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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 13/9/2016 ● Click 1425

Il fu...turo


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Oggi più che mai nella società occidentale la parola "futuro" sta cadendo in desuetudine. Ovviamente la stragrande maggioranza di noi, dotata di un pensiero a corto raggio, individua nella crisi in atto la causa dell'attuale incapacità di proiettare il proprio operato al di là del mero presente. E così un nuovo repertorio di luoghi comuni - non c'è più lavoro, né la pensione come i propri padri, siamo la prima generazione a star peggio dei propri ascendenti, ecc. - attesta una qualche scomparsa affine a quella unanimemente denunciata riguardo alle mezze stagioni. Quello che ci appare un incidente di percorso è stato tuttavia previsto con largo anticipo da intellettuali che hanno descritto con dovizia di particolari quel che il proprio vasto orizzonte mentale già riusciva a scrutare. Ora, poiché tra le malattie di noi moderni vi è appunto quella di vivere concentrati esclusivamente sul presente - e si vedrà perché - è utile rivolgere lo sguardo al passato per comprendere come sia stato possibile all'umanità detronizzare se stessa dal ruolo di protagonista della Storia.
Per comprendere quali aspettative nutriamo verso il futuro, è opportuno precisarne il relativo concetto, che la società occidentale non ha ereditato dalla madrepatria culturale greca bensì dal Cristianesimo: dalla visione di un tempo circolare si è passati ad uno lineare, riproducente il paradigma [peccato originale = Paradiso perduto] - [riscatto in virtù del sacrificio del Messia] - [riconquista del Paradiso]. Come siamo giunti a questa semplificazione? Per secoli il mondo romano ha approcciato la realtà metafisica operando un copia-incolla della cosmogonia greca, finché un imperatore individua nel Cristianesimo un efficiente strumento di controllo delle masse. Ed allora Costantino - come biasimarlo? ... faceva il suo mestiere - indice e presiede il concilio di Nicea al fine di editare una versione standard di una professione di fede che esibiva troppe varianti. Su questo imprinting culturale va poi ad innestarsi lo sviluppo tecnologico ed economico, confezionato in veste capitalistica, che appunto ci regala l'illusione del progresso. Le risorse si moltiplicano a dismisura, il PIL cresce, quindi il benessere potenzialmente aumenta ... ma è questo il progresso?
Alcune delle migliori menti già da tempo ci hanno messo in guardia sull'illusorietà di tali dinamiche. Il nostro PPP in pieno boom economico profetizzava un cambiamento antropologico dell'uomo (opinione sostenuta in fondo anche da Marcuse - quello del celebre slogan sessantottino: "l'immaginazione al potere" - che definiva l'uomo moderno quale "one dimensional man", appiattito nell'unico ruolo di consumatore) ed evidenziava la differenza tra i concetti di sviluppo e di progresso, l’una mirante alla crescita quantitativa, cara al capitalismo, l’altra alla qualitativa, vera chiave del benessere, che il PIL non può misurare. Oltre un secolo fa Nietzsche, agli albori del moderno capitalismo, profetizzò l'attualità: non decodifichiamo più la realtà mediante Dio (“Dio è morto”), oggi è la tecnica la vera protagonista. Descrivere la società umana fino al XIX secolo senza far ricorso al concetto di Dio è un'operazione senza senso, così come oggi il motore primo è la tecnica, che da strumento è diventato lo scopo delle nostre esistenze. Per farla breve, pensate ad uno di quei film che raccontano di un futuro distopico in cui le "macchine" prendono il sopravvento su noi artefici ... Blade runner, Matrix, Terminator, ecc.: la tecnologia, da noi prodotta ed alimentata, già ha preso il nostro posto quale protagonista della storia. E sì, perché se nei disegni divini l'uomo assume un ruolo centrale, per il nuovo Dio-capitalismo egli rappresenta lo strumento per asservire l'utopistico scopo di crescita all'infinito.
A delitto compiuto non si può far altro che ricostruire la condotta criminosa e il relativo movente.
Tutto ha avuto inizio con la seconda rivoluzione industriale (1870), il primo mattone di quella scellerata costruzione che è la società moderna. La potenza dell'elettricità consentì quelle produzioni a vasta scala che posero a battesimo il concetto di "società di massa": il nostro immaginario iniziò ad essere popolato da tutta una serie di oggetti verso il cui possesso tuttora dirigiamo gran parte delle nostre aspirazioni. Risultato? Si sono uniformati gusti, desideri e modi di pensare ... il primo passo verso la futura globalizzazione. Fa l'ingresso un'economia del tutto nuova, in cui crisi e miseria traggono origine non più dalla scarsità delle risorse, ma dalla sovrabbondanza: se la produzione è superiore alla richiesta del mercato si generano sacche di povertà ... ??? ... fare la fame perché ci sono troppe risorse, dovete convenirne, è a dir poco paradossale.
La storia della società (in)civile, che evidenzia il solito racconto dei pochi che si appropriano della stragrande maggioranza delle risorse prodotte dai molti, è lo squallido resoconto di forme di schiavitù che diventano sempre più sofisticate. Rispetto ad un passato in cui la libertà era palesemente compressa, oggi il Potere regala l'illusione di concederla, ingenerando una falsa consapevolezza. Già, perché la libertà si nutre di consapevolezza ... "La verità rende liberi", recita Giovanni nel suo Vangelo. E così l'uomo moderno è convinto di operare scelte in base al libero arbitrio, incapace di avvertire la presenza di un arbitro superiore che, mediante una sapiente opera di disinformazione, indica la strada da intraprendere. Già, padroneggiando l'élite dei mezzi di (dis)informazione, viene sceneggiata - i fatti non accadono ma esistono in quanto narrazione degli stessi - una realtà virtuale ad uso e consumo del Potere. E se non applichiamo le capacità dell'intelletto per farci le giuste domande ed imparare a leggere tra le righe, sarà la fiction a dettare le nostre azioni. E infatti, se avessimo la minima consapevolezza di quel che accade all'ombra della nostra indifferenza, avremmo già dovuto far scoppiare 10-100-1000 rivoluzioni francesi. Contro quale nemico? Il capitalismo. Che ci ha dissuaso di essere l'unico sistema economico praticabile, che ci fa credere nella possibilità di un futuro con un superiore livello di benessere - quando, tutt'al più, ci regala l'illusione di un eterno presente - e che, utilizzando la locuzione "libertà di mercato", ci illude circa la possibilità che ciascuno ha di realizzare il "sogno americano", mentre in realtà essa fa riferimento alla libertà assoluta delle corporations di appropriarsi della stragrande maggioranza delle risorse per cui produzione la stragrande maggioranza della popolazione mondiale ha sudato.
Non occorre essere fini conoscitori dell'economia, basta qualche ragionamento empirico per comprendere come lo sfruttamento delle classi subordinate sia in aumento anziché diminuire: un operaio negli anni '70 riusciva, con sacrificio, a metter su una famiglia monoreddito; dopo mezzo secolo, con un progresso tecnologico che ha centuplicato la produttività di quel lavoratore, questi non riesce a comprare la casa né ad avere adeguate garanzie circa la futura pensione, e nel contempo si è visto sottrarre le tutele giuridiche conquistate in anni di lotte sindacali. Eppure siamo tutti convinti che occorre ringraziare il capitalismo, anche per aver scongiurato il pericolo comunista. La realtà è invece che dopo l''89 il capitalismo, sconfitta definitivamente la sua controparte dialettica, ci tiene tutti sotto il tallone. Se per antagonismo è stato prima costretto a mostrare un volto buono, concedendo l'illusione della democrazia e dello Stato di diritto - una recita faticosa da inscenare -, oggi convince i popoli della bontà della globalizzazione, del mercato unico, dell'abbattimento delle frontiere ... e così le decisioni sulla gestione delle risorse create con il nostro lavoro non vengono prese da nostri rappresentanti ma da anonimi banchieri e finanzieri.
Chi ci può salvare? La parola Salvezza rimanda a quell'istituzione che, di noi gregge di pecore incapaci di affrontare il giusto percorso, asserisce di fare da pastore. Fino ai miei 20 anni il mondo occidentale era informato su tre principali ideologie: Cristianesimo, Capitalismo e Comunismo. Poco più che adolescente, tra catechismo e ora di religione, avevo ben presente il pensiero del Cristo. Niente da eccepire, parole sante ... letteralmente tali. Delle altre due mi chiedevo quale sembrasse rispecchiare con maggiore fedeltà il messaggio cristiano. Il primo miracolo di Gesù, l'episodio con i mercanti nel tempio, gli inviti a disfarsi della ricchezza in eccesso e l'allegoria del passaggio del cammello attraverso la cruna dell'ago quale paragone dell’analoga difficoltà per un ricco - massimo esempio vivente di attaccamento ai beni materiali - di accedere al regno dei cieli ... non siamo forse agli antipodi del capitalismo?
Tuttavia, ahimè, un conto è il messaggio del Cristo, un altro chi e come lo amministra. E infatti la Chiesa ha demonizzato il comunismo, operando nel contempo un'amena alleanza col capitalismo, generatore di disparità economiche, quindi sociali e, in ultima analisi, della conflittualità tra individui e tra Stati, adoratore di quel dio pagano che è il denaro, o altrimenti "sterco del diavolo". E non parliamo di una semplice simpatia, ma di una consolidata amicizia. La storia, supportata dalla logica, evidenzia la nascita della Dottrina sociale della Chiesa (con l'enciclica "Rerum novarum" di Leone XIII) in conseguenza dell'avvento della dottrina marxista ... quale temibile concorrente questo comunismo che inneggiava l'emancipazione del popolo dal giogo capitalista! Secondo il principio "il nemico del mio nemico è mio amico", meglio allearsi col capitalismo, che garantiva un ampio bacino di utenza grazie al mantenimento di quella quota di milioni di disoccupati/poveri a cui proporre il messaggio di fede anziché quella pericolosa proposta scientifica di cambiamento proveniente dalla dottrina marxista. Questa, ancor prima di predicare la rivoluzione del proletariato, è in sé rivoluzionaria perché si rivolge a cittadini consapevoli dei propri mezzi. E sì chè invece della libertà, fantomatico ideale di cui tanto ci piace discorrere senza che si riesca mai a farla emigrare dal terreno della pura ipotesi, dovremmo concretamente porci quell'obiettivo espresso con una parola in apparenza meno nobile, e che rimanda al concetto di autonomia, dell'essere protagonisti della propria storia: emancipazione. Dovremmo tagliare quel cordone ombelicale con cui il Potere, in tutte le sue forme di espressione, ci tiene av-vinti. La Chiesa, custode della tradizione dell'Impero Romano, ha sempre governato le masse facendo leva sulla paura e sul senso di colpa, meccanismi psicologici contro cui l'uomo è destinato a soccombere. Trascorsi 2000 anni nulla è cambiato, anzi la leva della paura ha trovato nuovi interpreti: minacce (infondate) di pandemie, di bancarotte statali, il terrorismo ecc., si sono aggiunti all'ora di Dio e alle tentazioni del Diavolo. Anche quando il popolo sembra aver tentato di intraprendere la strada dell'emancipazione in realtà il Potere ha eterodiretto quegli avvenimenti: alla rivoluzione francese è seguito Napoleone, a quella inglese Cromwell ... e Garibaldi è stato lo strumento inconsapevole per far precipitare il Sud da una condizione di relativa ricchezza alla “questione meridionale”.
Il popolo, spettatore di uno show di illusionismo che da secoli va in scena, nel profondo è consapevole dell'inganno. Infatti i dialetti, il democratico linguaggio creato dal basso, testimoniano da sempre la sua esclusione dai meccanismi che producono la Storia. Nel guejenescian, come in quasi tutti i dialetti meridionali, è assente il futuro quale forma verbale ... come posso io, popolano, mediante la lingua proiettare la mia azione nel futuro se non ne sono protagonista ma fruitore passivo?
Nell’attuale società l'individuo misura oramai la propria capacità d'azione sull'effettiva disponibilità di denaro, dunque la frequenza del pensiero è sintonizzata sul "qui e ora", sulla sopravvivenza: con una ciclicità che ricalca fasi lunari e ciclo mestruale, l'obiettivo è arrivare a fine mese. Dunque il pensiero evita di contemplare un futuro che, anziché come opportunità, viene interpretato quale minaccia. E cosí continuiamo a ripeterci che la vita è una cosa meravigliosa, scimmiottando titoli di film e frasi fatte. Tuttavia, se non teniamo aperta la finestra sul futuro saremo condannati a vivere un eterno presente, schiacciati in una dimensione che riflette le nostre capacità alla sola luce del passato, del quanto già fatto e già detto, delle vie già percorse, degli errori commessi e da cui non riuscire a trarre lezioni ma solo rimpianti.
Al di là delle opinioni finora espresse, che potranno essere state oggetto di una più o meno piacevole lettura ma magari non in grado di suggestionarvi, vi è la scienza ad intervenire in nostro soccorso. La cd. M-Theory, la fisica quantistica e altre moderne scoperte scientifiche paiono convergere su quanto è già stato oggetto di intuizione da parte dei filosofi idealisti: la realtà è frutto di un illusione, quantomeno nella misura in cui non siamo in grado di percepirla nella sua interezza, e in tale ambito é soprattutto la dimensione temporale a risultare ingannevole. Dunque non c'è un prima né un dopo, non una sola direzione verso cui andare. Certo, non lo percepiamo ma, appunto, lo sappiamo. Sappiamo di percepire un ventesimo della realtà esistente (il 95% della cd. massa oscura è nello spazio, quindi anche davanti al nostro naso) e, non a caso, nella medesima porzione utilizziamo le potenzialità del nostro cervello. Ci è in qualche modo utile saperlo? Beh, quantomeno è ben più consolatorio della vana speranza appurare che la meschinità umana, nume tutelare di quel Potere il cui scopo esistenziale è farci recitare in un teatrino di cui noi siamo i pupi, imbriglia solo il nostro 5%, solo la condizione umana di esseri la cui divinità è in stato dormiente, a causa di qualcuno/qualcosa che ci tiene confinati, quali moderni Ciclopi, in questo oscuro Tartaro.


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