evidentemente orientali.
La chiesetta di Matrice, divisa in tre navate con i capitelli
dell'interno decorati con forme vegetali, mostra un ricco apparato
scultoreo che va dal patrimonio classico (protiro) a leggende
medioevali. La lunetta cieca sinistra della facciata riproduce un
episodio della Chanson de Fioravante, mentre quella della fiancata
destra l'ascensione di Alessandro Magno al cielo.
Sulla stessa direttrice di Matrice possono essere poste le sculture
dei capitelli della Cripta di Sant'Adamo a Guglionesi, già avviandosi
verso la costa adriatica. In particolare alcune riproduzioni di
testine umane rimandano alla cripta dello Spirito Santo a Monopoli (XII
secolo).
Sono decisamente decorate con aggraziati motivi vegetali i capitelli
delle cripte di San Nicola a Guglionesi e di Santa Maria a Mare a
Campomarino, entrambe del secolo XII .
Non
è, in definitiva, estremamente ricco di esempi, dal punto di vista
quantitativo, il romanico molisano. Riesce però, sul piano della
narrazione, ad essere suggestivo, fedelmente al periodo che
rappresenta, quando cioè la verità era nascosta nei fumi dei
sortilegi di maghi e streghe.
E le sculture delle chiese molisane tracciano l'itinerario di un
viaggio che va a perdersi nel mistero di sirene e simurgh.